Non solo sul lago di Como, ma anche nel Molise
di Francesco Manfredi-Selvaggi –
Ville ovvero villini, case contadine, stalle, fienili, sparse e biancheggianti
C’è una notevole varietà di costruzioni nelle nostre campagne, dalle fattorie alle seconde-case ai silos, ecc. che in passato non esisteva, ci si limitava alla “villa di delizie” e all’abitazione del piccolo coltivatore. Proviamo a scoprirela logica della loro distribuzione sul territorio
Le costruzioni rurali ci rivelano con immediatezza, in maniera evidente per via della loro fisicità con una consistenza volumetrica a volte significativa, il tipo di sfruttamento agricolo, o almeno all’epoca della loro realizzazione, dell’areale in cui insistono. Abbiamo così mulini, granai, frantoi, stalle, fienili, silos, semplici pagliai o capanni, case contadine, ville-fattorie, casali a corte. Per questi ultimi occorre una precisazione, gli edifici con tipologia a corte qui da noi sono abbastanza inusuali e, peraltro, costituite come sono da un aggregato di corpi di fabbrica intorno ad un cortile sono di dimensioni superiori alle dimore tradizionali degli agricoltori. Esse sono indice di una trasformazione sopravvenuta
nell’organizzazione agraria con aziende, le quali sono a conduzione mezzadrile, ben più grandi delle unità aziendali condotte dal coltivatore diretto. Se i fabbricati per la produzione, s’intende di prodotti agricoli, pur se tecnologicamente aggiornati e di maggiore volumetria, sono ancora, è proprio il caso di dirlo, in produzione, nel senso di edificazione, è ormai limitato l’affiancamento ad essi della residenza degli operatori. In altri termini nelle moderne fattorie non è previsto l’alloggio per il lavoratore. Al contrario, nello statuto della mezzadria il mezzadro era tenuto a vivere sul fondo.
Nell’agro basso-molisano, il comprensorio regionale dove si sono affermate forme di agricoltura avanzate, non sono nate nuove “masserie”, le uniche realtà abitative sono rimaste quelle per i coloni cui erano stati assegnati i poderi
nell’ambito del programma di Riforma fondiaria. Non lo si è sottolineato fino ad adesso, ma ora è proprio necessario farlo, non si può indugiare ancora, il fatto è che noi siamo portati ad associare l’abitazione del coltivatore all’appezzamento di terra ad essa affiancata come se costituissero un insieme fisso, un qualcosa di non separabile. Ciò è vero esclusivamente nel caso della Bonifica ovvero Riforma agraria la quale pianificò l’appoderamento nel basso Molise con la costruzione di casette coloniche nei lotti di terreno attribuiti agli assegnatari. È una costante tale fusione tra abitazione e suolo da coltivare ad essa pertinente che non si ritrova facilmente in altre epoche storiche oltre che in altre zone del Molise, non è una regola la predetta unità. La suddivisione della superficie comunale conseguente alla redistribuzione dei possedimenti feudali dopo l’“eversione della feudalità” fra i componenti dell’Università dei Cittadini
portò ad una sua parcellizzazione e, poi, a seguito di divisioni ereditarie, ad una frammentazione ulteriore, assai spinta.
Si arrivò così alla situazione in cui una famiglia di lavoratori della terra abitava in una delle particelle in proprio possesso coltivando anche le sue altre sparse nell’agro, magari distanti dal luogo in cui risiedeva; era una condizione faticosa che si è perpetuata fino ai nostri giorni nei quali, però, muoversi è diventato più agevole per via della disponibilità di autovetture. Terreni che formano un corpo unico chiaramente facilitano la gestione della proprietà terriera, l’essere le parcelle di terra attaccate l’una all’altra è un valore. Pure è un vantaggio l’estensione della planimetria della proprietà agraria perché consente una pianificazione aziendale di ampio respiro, ampiezza in senso sia planimetrico sia temporale, si pensi alla riduzione di alcune voci di costo, alla massimizzazione del rendimento dei
macchinari, ecc. A porre ostacoli all’efficienza dell’azienda non è, comunque, la taglia dei possedimenti in sé per sè perché anche nel caso di “tenute” signorili si può verificare la dispersione pur se all’interno delle stesse dei fondi coltivati e ciò succede nei distretti collinari e di media montagna. In tali circondari la pendenza del suolo non sempre, non ovunque consente la coltivabilità specie se il substrato geologico è di tipo argilloso; la lavorazione del terreno è sconsigliata quando essa può provocare l’innesco di fenomeni franosi e allora i campi risultano scaglionati alternandosi lì dove c’è il rischio di smottamenti a boschetti perché le radici degli alberi impediscono lo scivolamento del soprassuolo, o a pascoli magri, all’attualità raramente piuttosto si ha l’incolto. La superficie fondiaria si presenta così, seppure accorpata, appartenente dunque al medesimo imprenditore agricolo, frazionata. In varie colline del Molise si verifica che le colture si affermino sulla fascia di dorsale del rilievo dove la morfologia spiana lasciando i fianchi, in particolare se versanti accidentati, alle formazioni boscose; è un capovolgimento di quanto sarebbe stato da attendersi, cioè le distese forestali in alto e in basso le coltivazioni. L’edificio padronale è baricentrico mentre l’ubicazione delle case delle piccole aziende “sbriciolate” è casuale. In pianura è più facile che vi siano grossi appezzamenti di terra unitari e ciò permette uno sfruttamento razionale, anch’esso unitario, della proprietà, favorendo la meccanizzazione e la realizzazione di impianti irrigui. Un modello che non è possibile replicare lì dove il territorio è morfologicamente movimentato, anche qualora si tratti sempre di latifondo. C’è bisogno di soluzioni appropriate per queste aree, di un’ “innovazione di sistema” che ancora purtroppo non si scorge all’orizzonte.
(Foto: F. Morgillo – Dimora tipica nella vallata dell’alto Biferno)
di Francesco Manfredi-Selvaggi
li 9 Giugno 2025