L’acqua fa male, va alla spalla!
di Franco di Biase (da primonumero.it) –
L’Italia raccontata col sorriso e con l’amaro in fondo
I nostri anziani erano soliti scherzare con chi offrisse loro un bicchiere di acqua e rispondevano in questo modo, mischiando il sacro con il profano e la scienza con la scienza infusa. Era un modo come un altro per dire che “noi uomini duri” beviamo solo vino, l’acqua la lasciamo agli smidollati. Altri tempi, altri modi di pensare. In verità, modi di pensare che stanno tornando a vedere il consumo di alcol tra i giovani. Ma questo è altro problema.
Il discorso “acqua va alla spalla” in questi giorni lo ha ripreso prepotentemente il ministro dell’Agricoltura, che il serio ed è serio, senza nemmeno un poco di poco serio, in un’intervista ha asserito che bere molta acqua può fare male. Forse si riferiva ai naufraghi del Titanic, ed aveva ragione, perché i naufraghi del Titanic ebbero a bere molta acqua, per giunta di mare, cosa che li portò purtroppo alla morte. Mai fu fatta autopsia sui morti in mare per capire se effettivamente morirono per annegamento, per aver bevuto tantissima acqua, oppure per infarto/ictus, ecc., visto che l’acqua di mare, come sappiamo tutti, contiene molto sale, ed il sale, come sappiamo, è una delle cause di ipertensione.
Poi non dite che il ministro Lollobrigida non pensa a noi poveri e comuni mortali che paghiamo le tasse, anche il suo stipendio. Stipendio dei parlamentari che, in effetti, non si chiama stipendio, salario, parcella o altro, ma: indennità. E questo la dice lunga sul loro stato giuridico. Anche per come si sentono inavvicinabili.
Andando avanti e ripercorrendo l’avvento dell’euro, qualcuno ebbe a dire che con l’euro avremmo lavorato un giorno di meno ma con lo stesso stipendio/salario. Non parlò di indennità, e meno male per i nostri parlamentari. Meno male perché questo Governo Meloni – ma Parlamento italiano tutto – nato da un rigurgito fascista del popolo italiano, ha avuto un freno all’attività politica in maniera saggia e decisa.
Noi che abbiamo la “fortuna” di vivere in una piccola città, ci poteva capitare – quando i parlamentari ce li “facevamo in casa”, non come adesso che prendiamo dei migratori come le beccacce, o dei migranti come quel fiume di disperati che approda sulle nostre coste spinto dalla disperazione – dicevo, i parlamentari ci poteva capitare di incontrarli per strada, le strade delle nostre città molisane, anche dal giovedì sera, perché i lavori parlamentari erano concentrati dal martedì mattina al giovedì pomeriggio. Quindi poteva capitare che il giovedì si recassero in Parlamento con il trolley ed appena finito “scapelàvane” (termine dialettale per indicare la fine del lavoro ed il ritorno a casa).
A suffragio di tutto questo c’è la vecchia regola non scritta che vuole lo svolgimento del Consiglio Regionale nel giorno di martedì, perché il lunedì era destinato al confronto del Presidente della Giunta Regionale, ma forse anche di qualche assessore con i parlamentari che, dopo l’incontro, “fischiavano e partivano” per la Capitale.
Dunque, a ristoro di tutta una serie di cattiverie che si dicono, i parlamentari lavorano. Lavorano tre giorni alla settimana che, se facciamo in euro, partendo da una base di 15.000 euro al mese, riscuotono 1.250 euro giornalieri. Un poco di meno di un migrante che raccoglie pomodori sotto il sole della Capitanata, e qualche povero Cristo obbligato a lavorare per pochi euro in qualche ristorante o in qualche italico cantiere. Ma a questo si sta ponendo rimedio. Ai parlamentari, mica al migrante.
Altra chicca di questo Parlamento l’ha generata l’onorevole Montaruli, che si è indignata quando ha scoperto che secondo alcuni libri di storia, testi scolastici adottati nelle scuole, questo governo è fascista, nato da un riverbero fascista che ha invaso l’Italia. L’onorevole Montaruli si è arrabbiata tantissimo ed ha lanciato strali contro chi ha scritto i libri e contro chi li ha adottati. Niente da dire, invece, da parte dell’onorevole Montaruli sulla sua sentenza passata in giudicato, quando è stata condannata per “spese pazze”, quando misero a debito del gruppo regionale di appartenenza – quando era consigliere regionale in Piemonte – acquisti che niente avevano a che fare con l’attività politica. Sembra tra gli acquisti ci fossero anche dei giocattoli erotici. Ma si sa, come diceva Giovanni Pascoli, guai a far morire il bambino che è in noi. I “giocattoli” ci vogliono sempre.
Chiudo questo scritto con il pensiero estrinsecato dalla presidente Meloni al cospetto della borsa di Paolo Borsellino. Borsa che verosimilmente conteneva la famosa agenda rossa del magistrato. Agenda che Borsellino usava per prendere appunti ed annotare suoi pensieri anche di lavoro. L’agenda, dopo la strage di via D’Amelio, non è stata mai ritrovata, ma la borsa che la conteneva sì. Misteri italici.
La presidente Meloni (ad oggi 49 anni) ha affermato che appena seppe dell’attentato a Borsellino decise di entrare in politica. Giorgia Meloni nel 1992 aveva 15 anni. Sono onorato di avere una Presidente del Consiglio che a 15 anni decise di scendere in politica per combattere la mafia. Importante è avere chiaro e fermo l’obiettivo che vogliamo raggiungere. E lei, il Presidente Meloni, il suo obiettivo lo aveva già chiaro a 15 anni. Di solito, a quindici anni si combatte con i genitori per il motorino o per andare in vacanza con gli amici, ma questa è altra storia.
E come dissero le comari quando si salutarono dopo aver parlato di tutti i loro compaesani: “Meh cummà, n’eme ritte niente!”
di Franco di Biase (da primonumero.it)
li 3 Luglio 2025