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Memento

 

 

Cesco Narducci, il comunista “duro e puro” sempre elegantissimo

 

Nel giorno della morte a 93 anni di uno storico funzionario del Partito Comunista in Molise, un ricordo "diverso" dell’uomo e del politico

 

   

 

(Foto: Corteo dei primi anni Cinquanta a Campobasso contro la bomba atomica tratta dal libro di Antonio D’Ambrosio "Pace si scrive senza H".  Narducci è il secondo a destra della prima fila. Il primo è l’ex on. Crapsi e quello alla destra di Narducci è Federico Gianbarba, padre dell’attuale sindaco di Casacalenda) 

 

 

Chi avesse conosciuto Francesco Narducci, scomparso martedì all’età di 93 anni, negli anni tra il 1947 e dopo, ignorandone le sue idee politiche, ben difficilmente lo avrebbe catalogato tra i comunisti. Tempi assai particolari, quelli, quando ti appioppavano etichette politiche semplicemente sulla base del portamento e del vestire.

 

Secondo il cliché della propaganda di allora, il comunista, oltre che essere di estrazione operaia o contadina, era uno che non poteva non vestire male, che aveva la barba incolta, la camicia lisa, testardo e quasi sempre analfabeta. Antropologia d’accatto applicata alla politica più faziosa.

 

Cesco”, così per gli intimi e i suoi compagni di fede politica, col suo abituale portamento smentiva questa ridicola rappresentazione, poiché sempre elegante, anzi, elegantissimo e con una laurea in legge. In più era un bell’uomo: alto, magro, biondo, sigaretta penzolante perennemente dalle labbra.

 

 Eppure Narducci, al di là delle apparenze, era un comunista «duro e puro», convinto della giustezza della linea politica uscita dai congressi e deciso ad applicarla. Mai un tentennamento o una pubblica dissociazione. Anche, e direi soprattutto, nei momenti di più alta tensione nel partito.

 

 Ero da poco iscritto al Pci (novembre 1960), quando conobbi per la prima volta Cesco. La sezione del partito era stata da poco riaperta in via F.lli Brigida dopo alcuni di chiusura. Ciò che mi colpì è stata la sua eleganza. Indossava un cappotto di cammello sotto il quale s’intravedeva un completo di ottima fattura e pochette al taschino. In testa un Borsalino a larghe tese.

 

«Chi è questo compagno?» ricordo che chiesi a Gabriele Tanfani, altra figura storica di comunista termolese. Avevo anch’io in testa il cliché avversario, ecco perché trovavo estraneo all’essere comunista un simile dandy.

 

Chi avrebbe immaginato che proprio Cesco Narducci, insieme a a Roberto Barberio, amatissimo dirigente della Federbraccianti Cgil, sarebbe stato alla testa della lotta per l’occupazione delle terre nel Basso Molise nel 1949 e avrebbe conosciuto per questo la repressione scelbiana e il carcere a Larino.

 

Funzionario di partito per lungo tempo, col tempo saremmo diventati amici, mai confidenti. Narducci non aveva un carattere facile ma posso dire onestamente d’averlo sempre rispettato.

 Due altri ricordi conservo indelebili nella mia memoria. Quell’anno in cui affittò d’estate una casa a Termoli, proprio di fronte alla sezione del partito. Conobbi così anche la sua famiglia. La moglie, gentilissima e affettuosa, i figli, allora piccoli, Sofia e Pinuccio, che sarebbe diventato in seguito noto magistrato. Più di una volta con Antonio Montefalcone, incuranti della privacy, gli facemmo compagnia.

 

Il partito era anche questo: rapporto umano e qualche rara affettuosità, ma non più di tanto, perché la politica presto avrebbe imposto le sue ragioni che andavano oltre questo tipo di contatti.

 

 Il Pci, in questo, non era diverso dagli altri.

 

 Specie quando si trattava di elezioni. E a tale riguardo ho un altro ricordo di Cesco. Elezioni regionali del 1975, Narducci, consigliere uscente, viene ricandidato e indicato dal partito a essere votato da una serie di sezioni,tra cui quella di Termoli.

 

 Vorrei qui aprire una breve parentesi su quanto agita ora le forze politiche e in specie il Pd sulla legge elettorale e le preferenze. C’è una parte di questo partito, quella più legata all’esperienza del Pci, che rifiuta fortemente le liste coi capilista bloccati.

 

 Memoria corta. Cos’altro era la pratica allora in voga nel Pci di collocare alla testa delle liste i massimi dirigenti del partito da fare votare “obbligatoriamente”, così come una serie di altri candidati che seguivano?

 

 Ma torniamo a quella esperienza del 1975. Il partito allora, insieme a Narducci, indicò da fare votare anche il candidato locale, Bruno Zinghini. Non proprio uno qualunque, ma l’allora responsabile di zona e uno dei maggiori leader locali.

 

La dirigenza provinciale del Pci di allora, travolgendo ogni logica e persino la sensibilità dei compagni del posto, impose di votare nell’ordine primo Narducci. Decisione accolta malamente, ricordo, ma rispettata. Ciononostante, a scanso di sorprese, Cesco Narducci “ci tenne compagnia” per tutta la durata della campagna elettorale. E così la “linea del partito” poté trionfare.

 

 Per finire una sua celebre battuta, chiaramente frutto di esperienza nell’assemblea regionale. Alla domanda quanto contasse il presidente del Consiglio rispetto a un assessore, la risposta era questa: «L’assessore governa, il presidente del Consiglio amministra le chiacchiere». 

 

 di Giovanni De Fanis (da primonumero.it)

 

 

Campobasso, lì 14 Gennaio 2015

 

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