La nascita del paesaggio archeologico
di Francesco Manfredi Selvaggi –
Il paesaggio è un’invenzione dei pittori del Romanticismo quindi esso è un qualcosa di moderno
Il paesaggio è un’invenzione del Romanticismo, pittori come Constable e Turner ci hanno insegnato ad apprezzare le visioni paesaggistiche, quindi nonostante che abbia l’attributo archeologico esso è un qualcosa di moderno. Per essere paesaggio il sito deve essere ampio e pertanto Altilia lo è, non i monumenti dell’antichità isolati come Pietrabbondante.
Il primo paesaggio moderno nel Molise è stato il paesaggio archeologico. Può apparire paradossale associare a moderno archeologico eppure è così. Non esisteva prima dell’avvento della modernità un riconoscimento delle peculiarità e con esso una consacrazione, se così si può dire, nell’immaginario collettivo dei luoghi connotati dalla presenza di resti dell’antichità e, d’altro canto, campagne di scavo sistematiche tramite le quali ritrovamenti di epoca sannita e romana sono venuti fuori in gran numero sono state condotte proprio agli albori dell’età contemporanea.
Così come si può parlare dei classici paesaggi montano, collinare e fluviale è legittimo parlare anche di paesaggio archeologico nella nostra regione, categoria rappresentata dall’area di Altilia, la borgata di Sepino in cui è ricompreso Saepinum. Sembrerebbe una spiegazione non richiesta perché è un’affermazione indiscutibile, ma la si fa lo stesso: Il paesaggio, per statuto suo proprio, consiste per essere tale in un areale esteso, ragion per cui non può essere considerato paesaggio archeologico quello di Pietrabbondante in quanto si tratta di un luogo, località Calcatello dove è stato rinvenuto il complesso teatro-templio e ora pure la domus pubblica, di grandezza abbastanza limitata.
Qui si è di fronte ad un episodio, di grandissimo valore s’intende, monumentale ma pur sempre episodio. La Sepino romana invece è una città, ben più ampia è l’estensione di territorio che occupa congiuntamente alla fascia periurbana ad essa legata in modo stretto. Va bene, è ciò che si è fatto fino ad adesso nel nostro intervento, tipicizzare i paesaggi e, però, non bisogna dimenticarsi che il paesaggio è un’espressione culturale, il frutto di una cultura, non una mera espressione geografica per citare la frase di Metternich al Congresso di Vienna riferita all’Italia la geografia riconduce il territorio a tipi. Il paesaggio, saltando alcuni passaggi logici necessari per dimostrare questo assunto, ma li si da per scontati, si sottolinea solo il fatto che esso è in dipendenza della cultura di chi lo osserva, è un unicum; non esiste un paesaggio, se è veramente tale, uguale ad un altro, non fosse altro, lo si ripete, che sono molteplici i modi in cui viene percepito.
Non si può, seppure noi qui lo abbiamo fatto, parlare in astratto di paesaggio archeologico, tentare di omologare situazioni differenti. Si prenda il caso di Pompei riemersa alla luce dopo quasi 2 millenni messo a confronto con Sepino che invece ha avuto una certa continuità di frequentazione antropica per cui ai resti del vecchio municipium si sono sovrapposte, in maniera random, alcune costruzioni di ridotte dimensioni successivamente con un’intensificazione a partire dal XVII secolo. Ogni paesaggio archeologico, così come del resto qualsiasi paesaggio, ha un suo distinto carattere che a Sepino è quello determinato dall’attitudine della società contadina al riadattamento o meglio all’adattamento sapiente dell’eredità delle civiltà precedenti, per dirla in breve e in maniera concreta, degli imponenti ruderi di questa colonia dell’Urbe alle proprie necessità.
Ci vuole abilità, e i nostri contadini hanno mostrato di averla, a coesistere con i lacerti dell’antico castrum, a sfruttare i resti per le loro esigenze, a sapersi muovere fra i rimasugli, in verità cospicui, di quella che fu una “filiazione” di Roma la quale “la creò a sua immagine e somiglianza”, lo si dice scherzosamente. È suggestiva e perciò la si propone l’immagine della sovrapposizione tra le due civilizzazioni, peraltro, quella romana, urbano-centrica e quella che definiamo tradizionale, all’opposto, con un neologismo, ruralcentrica. Convivono fianco a fianco, o meglio strato dopo strato.
I Romani non avrebbero mai ammesso la presenza di stalle nell’agglomerato urbanistico che è quanto è avvenuto dopo e così, viceversa, le famiglie che hanno ricolonizzato Altilia non sapevano che farsene del teatro per qui questo progressivamente si interrò e il piano che venne a determinarsi alla quota dell’appunto piano di campagna al posto dell’orchestra diventò un’aia per animali da cortile (ha pur sempre la forma di corte l’emiciclo teatrale). Per i “puristi” dell’archeologia occorreva che il sito fosse “liberato” non solo dalla terra ma anche dalle strutture edilizie che vi si erano impiantate sopra. In altri termini la città morta e sepolta doveva essere disseppellita.
Il Soprintendente dell’epoca decise che la casa soprastante al tetrapilo di ingresso alla cavea doveva essere demolita per rimetterlo in vista, mentre forse sarebbe stato meglio rimetterlo in evidenza alla stessa maniera, cioè invece di abbattere il volume sovrapposto svuotare quello sottoposto, di come si è fatto con il suo gemello che sta all’entrata opposta. Dilemma a parte, se mettere al primo posto le esigenze dell’archeologia oppure lasciare lo status quo, la stratificazione successiva, è da dire che, comunque, le testimonianze ultramillenarie sono di un notevole fascino. Esse ci fanno immergere sentimentalmente in un’era remotissima.
La nostra sensibilità verso il passato, va evidenziato stiamo parlando per l’appunto di sentimenti, si è modificata nel passaggio dal Neoclassicismo in cui si sviluppò l’entusiasmo per l’età classica, il mondo greco-romano, dunque prevale l’interesse archeologico, al Romanticismo quando le raffigurazioni artistiche più ricercate erano quelle delle pecore con pastore a brucare tra “gli archi e le colonne” di leopardiana memoria, quindi l’interesse per il mondo contadino, per il pittoresco, magari greggi in transumanza che hanno sostato in questo luogo sede di commercio e di rifornimento idrico, fin da fasi ancestrali della nostra storia, immagine ricorrente anche nelle rappresentazioni del presepe napoletano.
(Foto: F. Morgillo – Il teatro di Altilia)
di Francesco Manfredi Selvaggi
13 Maggio 2025