Nella notte dei licei classici

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La “giustizia” e la “libertà” sono il bene di cui possiamo contemporaneamente disporre

di Franco Novelli (da lafonte.tv)

14 Giugno 2023

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Il giorno 5 maggio scorso è stata la giornata in cui da nove anni in Italia si organizza la cosiddetta “Notte dei licei classici”, che vuole ricordare quanto siano rilevanti ed imprescindibili, ancora oggi, la cultura e la storia della grecità e della latinità nel divenire del nostro Paese, ma di tutta quanta l’Europa, le cui origini culturali e civili affondano nella civiltà greca e latina. Il tema, proposto per quest’anno, è stato quello della Libertà, tanto a cuore (chissà se poi è vero!!!) a quanti antepongono le guerre o le culture nazionalistiche alla pace e al multiculturalismo nel mondo di oggi. La serata del 5 maggio scorso al “Mario Pagano” di Campobasso, in Via Gaetano Scardocchia, è stata davvero densa di iniziative e di spettacolo rappresentati con magistrale impegno e diligente sobrietà (lo scrivo senza sviolinature di sorta) dalle alunne e dagli alunni di questo istituto scolastico (dietro le quinte, oltre alla prof.ssa Zollo che ha curato la tessitura della tela, c’è stato l’attore, molto noto in Molise, Aldo Gioia). I monologhi, prima, e, gli efficaci sprazzi teatrali euripidei, poi, fino al flash mob, hanno trascinato a fragorosi applausi la platea che riempiva completamente l’ampio auditorium. Gli ospiti sono stati il giornalista Domenico Iannacone (di Torella del Sannio), l’architetto Franco Valente (di Venafro), la dott.ssa, magistrato del Tribunale di CB, Roberta D’Onofrio, uno studente dell’Artistico, Ibrahima Kandé (originario del Senegal, che ha ripreso gli studi qui nella nostra città, esprimendo gratitudine a quante/i lo accompagnano in questa nuova fase della sua vita). Poi, tra costoro c’è stato anche il sottoscritto.

Partiamo da un presupposto assiomatico, per cui la “giustizia” e la “libertà” sono il bene di cui possiamo contemporaneamente disporre, ma che, una volta acquisiti, dobbiamo necessariamente difendere, alimentandoli insieme, perché sono l’essenza della democrazia. Prendendo le mosse dalla storia e dalla civiltà greco/latina, è giocoforza precisare che l’idea nucleare, da cui ha preso le mosse tutta la storia della polis greca e, quindi, della cultura e della politica del mondo greco, è quella della “gius-tizia”. Un’opera su tutte emerge ed è quella di Solone (638/558 a,C), politico, giurista e poeta, il cui titolo è Elegia della polis. In questo testo poetico l’ateniese si concentra sul tema dell’ “ingiustizia”, che appare come una ferita, inferta alla comunità cittadina, e che mette in dolorosa evidenza una grave lacerazione della polis, che si evidenzia nella “schiavitù”, come pure nel “conflitto sociale (stasis)” e nella “guerra (polemos)”. Cosa significa tutto questo? Ciò mette in chiara evidenza la constatazione per la quale la schiavitù enfatizza la condizione di totale asservimento dei cittadini non abbienti, in prevalenza contadini o lavoratori “meteci”, ossia coloro che abitavano fuori della cinta muraria, uomini privati della libertà e impossibilitati a vivere dignitosamente: “Dalla nuvola vengono la neve e la grandine,/ e il tuono deriva dal fulgido lampo:/ la città perisce per opera dei potenti e il popolo è caduto/ nella schiavitù di un monarca, per ignoranza./ Se si è innalzato qualcuno troppo, non è facile contenerlo,/ dopo: (…)/ La nostra città non perirà mai per decisione di Zeus/ e le intenzioni dei beati dèi immortali:/ (…) Ma sono i cittadini stessi che per la loro stoltezza,/ proni alle ricchezze, vogliono distruggere una grande città,/ e la mente ingiusta dei capi del popolo, a cui è preparato/ che soffrano molti dolori per la loro grave arroganza: non sanno infatti contenere la loro insolenza, e nemmeno/ gestire con ordine le gioie del banchetto, che sono lì pronte”.

Da queste citazioni soloniane il passaggio alla trattazione della “libertà” è davvero breve, in quanto sappiamo bene che le tematiche della “giustizia” nel mondo greco sono strettamente legate a quelle relative alla “libertà”. Pertanto, appare naturale citare a questo punto, e a buon diritto, lo storico greco per eccellenza, ossia Tucidide, per soffermarci, in particolare, sul significato di “democrazia”. Pericle, il cui discorso viene riportato da Tucidide nella sua opera La guerra del Peloponneso, così definisce la “democrazia” di Atene: “Si chiama democrazia, poiché nell’amministrare si qualifica non rispetto ai pochi, ma alla maggioranza. Le leggi regolano le controversie private in modo tale che tutti abbiano un trattamento uguale, ma quanto alla reputazione di ognuno, il prestigio, di cui possa godere chi si sia affermato in qualche campo, non lo si raggiunge in base allo stato sociale di origine ma in virtù del merito”. Di qui, la “democrazia” è il governo di tutti. Ed ancora; “Qualcuno dirà che il potere del popolo, la democrazia, non è né sensata né equa, mentre i detentori della ricchezza sono i più capaci di governare nel modo migliore, Ma io gli rispondo innanzitutto che “popolo” è il nome di tutta la collettività, mentre “oligarchia” è una parte”. Sappiamo che non solo è stato così nella storia di Atene, ma che nello stesso tempo si suppone che il discorso di Pericle sia soltanto una narrazione oleografica da parte di Tucidide tanto dell’età periclea, quanto di quella multisecolare della città di Atene. Di qui, emerge che il concetto di “democrazia” vuole intendere ed indicare che tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e che la legittimazione del potere si deve basare sul consenso popolare, pur nella consapevolezza che in Grecia, ed in Atene in particolare, a goderne erano davvero pochi, ossia gli aristocratici (oligarchi e plutocrati). Inoltre, va detto che i Greci ritenevano compatibile con la loro democrazia il regime di schiavitù, come pure l’esclusione delle donne dai diritti civili e politici.

In buona sostanza, queste ultime riflessioni ci fanno capire quanto enormemente interessasse ad Atene nell’età di Pericle discutere di democrazia, di libertà e di espansione commerciale (imperialismo terrestre e marittimo), proprio alla luce della guerra del Peloponneso, conflitto di egemonia che Atene voleva garantirsi con la brutalità rapace e furiosa delle armi sul mondo greco. E all’interno della narrazione tucididea del conflitto fra Atene e Sparta – per l’egemonia sul’universo ellenico – possiamo tranquillamente riferirci al tema della “libertà”, al suo significato e alle sue applicazioni nella realtà della storia. La narrazione esplicativa di questo tema, cioè della “libertà”, è il conflitto ateniese contro i Meli, nel cui ambito il dialogo dei Meli e degli Ateniesi, riportato da Tucidide nel libro V della sua Guerra del Peloponneso, mette in chiara evidenza quale fosse il vero concetto di “forza”, diremmo oggi di ”imperialismo”, presso Atene. Nel 416 a.C. Atene decideva di conquistare l’isola di Melo e di assoggettare la sua popolazione. Tucidide nel libro V riferisce la vivace ed aspra discussione tra Ateniesi e Meli, autentico esempio di analisi politica dell’imperialismo, chiaramente ispirato ad una visione rigorosamente pragmatica, e direi anche cinica, della realtà fenomenica. Quindi, l’imperialismo nega praticamente ogni idea di libertà, perché questa è intesa solo a difesa e a coronamento della prepotenza del più forte o di chi possiede più risorse economiche, finanziarie.

di qui, alla luce delle considerazioni fatte finora, possiamo calarci nella contemporaneità e mettere in chiaro quale sia il significato che viene dato oggi alla parola “Libertà”.

di Franco Novelli (da lafonte.tv)

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