Dalla parte dei più deboli
Lettera aperta a quanti hanno diritto di voto
di Antonio Di Lalla (da la fonte.tv)
30 Aprile 2025
La morte di papa Francesco ha mostrato, qualora ce ne fosse stato ulteriore bisogno, l’ipocrisia dei potenti che in vita non l’hanno ascoltato e da morto versano lacrime di coccodrillo a favore delle telecamere. Francesco aveva messo al centro del suo magistero gli scarti umani, la tutela dell’ambiente, il rifiuto della guerra. All’interno della chiesa, i cosiddetti ‘saputi’ denunciavano l’assenza di una teologia speculativa, abituati a discettare sul sesso degli angeli piuttosto che su un’umanità ferita, bisognosa di solidarietà e di chi alzasse la voce in sua difesa. Le istituzioni governative hanno fatto orecchio da mercante di fronte ai suoi appelli per superare la crisi ecologica che attanaglia la casa comune, l’unico mondo a nostra disposizione, e soprattutto sono rimaste infastidite dalla sua denuncia di una “terza guerra mondiale a pezzi”, che si fa sempre più concreta. L’ultima velleità di un’Europa con governanti ottusi e poco lungimiranti è quella di trascinare a oltranza la guerra con la Russia, capro espiatorio l’Ucraina, in vista di un riarmo da 800 miliardi di euro a scapito, checché se ne dica, della spesa sociale necessaria per migliorare la condizione di vita delle persone, soprattutto più fragili.
Guai a fare di papa Francesco un santino utile per tutte le stagioni. Non è osannando la sua figura, da morto, che gli si rende ragione ma iniziando a percorrere i sentieri difficili ma necessari, da lui indicati, che l’umanità farà dei passi avanti. Nella chiesa cattolica c’è ancora molto da fare perché da “società perfetta”, come alcuni si ostinano a considerarla, si passi a vederla “ospedale da campo”, al servizio di un mondo lacerato, dove a pagare sono sempre i più poveri, dai migranti a quelli che non hanno casa o lavoro, dai discriminati per il loro orientamento sessuale alle donne che non vedono riconosciuti i loro diritti. L’elezione del prossimo papa ci dirà se i cardinali avranno avuto il coraggio di aprirsi all’azione dello Spirito e leggere i segni dei tempi, proseguendo con più forza e determinazione le piste solo intraviste dal papa proveniente dalla fine del mondo, oppure avranno paura del mondo, optando per un pontefice spiritualista e disincarnato se non addirittura per uno che assecondi la moda del tempo, che per comodità definiamo trumpiano, reazionario, in combutta con i potenti.
Per quello che mi riguarda non temo di tornare nelle catacombe, nei sotterranei della storia, come lo fu prima dell’avvento di Francesco, e proseguire, da marginale, nella lotta per i diritti umani, proprio per la fede in quel Dio che la Sovversiva di Nazareth non esita a presentare come “Colui che ha rovesciato i potenti dai troni, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Luca 1,51-53).
Il referendum
Il mio impegno civile non nasce da ideologie filosofiche o politiche ma esclusivamente dalla lettura, senza paraocchi, delle Sacre Scritture, proprio come faceva papa Francesco. Cerco di rendere attuale l’utopia prospettata dall’evangelista Luca negli Atti degli apostoli che indica nella fraternità, nella condivisione dei beni, nella solidarietà con i più deboli il fondamento della comunità cristiana. Come non seguire il Dio, descritto da Mosè, che ascolta il grido del popolo, oppresso dalla schiavitù, e lo conduce verso la Terra promessa? Naturalmente non identificabile con quella che pretende di conquistare quel macellaio di Netanyahu.
L’otto e il nove giugno siamo chiamati ad esprimere mediante il referendum su cinque quesiti la nostra opinione che, in caso di vittoria, diventa legge. Una democrazia la si difende con lo sciopero, sempre più represso con leggi liberticide da questo governo di destracce, e con il voto, snobbato abbondantemente da chi aspetta magari dal cielo la soluzione di tutti i problemi e che ha consentito a una accozzaglia di scappati di casa di governarci. È in ballo la possibilità di modificare cinque leggi fatte da governi che abbiamo avuto, di destra e di sedicenti di sinistra, che hanno danneggiato i lavoratori e più ancora le persone in quanto persone.
Anzitutto è necessario informarsi. Pensare che i temi oggetto del referendum non siano fatti nostri è un errore madornale, perché tutti siamo chiamati a concorrere per il benessere di tutti. Il disinteresse alla lunga si paga caro. Il primo quesito, sottoposto al nostro giudizio, riguarda il reintegro nel posto di lavoro per licenziamento ingiustificato; il secondo propone di eliminare il tetto agli indennizzi nei licenziamenti delle piccole imprese; il terzo mira a contrastare l’ abuso dei contratti a termine; il quarto interviene sulla responsabilità delle imprese negli appalti in caso di infortuni; infine, il quinto prevede la riduzione da 10 a 5 anni del tempo di residenza degli immigrati per ottenere la cittadinanza italiana.
Secondo: è necessario andare a votare perché è un esercizio di democrazia. Essendo referendum abrogativi, sono validi i risultati solo se vota la metà più uno degli aventi diritto. Far mancare il quorum è una grande responsabilità che ci assumiamo. Non basta lamentarsi perché le cose vanno male, è necessario il nostro contributo perché vadano meglio.
Terzo: la nostra rivista è entrata nel comitato a sostegno della campagna referendaria e io voto Sì, senza dubbi o tentennamenti, perché voglio contribuire a migliorare la società in cui vivo. Insomma ci sono cinque buoni motivi per dire Sì. Perché farseli sfuggire per indolenza, pigrizia o pregiudizi? Un mondo in cui una sola persona soffre meno è già un mondo migliore.
di Antonio Di Lalla (da la fonte.tv)
30 Aprile 2025