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La città vicino scomodo per la campagna

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Oggi si sta verificando una separazione di interessi tra le realtà urbane e i comprensori rurali. Le città invece che punti di riferimento per la campagna sono sempre più dei coinquilini fastidiosi 

di Francesco Manfredi Selvaggi

22 aprile 2024

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Oggi il fulcro del sistema territoriale pare diventare l’agro piuttosto che l’entità cittadina. Per meglio dire si sta verificando una separazione di interessi tra le realtà urbane e i comprensori rurali. Le città invece che punti di riferimento per la campagna sono sempre più dei coinquilini fastidiosi sfruttando l’ambito agreste per l’ubicazione di discariche, cave, ecc. 

Ci sono avvisaglie all’orizzonte, deboli bagliori di luce ad annunciare l’alba, su un cambiamento nelle relazioni tra città e campagna. La seconda non si considera più la periferia della prima, non si sente più quale semplice dipendenza della città, ma sta acquistando una sua autonomia. Non si ritiene di esagerare se si dice che in una regione come la nostra dove le città non sono di grandi dimensioni è l’agro che appare destinato, se già non lo è, ad assumere il ruolo centrale nella configurazione dell’assetto territoriale, ribaltando a favore dell’ambito agreste il rapporto tra urbano e rurale.

Una centralità che si manifesta anche nel settore turistico mancando qui da noi le “città d’arte” ed essendovi, invece, una presenza diffusa di beni culturali e ambientali nel contesto extraurbano e, però, di questo segmento dell’economia parleremo un po’ più approfonditamente dopo. Adesso ci interessiamo delle trasformazioni economiche che si registrano nel mondo agricolo, in particolare di quelle che sono influenti nel confronto tra città e campagna, la coppia che straciteremo. Non sono unicamente le colture di eccezionale pregio, dall’ulivo alla vite, che sono capaci di stabilire un legame con i mercati extraregionali, pure esteri compresi quelli dei Paesi meta dell’emigrazione molisana, perché, in aggiunta, vi sono svariati cultivar locali, i latticini fino ai frutti del sottobosco, in primis tartufi e funghi.

Da uno scambio all’altro il passo è breve per cui è possibile immaginare l’intensificazione futura dei contatti tra un pubblico di consumatori nazionale o straniero ed operatori nostrani i quali stanno sperimentando i canali di comunicazione con l’estero e acquisendo la capacità di negoziazione. Da cosa nasce cosa. Rimangono, in effetti, comparti in cui si deve fare ancora ricorso all’intermediazione mercantile, funzione che svolgevano per il grano duro i Consorzi Agrari; sembra però di cogliere anche in questo segmento dell’agricoltura un protagonismo da parte di soggetti economici del luogo come i titolari dei tanti biscottifici sorti negli ultimi decenni nel Molise accanto ai laboratori nei quali si preparano le confezioni di pasta fresca, vi sono diversi marchi.

Le città non sembrano coinvolte in tale evoluzione in corso del mondo rurale la quale avviene in maniera indipendente da esse. L’enogastronomia con le bontà culinarie da consumare in loco, nelle attività ristorative presenti oppure da acquistare in punti vendita lontani è un veicolo per attrarre visitatori i quali aumentano se oltre al cibo trovano bellezze paesaggistiche e storiche da ammirare le quali non mancano di certo in ogni comprensorio sub-regionale. Le città sono poche e seppure dotate di un patrimonio architettonico di rilievo non sono in grado di competere per qualità e quantità delle emergenze artistiche con gli episodi di carattere monumentale dei centri dell’Italia “maggiore”, le grandi mete del turismo culturale.

Al contrario abbiamo un paesaggio di prim’ordine che sta alla pari con quelli più celebrati della nazione. In definitiva, la campagna è più di valore della, delle, città per cui è essa ad essere al centro dell’interesse dei turisti. Campagna batte città 1 a 0. I panorami più belli sono quelli in cui non sono ricomprese le vedute delle città, i quadri visivi più rinomati sono quelli in cui i distretti rurali sono cose a sé stanti. La campagna può fare a meno della città anche in riguardo al turismo. È, comunque, vero anche il contrario, a dimostrazione dell’indipendenza reciproca tra l’una e l’altra, la città oggigiorno non ha bisogno della campagna.

L’esempio meglio calzante è la scarsa attenzione che l’amministrazione civica campobassana porge al Mercato Coperto il quale avrebbe bisogno di lavori di riattamento: i prodotti della terra provenienti dal circondario esposti sulle bancarelle di questo che è in fin dei conti un mercato ambulante dotato di copertura mettono in relazione il contado con la principale realtà cittadina della regione, senza il market tale relationship, per dire le cose all’inglese, si incrinerebbe. Nei tempi odierni il fabbisogno nutrizionale della cittadinanza è soddisfatto prevalentemente da cibaria proveniente da fuori, anche da molto lontano.

Se prima la città non poteva superare una certa estensione e una certa popolazione, commisurate alle capacità produttive della campagna all’intorno ora che non vi sono più limiti alla circolazione degli alimenti per via dei nuovi mezzi di trasporto e delle tecniche di refrigerazione delle derrate agricole essa, la città, può crescere indefinitamente. La campagna e la città si rivelano indifferenti fra loro, potrebbero convivere pacificamente se non che la vicinanza “forzata” crea attriti, è una cosa inevitabile proprio come in un condominio. È specialmente la città a fare la parte dell’ingombrante vicino ubicando nell’agro gli impianti per il trattamento dei rifiuti, per l’appunto, urbani, realizzando cave per inerti al fine di costruire le palazzine delle zone urbanistiche residenziali e così via.

Vi sono state rimostranze dei cittadini nei confronti dei contadini per una invasione di, in senso letterale, campo come nel caso della porcilaia a Selva Piana (Campobasso) per i suoi miasmi, ma la colpa non la si può attribuire alla “campagna” bensì alla crescita non regolamentata della “città”. La città si è ingrandita a discapito della campagna erodendo la superficie agraria e togliendole persone, operazione che va sotto il nome di inurbamento, processo inarrestabile. Salvo Roma, ad ogni modo le città non sono eterne per cui si può sperare nell’inversione di tale fenomeno demografico con un ritorno alla campagna che non è un ritorno al passato, ma al futuro.

(Foto: F. Morgillo-L’agro intorno a Campobasso)

di Francesco Manfredi Selvaggi

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