• 05/09/2025

Riabilitare Altilia

di Francesco Manfredi Selvaggi – 

Alla fine del XVII secolo inizia il ripopolamento di Saepinum

 

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Il ripopolamento di Saepinum iniziato presumibilmente alla fine del XVII secolo è avvenuto per punti. Con piccoli raggruppamenti di case costruite in zone distinte e distanziate fra loro, sempre nelle ali esterne del perimetro murario facilmente raggiungibili dall’esterno.

L’antico municipium ha una ripresa in età tardo rinascimentale ma non è che era totalmente un luogo abbandonato perché, comunque, nel suo mezzo c’è il tratturo nel cui sedime hanno continuato a transitare le greggi transumanti. Il tracciato tratturale si sovrappone proprio al decumano della colonia romana, la via principale dell’organismo urbano. Potrebbe sembrare guardando la rete viaria che Altilia sia un agglomerato urbanistico biassiale, gli assi sono il cardo e il decumano, ma in effetti essa ha un impianto sostanzialmente assiale ovvero monoassiale.

Assomiglia la sua impostazione a quella di una città lineare, almeno considerando il fatto che le attrezzature civiche sono installate lungo un’unica direttrice che è quella del decumano il quale non per niente o meglio non per altro fin dall’epoca delle polis greche è riconosciuto superiore al cardo in una gerarchia della viabilità cittadina. A fianco del decumano si sviluppa una serie di opere pubbliche di primario rilievo, dal macellum alla basilica ai templi alle terme conosciute come “terme silvane”. Il cardo può essere più lungo quanto vuole, lo è di molto, ma non ha la stessa importanza del decumano nell’organizzazione urbica pur costituendo anch’esso un’asta centrale nel disegno della planimetria dell’abitato, perpendicolare all’altra che coincide con il decumano.

Venuta meno la vita comunitaria, poiché la popolazione è andata via, si sono interrotti i servizi per la cittadinanza e con essi, di conseguenza, sono rimaste inutilizzate le costruzioni che li ospitano. Quello che era un nodo nevralgico nell’economia della transumanza si riduce a un posto di passaggio della stessa, non più di sosta, il decumano che ricalca il tratturo a un semplice canale di transito. L’area forense in cui si svolgeva il mercato in occasione dell’arrivo degli ovini in autunno e in primavera non ha più alcuna funzione. Il segno più significativo della decadenza del ruolo del foro di cuore pulsante della piccola urbe è la sparizione del colonnato che contornava il decumano prima di confluirvi.

È già tanto che il suo sedime non sia stato occupato nel tempo dai privati che erano proprietari dei lotti di terreno adiacenti. Pure all’epoca dei romani la superficie del foro, se non fosse stato per la necessità di consentire lo svolgimento delle fiere della transumanza, appariva sovradimensionata rispetto alla, appunto, dimensione dell’aggregato insediativo, una estensione addirittura inconcepibile nelle fasi successive della storia di Altilia quando questo centro comincia ad essere evacuato. Il foro era diventato uno spazio inutilizzato e nel contempo inutile, non appetibile neanche per edificarvi qualcuna di quelle casette contadine che si installarono sui resti archeologici poiché qui resti non ve ne erano, il foro era un “vuoto”, da sfruttare quali sostruzioni dei nuovi fabbricati.

L’intera parte centrale di Saepinum rimase inabitata, non solo l’ambito forense, se si esclude il Malborghetto. Quest’ultimo, comunque, si è sviluppato lì dove sta non perché è una zona con requisiti di centralità, bensì perché è vicino a Porta Terravecchia e questo dell’addensarsi di case vicino alle porte urbiche è una costante nel ripopolamento di Altilia da parte dei nuovi coloni, nuovi perché già i primi abitanti lo erano. Gruppetti di persone che si insediano in parti distinte della cittadina, quelle facilmente raggiungibili dall’esterno perché in vicinanza delle porte, ma distanti (distinte/distanti non è un gioco di parole) fra loro.

Esse erano separate l’una con l’altra da quel gran “buco nero” che era diventata la piazza, cioè il foro il quale se all’inizio, nelle prime fasi di vita di Altilia, aveva esercitato una forza centripeta ora è il vortice di una forza centrifuga. Un inciso doveroso per spiegare l’anomalia dell’accostamento del Malborghetto allo spazio forense è che il braccio di cardo congiungente il foro alla Porta Terravecchia è assai corto, il foro non è baricentrico nell’insieme urbano e ciò conferma la tendenza della colonizzazione delle superfici prossime alle porte, l’attrazione rimane per il Malborghetto la Porta Terravecchia e non il foro.

Il sito insediativo si ritrova così ad essere suddiviso in una specie di quartieri centrati sugli ingressi al castrum, per il resto rimane deserto. Uno di questi annucleamenti è rappresentato dal teatro sulle cui strutture in alzato si sono appoggiate alcune unità residenziali. È il più grande raggruppamento di alloggi di Altilia. A caratterizzare questo complesso edilizio, se così si può dire, è la suddivisione dello stesso in moduli, ciascuno occupato da una residenza autonoma. Una serialità nell’unità il che consente di conservare la riconoscibilità della struttura teatrale peraltro un segno forte nel panorama urbano. Essa venne giudicata idonea ad essere trasformata in una sorta di residence per la sua forma semicircolare con la cavea che si presta, riempita come si verificò da materiale trascinato dalle acque divaganti e ivi accumulatosi, a essere impiegata quale corte. Il cortile è un complemento indispensabile per le architetture rurali ai fini delle lavorazioni agricole che vi si svolgono. In ultimo, si rileva che la sua posizione marginale nella città non è un fatto negativo, bensì positivo trovandosi collegato, mediante la Portella, di nuovo l’entrata urbica come fattore localizzativo, con il territorio extraurbano.

(Foto: F. Morgillo – La Basilica di Altilia)

di Francesco Manfredi Selvaggi

 

9 Maggio 2025

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