PADRE ANTONIO GERMANO

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CRONACHE QUOTIDIANE DALLA MISSIONE

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Chuknagar, 29.12.2014

Carissimi,
Cosi' se ne è andato anche il Natale del 2014 e siamo in attesa del nuovo anno 2015, che speriamo un po' diverso e più carico di speranze, almeno per il mondo occidentale.
Noi abbiamo passato un natale splendido, pieno di gioia. La notte la celebrazione è stata particolarmente esultante, perché abbiamo rivissuto in una gioia trepidante il mistero dell'Incarnazione. Il giorno di Natale la gioia ha avuto anche la sua manifestazione esterna sul sagrato della chiesa attraverso giochi semplici, a cui hanno partecipato piccoli e grandi, uomini e donne. Tutto poi si si è concluso con il "prem bhoj", pranzo comunitario: con l'equivalente di 150 euro (soldi usciti ovviamente dalle loro tasche) hanno mangiato oltre 200 persone. Il giorno dopo Natale, nel pomeriggio, c'è stato il tradizionale trattenimento, a cui hanno partecipato un po' tutti e che è durato quasi 3 ore. Ieri poi, che era domenica, festa della Sacra Famiglia, dopo la celebrazione eucaristica, insieme ad alcuni del comitato, ho fatto il giro del villaggio per la visita ai presepi (45 in tutto), per i quali ogni hanno è bandita la gara e viene premiato il migliore. Ovviamente si tiene presente non solo il presepe ma anche l'ambiente in cui è collocato. Il giorno dell'Epifania vengono premiati il primo, il secondo ed il terzo.

Qualche riflessione su queste festività attraverso questa lettera, che ho visto manca nel sito, scritta per i Duroniesi ancora nel 2002 e cioè all'inizio della mia presenza a Chuknagar.

 

UNA DOMENICA DA PARIA

Una domenica da untouchable (fuori-casta). Non è la prima volta e penso che non sarà neppure l’ultima, ma quando capita, c’è da divertirsi. Si apre la giornata con la celebrazione liturgica. Si comincia di buon’ora, alle sei e mezzo, perché qui in Bangladesh la domenica è giorno lavorativo e quindi bisogna sistemare il Signore prima delle otto del mattino. L’assemblea domenicale risulta formata dal piccolo nucleo di battezzati (una diecina in tutto) e da quello più numeroso dei catecumeni, una sessantina, con i quali abbiamo iniziato il lungo cammino (almeno quattro anni) di avvicinamento a Gesù, che culminerà con il battesimo. La liturgia, naturalmente, con i canti e le letture, l’abbiamo preparata in anticipo, perché sia il più possibile partecipata. E’ uno dei punti su cui ho insistito molto fin dall’inizio, perché, come ho sempre sottolineato, qui stiamo ponendo le basi di una tradizione, che sarà il punto di riferimento per tutti quelli che diventeranno discepoli di Gesù nella zona e in futuro.

Il breve testo del vangelo di oggi riecheggia il passo fondamentale del libro del Deuteronomio: ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, uno è il Signore. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (Dt. 6,5), completato da quello del Levitico: Amerai il prossimo tuo come te stesso (Lv. 19,18). Da questi due comandamenti, dice Gesù, dipende tutta la Legge e i Profeti. Non so che riflessione abbiate fatto voi, cari Duroniesi sparsi per il mondo, ma per la mia gente questa è una novità assoluta, è la novità del messaggio di Gesù, che contiene in sé il germe di quella umanità nuova, senza discriminazione di casta, di razza o di religione e che riconosce ad ogni individuo l’appartenenza alla stessa famiglia, la famiglia dei figli di Dio. La società del sub-continente indiano, a cui appartiene il Bangladesh, da millenni si porta dentro il sistema delle caste, che sottolinea in maniera lacerante la diversità dei gruppi e degli individui legata alla nascita con la stratificazione infinitesimale di chi ha più diritti e di chi ne ha meno o addirittura nessuno . E’ difficile dire se si tratta sostanzialmente di un fenomeno culturale, a cui si è aggiunto poi l’aspetto religioso o se la visione religiosa precede la ramificazione di questo tessuto che investe ogni aspetto della vita associata. Neppure gli studiosi di Induismo si trovano d’accordo nel definire chiaramente la natura del fenomeno, anche se recentemente si propende per una spiegazione culturale piuttosto che religiosa. Infatti questa mentalità è diffusa e presente anche in Bangladesh, in cui la stragrande maggioranza della popolazione da secoli ormai è musulmana. La struttura stessa del villaggio è uno specchio fedele di questa società stratificata, con gli steccati mentali della differenziazione di casta. Infatti ogni gruppo umano, in base al suo barna (casta), ha anche una diversa collocazione topografica. Per cui abbiamo la para (=raggruppamento di case) dei bramini, quella dei commercianti, dei contadini, dei pescatori...e infine le varie para dei fuori-casta con i vari nomi legati al tipo di lavoro che fanno. I Muci o Rishi, per esempio, che sono i fuori-casta di Chuknogor, erano scuoiatori di carogne. Lo stigma dell’intoccabilità è rimasta attaccata sulla loro pelle anche se non fanno più quel mestiere. La mia identificazione con loro è cominciata nei 12 anni trascorsi nella missione di Borodol. Mi ricordo che quando la gente dei villaggi, che attraversavo, mi vedeva passare, soprattutto i bambini, gridava Mucider Father asce (sta arrivando il padre dei Muci). Per me naturalmente è stato un titolo di vanto.

Se almeno i fuori-casta cercassero di fare unione fra di loro e di coalizzarsi, potrebbero fronteggiare tanti soprusi che vengono perpetrati nei loro confronti. Invece no, perché un Muci si sente superiore al Kaura (=guardiano porci) o al Methor (=colui che pulisce i cessi, che in bengalese vengono chiamati paykhana, parola che indica sia il luogo sia la sostanza).

Questa lunga premessa è stata necessaria per capire quello che sto per raccontare. Terminata la celebrazione eucaristica, mi si avvicina il guardiano della missione, che è un musulmano e mi dice: Father, schooler paykhana theke oshombob ghondo! (in Italiano: dal cesso della scuola viene fuori una puzza tremenda!). Capisco al volo, per esperienza ormai, che si tratta di un trasbordo del pozzo nero e mi predispongo al dafarsi. Il guardiano naturalmente si aspettava che gli dicessi di chiamare i Methor e non si aspettava certo che io diventassi il Methor di turno. Ho fatto la mia colazione da solo perché il P. Sergio è ancora in Italia per il suo turno di vacanze e poi mi sono attrezzato per l’operazione che ha colto tutti di sorpresa. Mi sono procurato un secchio ed una pala e via verso il pozzo nero. Mi sono mascherato per bene il naso, ho scoperchiato il pozzo ed ho proceduto all’operazione. Come d’incanto sono scomparsi tutti dalla circolazione, lasciandomi solo nel mio lavoro. Nessuno si è azzardato a darmi una mano, perché il rischio è grosso e nessuno vuol passare per Methor agli occhi degli altri. Così mi sono trasportato i miei 50 secchi, che tra l’altro rendono un ottimo servizio all’orto che ho appena zappato.

Forse vi aspettavate un altro tipo di racconto da chi ha vissuto più di 25 anni di missione in Bangladesh, ma anche questo penso serva per completare il quadro. Soprattutto è un elemento integrante di quella tradizione, di cui parlavo all’inizio e che è volta a cambiare la mentalità della gente, che crede che un certo tipo di lavoro contamina l’uomo, segregandolo dagli altri e rendendolo intoccabile o paria. Sono certo che questo mio gesto sarà tramandato alle generazioni future e diventerà anch’esso un punto di riferimento per chi vuol diventare discepolo di Gesù. Spero di raccontarvi qualcosa di diverso nel futuro, parlandovi magari dei frutti del mio orto, concimato così abbondantemente.
Ricordatemi al Signore.

Bangladesh, 2 ottobre 2002

P. Antonio Germano Das, S. X. antoniogermano2@gmail.com

 

foto 1. una strada decorata che porta al presepe

foto 2. la strada che porta ad uno dei 45 presepi

foto 3. murales natalizi

foto 4. uno dei tanti presepi

foto 5. altro presepe



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Chuknagar, 03.12.2014

RICORDANDO P. SERAFINO DELLA VECCHIA S.X., MORTO DI CANCRO IL 24 APRILE 1979, ALL’ETA’ DI SOLI 52 ANNI

Carissimi amici,

oggi, festa di S. Francesco Saverio, patrono delle missioni e nostro patrono, noi Saveriani ci siamo ritrovati a Khulna per festeggiarlo. Tra le mie scartoffie ho trovato una testimonianza su P. Serafino Della Vecchia, che era stato tanti anni prima di me a Borodol. Era stato operato di cancro allo stomaco e dopo l'operazione era tornato in Bangladesh con il desiderio di stare con me a Borodol. Poi però il male tornò a farsi vivo e rientrò in Italia. Ve la mando come un momento molto particolare della mia missione in Bangladesh.

Un abbraccio. Antonio

 

Molte volte avevo ripetuto a me che bisognava scrivere qualcosa su Serafino. L’avevo sentito come un dovere ed un impegno fin da quando Serafino ritornò a Borodol e con la sua gente celebrò l’apoteosi prima di consumare l’atto finale del suo sacrificio. Ma un senso di timore me lo ha sempre impedito, perché mi rendo conto che  non si può scrivere impunemente su Serafino; scrivere di lui, significa confrontarsi con lui. Poi ho letto il profilo apparso su “Notiziario Saveriano” e il fatto che nel coro di quelle testimonianze mancasse la mia è suonato per me un’accusa.
Il fatto fondamentale della vita missionaria di Serafino è stata l’identificazione con la sua gente secondo quel precetto di vita apostolica che risale a S. Pietro: assumere dall’interno e fare propria la fisionomia del gregge (1 Pt. 5,2). Naturalmente questo stile di vita che si pone in linea con una radicalità evangelica poneva degli interrogativi e lasciava interdetto qualcuno. Ancora recentemente il vescovo venendo a Borodol involontariamente stabiliva un confronto tra il mio metodo e quello di Serafino, dicendo che Serafino era diventato troppo naive e che lavorando con questa gente occorre invece mostrare inflessibilità e tenersi in linea con certi principi di azione. Sul momento mi ero sentito piuttosto lusingato, ma poi avevo trovato il commento troppo superficiale, se non ingiusto. Se Serafino è vivo nell’animo della sua gente, la ragione è una sola: lui ha voluto loro quel bene che si innesta alle radice dell’essere; li ha amati. Qui però l’amore è forza viva e trascende la capacità puramente umana del cuore. Amare un “Muci” significa essere disposti a lasciarsi imbrogliare; donare tutto e aspettarsi di essere bastonati; significa credere in loro, riporre in loro quella fede che essi non hanno ancora il coraggio di riporre in se stessi. Perché il nodo del problema di questa nostra gente è proprio qui. Da secoli essi sono stati calpestati da tutti; da sempre si son sentiti ripetere, prima dagli Hindu, poi dai Musulmani: “Voi non siete uomini, voi siete degli sciacalli”. A forza di sentirselo ripetere, si è creata dentro di loro la convinzione di essere effettivamente dei sotto-uomini e questo è il più grosso impedimento alla loro elevazione sociale. Ora Serafino aveva cominciato con loro un cammino di liberazione. E questo cammino di liberazione era stato intrapreso proprio a Borodol, che è la capitale ( rajdhani) della “Muceria” (il termine è stato coniato da noi addetti al lavoro).
Per me la vigilia di Natale dell’anno scorso(1978) ha tutto il sapore biblico degli eventi dell’Esodo. Quella notte era la prima volta che la chiesa di Borodol era illuminata dal generatore che Serafino stesso aveva recentemente portato dall’Italia. C’era una folla inverosimile che occupava ogni residuo spazio della chiesa. Erano venuti da tutti i villaggi vicini e i loro occhi lucidi di gioia comunicavano all’assemblea quel brivido di arcano che può venire solo dall’epifania del sacro. Ovviamente tra la folla c’erano gli avvelenatori, i ladri, i briganti; c’erano i matubbor (=capi-villaggio), che sempre e in tutti i modi avevano ostacolato il lavoro di Serafino. Ma in quel momento tutti si sentivano redenti dal ritorno del Padre. Serafino quella notte esordi’ dicendo: “ Vi ho portato la luce!...” e quella luce doveva essere il simbolo di una luce più chiara che avrebbe illuminato il cammino che avrebbero ripreso a percorrere insieme.
Poi aveva continuato dicendo: “Abbiamo commesso tanti errori; ne avete commessi voi e ne ho commessi anch’io; l’importante è non ripeterli e noi non vogliamo ripeterli”. Agganciandosi alla storia viva della sua gente con alcuni episodi significativi, paragonava poi la loro condizione a quella degli Ebrei schiavi del Faraone in Egitto. Tutti si sentivano abbracciati, consolati e redenti da quelle parole e nessuno si mostrava offeso per il fatto che li avesse chiamati a più riprese con il loro nome,”Muci”. Lui poteva farlo, perché era diventato uno di loro, ne aveva assunto tutte le miserie portandole fin sulla croce.
Quella fu anche l’ultima notte trascorsa da Serafino a Borodol. Sembrava che tutte le rimanenti sue forze fossero protese verso quel punto culminante. Era stato il suo anelito profondo quello di ritornare a Borodol, l’aveva sperato quasi contro speranza, nella coscienza del suo male, che aveva ripreso a consumarlo. La sua fede lo faceva andare oltre. Era ritornato in Bangladesh con il proposito di impostare in maniera diversa la sua missione, di inaugurare un nuovo modo di presenza tra la gente. Si era documentato sulle pubblicazioni più “à la pace” in fatto di Bibbia, di catechesi, di missionologia; aveva portato opere monumentali sull’Induismo e sul Musulmanesimo. Sembrava che volesse ricominciare da capo la sua vita di missione. A più riprese aveva manifestato il desiderio che la missione di Satkhira diventasse un centro di studi per tutti i padri che operano in zona “Muci”. Soprattutto voleva che si iniziasse uno studio sistematico a livello storico e socio-etnografico sulla nostra gente. Si era acceso di entusiasmo quando aveva sentito che fra di noi si parlava della “Linea Muci” come possibile futuro della chiesa di Khulna. Tutto quello che si riferiva alla sua gente lo faceva vibrare nel profondo.
Ricordo ancora l’ultimo incontro che ebbi con lui all’ospedale di Jessore quando da Borodol gli portai indietro la sua roba. La morsa del dolore lo attanagliava fino allo spasimo, la fibra dell’uomo appariva distrutta eppure voleva sapere gli ultimi fatti di Borodol, dove lui aveva sperato di essere sepolto. Congedandomi da lui,  in procinto di partire per l’Italia, mi ricordo di avergli detto: “ Serafino, offri a Dio la tua sofferenza perché la “Linea-Muci” trionfi”. Questa mia espressione deve averlo scosso in quello che gli rimaneva di vita, come sentii più tardi da chi l’aveva assistito notte e giorno all’ospedale di Jessore. Appena ebbi varcata la soglia, serafino scoppiò in un pianto dirotto, che dava contemporaneamente sfogo a quell’atroce sofferenza fisica ed era anche il momentaneo grido di rivolta a Dio che gli si poneva dinanzi con il calice della Sua Volontà.
Questa mia testimonianza è ovviamente lacunosa, nel senso che molta della vita di Serafino ne è rimasta fuori e non risponde ad una linea di sviluppo logico. Ma ho voluto riferirla cosi’ come la sentivo dentro di me con l’urgenza di un obbligo verso Serafino.

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Borodol, 24 agosto 1979

P. Antonio Germano Das, S. X. antoniogermano2@gmail.com

 


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Dinajpur, 02.10.14  

IL NOME DELL’ASRAM: JOPOMALA RANI TIRTHYA MONDIR

 


Carissimi amici,
Questa mattina, dopo un viaggio durato intorno alle 13 ore, sono approdato in questa oasi di pace, dove mi fermerò tutto il mese di ottobre. Il nome dell’asram è: Jopomala Rany Tirthya Mondir e cioè: Santuario della Regina del Rosario. Si trova nell’estremo nord-ovest del Bangladesh alla periferia di Dinajpur, che è capoluogo di provincia e insieme sede di una delle diocesi più antiche del Bangladesh. L’evangelizzazione nella zona risale al diciassettesimo secolo e all’epoca  Dinajpur apparteneva alla missione di Krishnagar del Bengala Orientale. I missionari del PIME vi arrivarono nel 1855 e Dinajpur fu costituita diocesi nel 1927. Primo vescovo fu Mons. Santino Taveggia, missionario del PIME, che ha anche delle attinenze con Duronia, in quanto P. Taveggia fu uno degli educatori del nostro amatissimo Don Alfredo Ricciuto. La maggior parte dei Cristiani di Dinajpur è di origine tribale: Santal, Garo, Urao, ecc. L’attuale vescovo è di origine tribale e si chiama Mons. Sebastian Tudu.
Note di viaggio. Dopo diversi anni ho fatto di nuovo un viaggio in treno qui in Bangladesh. Avevo prenotato un posto in cuccetta con ora di partenza alle nove di sera. Il costo del biglietto è di 725 Take, l’equivalente di 7 Euro e cioè 3 giorni di paga di un operaio. E’ stata un’impresa entrare in cabina. In questo inizio di ottobre c’è la coincidenza della Durga Puja e cioè della festa più importante degli Hindu e dell’Eid-Ul-Ajha dei Musulmani, che ricordano il sacrificio di Isacco, che per loro è Ismaele. Una massa enorme di gente che si muove: una cosa impossibile a credersi se non la si vede. Per raggiungere il mio posto in treno non sapevo dove mettere i piedi. Ho respirato quando ho raggiunto la cabina: 4 posti a dormire ed io unico passeggero. Qui per me è iniziata un’altra angoscia: vedere gente che, sistemata in quel modo, avrebbe viaggiato tutta la notte ed io, da solo, in quello spazio che mi riconduceva finalmente ad uno spazio umano. Mi piangeva il cuore. Avrei voluto aprire la porta e fare entrare quelli che erano assiepati nel corridoio promiscuamente: uomini, donne e bambini. Cosa sarebbe successo? Una fiumana si sarebbe riversata dentro trasformando la cuccetta in una bolgia, senza dire che le guardie di scorta al treno non avrebbero permesso il mio gesto o lo avrebbero permesso a chi era in grado di dare loro una mancia, che qui si chiama ghush. Mi sono così rassegnato a viaggiare nella mia posizione di privilegiato. Dette le mie preghiere della sera, mi sono sdraiato nella mia cuccetta, ovviamente senza lenzuola e senza cuscino e con animaletti che circolavano intorno. Completava il resto il rumore delle rotaie btpom-btpom che mi rimbalzava nel cervello. Ad ogni modo sono riuscito a regalarmi qualche ora di sonno. Il problema è che per quelli come me, 75 anni compiuti, la notte ci sono necessità impellenti. Mi sono alzato la prima volta ed ho aperto la porta. Vedere quella fiumana di gente sdraiata e accatastata nel corridoio mi ha tolto il coraggio e sono ritornato sui miei passi. Però l’urgenza è urgenza e così mi sono alzato di nuovo e questa volta son partito deciso. La guardia di turno mi ha scortato verso la toilette, anch’essa assiepata all’inverosimile. Alle 8 di questa mattina ho potuto così terminare il mio viaggio in treno. Alla stazione di Saidpur scendo e prendo un riksho, che mi porta alla stazione delle corriere. Salgo sul pulman, assiepatissimo, che in due ore mi porterà a Dinajpur.
Ad attendermi c’è un saveriano, p. Gianvito Nitti di Castellana di Bari, che da qualche anno si trova a Dinajpur per offrire un servizio pastorale a questa diocesi. P. Gianvito era stato con me l’ultimo periodo che io avevo trascorso nella missione di Borodol, vale a dire 24-25 anni fa. Dopo i convenevoli, lui mi accompagna all’asram, da cui sto scrivendo queste poche righe per voi, cari amici, che mi accompagnerete durante questo mese con la vostra preghiera. Cosa farò? Ripercorrerò i miei 50 anni di vita come missionario, tenendo lo sguardo al futuro in prospettiva escatologica:Maranatah! Vieni, Signore Gesù! Con un grande abbraccio , vi saluto tutti oggi 1 ottobre 2014, festa di S. Teresa, Padrona delle Missioni.

 P. Antonio Germano Das, S. X. antoniogermano2@gmail.com

 

 

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Chuknagar, 16.09.14  

75 ANNI DI ETÀ E 50 ANNI DI SACERDOZIO!

 

Carissimi amici,
Tra le scartoffie, che conservo gelosamente  come pietre miliari nel tragitto della mia vita, ho ripescato un quadernetto, che ha 50 anni di vita e si riferisce all’epoca della mia ordinazione sacerdotale. Non l’avevo più rivisitato. Ricorrendo in questo settembre il mio 75° anno di età ed il prossimo ottobre il 50° di sacerdozio, la curiosità mi ha spinto a riprenderlo in mano. Le tarme non l’hanno intaccato né la muffa l’ha in qualche modo rovinato nonostante le tante stagioni di piogge e le vicende dei cicloni in Bangladesh. Il quadernetto documenta dunque il corso del mese ignaziano fatto a S. Mauro Torinese insieme agli altri miei compagni di ordinazione (eravamo in 25) dal fine agosto al fine settembre del 1964. Vi ritrovo gli appunti presi e le riflessioni suscitate dall’ascolto della parola di Dio. Scorrendo quelle pagine, che mi portano indietro di mezzo secolo di storia, mi accorgo che la freschezza e l’entusiasmo degli anni giovanili ridondanti nelle note subiscono un improvviso arresto. Infatti mancava solo qualche giorno al termine del mese ignaziano quando mi giunse la notizia  che mia madre, sofferente da anni di cuore, si era improvvisamente aggravata e stava per morire. Lasciai subito Torino e arrivai a Duronia giusto in tempo per riabbracciare la mamma, che mi riconobbe e spirò nella notte tra il 14 ed il 15 settembre.
Ritornato a Parma, in occasione degli esercizi spirituali (18-25 ottobre 1964) in preparazione all’ordinazione sacerdotale, ripresi in mano il quadernetto per lasciarvi una nota di riflessione su quell’evento che mi aveva così profondamente segnato. Eccola:
“Dal 13 settembre mi hai tolto la penna dalle mani ed hai voluto scrivere Tu il diario della Tua visita. Io mi prostro ad adorare la Tua SS.ma Volontà, Signore. Tu mi volevi visitare ed hai voluto che tutto fosse pronto a riceverTi nella casa della mia anima: mi hai segregato per oltre 20 giorni perché la mia mente si aprisse alla Tua luce e, quando mi hai creduto pronto, sei venuto senza aspettare che finisse il mese, di cui mi davi Tu l’abbuono. Così sei venuto a farmi visita e, poiché, sempre, quando Tu Ti manifesti, l’uomo soffre, ho sentito anch’io il peso della Tua mano. Grazie, mio Dio! Tu hai voluto privarmi delle persone che con maggiore ansia hanno atteso questo giorno: l’anno scorso la nonna, il cui sorriso di Paradiso è fisso sempre nella mia anima e, adesso, alla vigilia della mia ordinazione, ti sei portata con Te la mamma. Cosa cerco io di sondare l’abisso del tuo mistero! Tu vuoi la vita per la morte e l’hai chiesta a mamma ed anche a me. E’ stata un ricamo della Tua Sapienza questa visita come lo sono le Tue visite senza che io ne faccia scoperta. Ora mi si profila per la porta che Tu mi apri domani la mia missione di prete missionario. Ti raccolgo tutti i sentimenti di questi 13 anni perché insieme possano far sentire la mia voce. Le ingratitudini, i tradimenti sono certo più numerosi, ma Tu li hai coperti col manto della Tua misericordia e mi sono perciò diventati anch’essi argomento del Tuo amore per me. A questo punto io dovrei poter presentare la materia del sacrificio, tutto in me dovrebbe essere bruciato perché Tu mi Ti si manifesti e nessuno che Ti ha visto può sopportare ancora la sua vita”.
Per rivivere l’evento della mia ordinazione sacerdotale, a 50 anni di distanza, nel mese di ottobre mi ritirerò in un asram nel Nord del Bangladesh. Nella quiete e nel silenzio, avrò così modo di riflettere e pregare. Tanti motivi per ringraziare il Signore e voi, amici, che in tutti questi anni mi siete stati vicini e avete reso possibile la mia missione tra i fuori-casta. Anche voi avrete un ricordo per me nella vostra preghiera, perché possa spendere con gioia e piena dedizione il resto dei miei anni annunciando tra gli Ultimi il Vangelo del Regno.

Un cordialissimo saluto

 

P. Antonio Germano Das, S. X. antoniogermano2@gmail.co


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Chuknagar, 29.06.14  

 

DAL BANGLADESH: LETTERA DI AUGURIO PER IL CINQUATESIMO DI SACERDOZIO DI DON FELICE FANGIO.

 

 

Carissimo Don Felice,

La mia lettera vuole essere una lettera di augurio per il tuo Cinquantesimo di sacerdozio e nello stesso tempo un ritorno a quegli anni memorabili che ci videro assieme prima nel Seminario vescovile di Trivento e poi nel Seminario regionale di Chieti. Il primo sentimento che emerge dalla memoria è quello della gratitudine verso il Signore per le personalità di grande spessore morale, spirituale ed intellettuale che Egli ci mise a fianco nell’iter formativo prima negli anni delle medie e del ginnasio a Trivento e poi negli anni del liceo e della teologia a Chieti.

Ricordi? Siamo nel secolo scorso. In quel 1951 eravamo una trentina, tutti tipi molto interessanti, a incominciare l’avventura. La maggior parte ha scritto la propria storia in diverse parti del mondo e qualcuno ha già raggiunto la casa del Padre. Ricordo, tra gli altri, un tuo compaesano, Antonio Lalli, che, per un gioco mirabile della Provvidenza, emigrato con i genitori negli Stati Uniti, si unì ai Missionari Saveriani del posto. Lo rividi nel 2000 ad Holliston negli USA insieme a mio cugino Antonio Morsella, anche lui un emigrato e nostro compagno di classe. Così, per l’occasione, dopo 45 anni, ci ritrovammo assieme i 3 Antonio. Nella stessa circostanza ebbi modo di incontrare un altro compagno di classe, Ciotola Romano, insignito del titolo di Monsignore e parroco di una grande parrocchia negli USA.

Che dire poi delle personalità che il Signore mise al nostro fianco in quegli anni? Mons. Giuseppe Mastrangelo, Vicario Generale e Rettore del Seminario, fu il nostro insegnante di italiano e latino dalla III media al V ginnasio, solido come una roccia: quello che apprendemmo da lui ci bastò per tutto il liceo ed oltre. Don Geremia Carugno, padre spirituale dalla I media al V ginnasio, era un asceta e fu anche nostro insegnante di francese. Don Remo Quaranta, il vicerettore di ferro per quasi tutto il nostro quinquennio, fu anche nostro insegnante di matematica. Don Raffaele Mucilli fu nostro insegnante di italiano e latino in I media. Ricordi le orecchie di asino sempre pronte per chi non studiava? Dopo di lui, Don Antonio Chinni,  l’ultimo superstite di quell’epoca,immagino, fu nostro insegnante di italiano e latino in II media. Cosa dire poi di Don Elreo Petti, il cantore delle 7 Parole il Venerdì Santo in Cattedrale? Fu nostro insegnante di matematica e storia: a riguardo tu avresti tante altre storielle da raccontare! Don Furio Fiocca con il suo timao/timò fu il nostro ineffabile insegnante di greco: “’n sa nient! Zero a Mucilli, zero a Ginotto!”. Una ventata di aria nuova accompagnò la venuta di Don Antonio Cerroni come vicerettore.

In quegli anni capitò fra noi una figura straordinaria di missionario. Si chiamava P. Alfeo Emaldi ed era un Saveriano come me ed era stato espulso dalla Cina di Mao. Per paura di svelare il nome dei cristiani durante il processo, mentre era in carcere si tagliò la lingua. Eravamo allora in terza media. La nostra fantasia incominciò a vagare in quei luoghi lontani in cui il nome di Gesù non era ancora conosciuto e l’ansia missionaria cominciò ad accendersi nei nostri cuori. L’austerità di quegli anni è rimasta proverbiale. Non avevamo uno spazio per giocare e, negli inverni rigidi, durante il tempo delle ricreazioni, si correva nei corridoi  per riscaldarsi. Austerità e disciplina furono per noi maestre di vita: usciti da Trivento eravamo pronti per affrontare qualsiasi genere di difficoltà. Per gli esami di V ginnasio ci recammo a Vasto, ospiti dei Fratelli delle Scuole Cristiane, se non sbaglio. Memorabile esperienza anche quella, focalizzata attorno alla figura di Fratel Crispino.

Poi ci fu il salto a Chieti nel Pontificio Seminario Regionale sotto l’egida di Mons. Cleto Bellucci. L’orizzonte un po’ precluso dentro le mura della fortezza del seminario diocesano cominciò ad allargarsi: nuovo ambiente, volti nuovi e primo impatto con un’altra realtà, che ti ridimensiona e ti costringe a cambiare per crescere in maturità. In prima liceo eravamo una falange di 40 elementi provenienti dalle varie diocesi dell’allora regione abruzzese. Spicca di primo acchito tra i professori Don Antonio Macchione, circondato da numerosi aneddoti. Tu una volta gli sciorinasti a memoria, l’uno dopo l’altro, tutti i canti dell’Inferno. Don Angelo Carena, professore di letteratura greca e latina: splendida figura di sacerdote oltre che professionalmente competente come insegnante. Don Pamfilo De Pamfilis era il professore di matematica e fisica che ci teneva a bacchetta con la sua matitina del “terrore”. Il prof Sanvito, insegnante di storia, cominciò ad introdurci nei meandri della politica, apertamente patrocinatore del centro-sinistra a quei tempi. Don Ottavio de Cesaris era il Maestro e tu eri un suo pupillo per il tuo talento musicale. Indimenticabili anche quei sacerdoti slavi, il prof. Stefano Vacovic, nostro insegnante di filosofia sistematica e di scienze ed il prof. Skarvada, insegnante di religione negli anni del liceo e professore di teologia dogmatica negli anni successivi. Ci fu poi l’incontro con il prof. Piero Pierini che ci introdusse nel mondo biblico attraverso lo studio della lingua ebraica e l’approccio illuminato ai libri sacri. Per chiudere la rassegna, altri personaggi ovviamente rimangono  fuori, ricordo Mons. Ferrante, professore di teologia morale e diritto canonico.

Gli anni di liceo e teologia a Chieti furono anni splendidi. Erano gli anni della nostra gioventù aperta agli ideali fascinosi di un mondo nuovo, che troveranno poi sbocco nel Concilio Vaticano II. Il 1961 fu una data memorabile nella storia del Seminario Regionale: ben 11 rappresentanti partecipammo al Convegno Missionario Nazionale che si svolse a Vicenza in settembre. Tra i partecipanti c’eri tu e c’ero anch’io. L’anno successivo, in ottobre, la mia scelta di entrare tra i Saveriani per realizzare la mia chiamata alla missione. Da allora le nostre due vite si separarono geograficamente, ma rimasero idealmente unite nella stessa missione: “Lo Spirito del Signore è sopra di me…  e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi.” (Lc. 4,18).

Caro Don Felice, oggi 29 giugno 2014, festa dei SS. Pietro e Paolo, ricorre il cinquantesimo della tua ordinazione sacerdotale: ti sarò vicino con la mia preghiera e con l’affetto di sempre. Spero di essere di essere ricambiato da te il prossimo 25 ottobre, giorno del mio cinquantesimo. Il Signore ci mantenga fedeli e gioiosi fino al suo ritorno. Un fraterno abbraccio.

Un cordialissimo saluto

 P. Antonio Germano Das, S. X. antoniogermano2@gmail.com

 


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Chuknagar, 29.06.14  

RISPOSTA ALLA LETTERA DEL VICE PRESIDENTE DELLA REGIONE MOLISE

(Lettera)

 

 

 

 

 

Carissimo Michele,

grazie di cuore per le tue parole di condivisione. Nei miei 37 anni di presenza in Bangladesh sarebbe questa la prima volta, a livello di Regione Molise, che qualcuno se ne accorga. Temo di ripetere anche a te quello che dissi al Vice Chancellor in quella circostanza. Lui è un Musulmano (laico, ovviamente) e la maggioranza dei nostri fuori-casta sono di estrazione Hindu. Ricevendo la targa dalle sue mani alla presenza di tutti dissi: "Ho paura di ricevere questo premio, perché quando mi presenterò dinanzi al mio Guru, che è Gesù, Egli non abbia a dirmi: Tu hai già ricevuto il premio! Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date"

 

Un cordialissimo saluto. p. Antonio Germano Das, sx.

 P. Antonio Germano Das, S. X. antoniogermano2@gmail.com


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Chuknagar, 27.04.14  

 

RELAZIONE SULL’ATTIVITA’ MISSIONARIA A CHUKNAGAR

ASSEMBLEA SAVERIANA DI APRILE 2014

 

 

BREVE PREMESSA STORICA. Da 13 anni vivo a Chuknagar ed ho così superato i 12 anni trascorsi a Borodol. I primi 5 anni lavorai insieme a P. Sergio, allora in charge della missione. L’allora superiore regionale, P. Valoti, mi aveva mandato a Chuknagar con l’intento di iniziare il percorso catecumenale con coloro che avevano chiesto di diventare cristiani. Alla partenza di P. Sergio, fine 2005, per 3 anni  da solo cercai di portare avanti la variegata attività della missione. Successivamente vennero a stare con me i PP. Melecio e Yulius, che rimasero a Chuknagar due anni ciascuno. Nel maggio dell’anno scorso rimasi di nuovo solo. All’inizio di quest’anno, fui richiesto da P. Giacomo, superiore regionale, di ospitare e seguire i due postulanti saveriani, Biplob e Tuphan, che a fine giugno dovrebbero recarsi in Messico per il noviziato.

Veniamo ora ai punti richiestici per la relazione all’assemblea S. X. Di aprile:

  1. QUALE VISIONE? Ci si chiede innanzitutto quale visione di missione ispira la nostra attività e quale la coerenza tra visione e prassi. Posso affermare che la visione è ancora quella  iniziale che ispirò l’apertura della missione a Chuknagar e cioè l’annuncio del Regno così come venne proclamato da Gesù nella sinagoga di Nazareth: “Lo Sprito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione; e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi” (Lc. 4,18).

Devo dire che mi ritrovo pienamente in questo proclama, che è insieme la ragione e forza della mia vita come missionario. I Dalit della nostra zona portano nel nome lo stigma della schiavitù: si chiamano infatti Das,che significa schiavo. Il nome non lo hanno scelto loro ma glielo hanno appioppato come a dire: “Ricordati che sei schiavo e tale devi rimanere”. Ma esattamente 34 anni fa la luce di Cristo ha aperto gli occhi ai nostri che erano ciechi in quanto accettavano supinamente la loro condizione. E’ così cominciato per loro quel cammino di liberazione che nessuno potrà più arrestare. Di questo ne sono certo e per me è quasi una fede messianica. Identico dunque il messaggio, identici i destinatari, come ai tempi di Gesù, cambia solo il messaggero, che proclama sì il messaggio nel nome di Gesù, ma nella consapevolezza dei propri limiti, a cui si aggiunge poi anche il peso dell’età. Adeguare la metodologia alla visione in una linea di coerenza è quello che cerco di fare.

La routine che lega alla piccola comunità cristiana è molto impegnativa. L’impostazione data fin dall’inizio è molto esigente e richiede da una parte freschezza perché l’annuncio risulti sempre nuovo e dall’altra costanza, che corre il rischio di rendere ripetitivo il messaggio. Mi accorgo per esempio che per i giovani ci vorrebbe qualcosa di nuovo e diverso, in connessione anche con i media, che potrebbero rendere più vivo e attuale il messaggio.

  1. SECONDO QUESITO: Nel posto dove lavori esistono altri ambiti bisognosi del primo annuncio e non toccati dalla tua attività? La domanda penso abbia bisogno di una chiarificazione. A mio parere esiste un primo annuncio implicito ed un primo annuncio esplicito. Il movimento di coscientizzazione iniziato nella zona 34 anni fa attraverso la nostra presenza e attività penso possa definirsi annuncio implicito in quanto si proclamano con forza i valori del Regno in un contesto in cui esiste una profonda esigenza di essi. Si vivono infatti situazioni di oppressione, discriminazione e  ingiustizia palesi, che reclamano un livello di vita più umano. In questo campo molto è stato fatto e si continua a fare e, come dicevo sopra, si è innestato un processo di liberazione che nessuno potrà più fermare. Chuknagar è riconosciuto come il centro imprescindibile, senza del quale niente si sarebbe mosso e rimane per tutti un punto di riferimento per attingere luce e forza per nuove conquiste. Anche se noi dovessimo venire a mancare, la fiaccola non si spegnerà. In uno degli ultimi incontri, che si svolgono con una certa frequenza nel training center intitolato a S. Guido M. Conforti, rivolgendomi ai Dalit, in gran parte giovani e provenienti da un’ampia area, quando è toccato a me dire due parole, esordivo così: “Se guardate a me e a quelli che mi sono a fianco(c’erano per la cronaca i PP. Luigi e Sergio), beh! Io sono il più vecchio, ma gli altri mi seguono nella scia. Verrà un giorno in cui noi non ci saremo più, ma ce andremo con la certezza che la nostra presenza si moltiplicherà attraverso voi che ci ascoltate e che sarete voi perciò a portare avanti questo cammino di liberazione tra la nostra gente”.

Per quel che riguarda l’annuncio esplicito, siamo ancora limitati a Chuknagar. Per la verità altri villaggi hanno fatto richiesta di voler conoscere Gesù e il suo Vangelo. Per un duplice motivo non son potuto venire incontro alla loro richiesta. Innanzitutto perché, essendo da solo, non sarei in grado di portare avanti con loro un cammino catecumenale, assai impegnativo, che richiede presenza e condivisione con la gente. La seconda ragione è che in quasi ogni villaggio Rishi della zona c’è la presenza di qualche denominazione protestante e quindi fin dall’inizio mi sono rifiutato per non aumentare la confusione già esistente. Nella Pasqua di quest’anno ho conferito i sacramenti della iniziazione cristiana ad una famiglia di Maltia, un villaggio a due km di distanza da Chuknagar, che da vari anni ha partecipato agli incontri biblici e alla messa domenicale.

  1. TERZO QUESITO: Pensi che il lavoro che stai facendo si possa lasciare alla chiesa locale o affidare ad altri in modo da poter fare un lavoro più missionario come saveriano? Nella missione di Chuknagar c’è la compresenza di due realtà. Al centro abbiamo la comunità cristiana di una cinquantina di famiglie e attorno a Chuknagar si dispiega la nostra presenza nei 13 villaggi attraverso il Tuition Program. Per quello che posso percepire, ma posso anche sbagliarmi, la chiesa locale è interessata soltanto all’attività pastorale, intesa come cura dei cristiani, e non mostra nessun interesse per la missione che i Saveriani svolgono tra i Dalit. A riguardo qualche conferma è dalla mia parte. Sudhangsho, il catechista di Chuknagar, partecipa regolarmente agli incontri mensili organizzati dalla parrocchia di St. Joseph ( la cattedrale della diocesi a cui giuridicamente apparteniamo come comunità cristiana) e riferisce puntualmente quello che facciamo a livello di comunità cristiana e a livello di azione missionaria tra i Rishi. Nell’assemblea pastorale dell’anno scorso, nella relazione della parrocchia di St. Joseph nessun accenno e neppure il nome vien fatto di Chuknagar. Nei miei 37 anni di presenza in Bangladesh ho sempre partecipato attivamente a questo evento pastorale. Quest’anno riferendo le ragioni appena accennate al nostro parroco, Fr. Martin Mondol, gli ho detto che quest’anno io non sarei andato a Jessore e non avrei mandato nessun  rappresentante da Chuknagar. Mi illudevo pensando: “Almeno si chiederanno il perché non sono andato”. Ho riferito la cosa a P. Valoti, il quale con la sua classica risata mi ha detto: “Non illuderti, nessuno mai si chiederà il perché!”

Rispondendo quindi al quesito, si può dire: certo qualcuno dei sacerdoti locali, ben motivato, che non abbia pregiudizi nei confronti dei Rishi, potrebbe venire a lavorare a Chuknagar, seguire la comunità cristiana e rendersi conto di quanto sia ampio il raggio di azione della nostra missione. La presenza saveriana, a mio parere, deve continuare a rimanere nella zona fino a quando ci sono Saveriani che credono nel progetto Rishi e sono pronti a spendere tempo ed energie per loro.

 

 

 P. Antonio Germano Das, S. X. antoniogermano2@gmail.com

 


 

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Chuknagar, 08.01.14  

 

 

ELEZIONI POLITICHE IN BANGLADESH: 5 GENNAIO 1914

 

Lo scorso 5 gennaio si sono svolte le elezioni politiche in Bangladesh, che sono state precedute e accompagnate da un clima di disordine e di violenze senza precedenti nella sua storia, che comincia nel 1971 con la guerra di liberazione dal  Pakistan. Il clima rimane teso anche dopo le elezioni con scioperi ad oltranza e blocchi stradali, che continuano ormai da mesi, causando disagi enormi alla povera gente che vive del lavoro. Grazie a Dio, noi qui a Chuknagar abbiamo potuto trascorrere un Natale sereno, anche se per due o tre giorni abbiamo avuto un nutrito cordone di polizia, ma altrove si sono registrati episodi di violenze con morti, feriti, incendi e saccheggi.

          Chi è fuori del Bangladesh non può comprendere questa situazione di anormalità che accompagna tutta la breve storia di questo paese. Il governo, che ha indetto le elezioni, era formato dal maggiore partito politico, che è l’Awami League, sostenuto da altri partiti minori. Il premier è una donna, Hashina, figlia di Mujibur Rahaman, padre della patria, assassinato in un colpo di stato nel 1975. L’Awami League è un partito di ispirazione laica e quindi aperto alle altre realtà presenti nel paese. Per tradizione è legato all’India, che aveva sostenuto il Bangladesh nella lotta di indipendenza dal Pakistan

          Il maggior partito all’opposizione è il BNP (Bangladesh National party), capeggiato anch’esso da una donna, Kaleda Zia, vedova di Ziaur Rahaman, fondatore del BNP, un militare andato al potere nel 1976 in un colpo di stato e assassinato, a sua volta in un colpo di stato nel 1982. La scena politica degli ultimi decenni è dominata da queste due figure di donne che si alternano al potere. Il BNP è per tradizione alleato al Jamaat-e-Islami, che è un partito fondamentalista islamico, alleato a suo tempo al Pakistan nella guerra di liberazione e ancora adesso strettamente legato al Pakistan e ai paesi arabi da cui viene finanziato. Il Jamat-e-Islami è stato recentemente messo fuori legge per la sua attitudine alla violenza. La rabbia è esplosa negli ultimi mesi da quando un tribunale speciale ha condannato a morte alcuni esponenti del suo partito, che nel 1971 si erano macchiati di crimini di guerra. Da allora, in continuità, hanno invaso le strade quasi in ogni parte del paese, bruciando e saccheggiando perché la sentenza di morte non venisse applicata. Ma lo scorso 16 dicembre, che in Bangladesh viene ricordato come il giorno della vittoria sul Pakistan, c’è stata l’esecuzione capitale per impiccagione di  Quader Mollah, uno dei maggiori criminali. Da allora in poi le violenze non hanno avuto  più tregua e si sono rivolte soprattutto contro le minoranze Hindu e Cristiane, ree di appoggiare l’Awami League.

          Poi ci sono state le elezioni a senso unico, boicottate dai partiti all’opposizione, che  volevano che le elezioni si svolgessero sotto un governo provvisorio, formato da esponenti di tutti i partiti, che garantisse la libera partecipazione alle elezioni. L’Awami League invece ha sostenuto che la lezioni debbano svolgersi secondo la costituzione, che prevede lo svolgimento sotto l’egida del governo al potere. C’è stata una lunga trattativa, ma le parti sono rimaste fisse sulle loro posizioni. Così il 5 gennaio ci sono state le elezioni con percentuale di partecipazione molto bassa, anche perché in tanti posti ci sono state minacce e violenze contro chi andava a votare.

Si è creato così uno scenario, che rispecchia a più di 40 anni di distanza quello della guerra del ’71. Come allora, l’Awami League si fa forte dell’appoggio dell’India, la quale non ha nessun interesse a vedersi stretta da due stati islamici, cosa che accadrebbe se il BNP andasse al potere con l’appoggio del Jamaat-e-Islami. D’altra parte l’America e l’Occidente in genere, che non vogliono rompere con il Pakistan, sembrano parteggiare per il BNP. Da parte nostra e con noi tutte le minoranze da sempre siamo con l’Awami League, che è un partito laico e garantisce le libertà fondamentali. In questa situazione  chi ci va di mezzo è sempre la povera gente, perché da mesi ormai il paese da scioperi, blocchi stradali, assalti diurni e notturni. C’è un diffuso senso di paura. Sembra trovarsi in un vicolo cieco e non si che sbocco possa avere il bel tutto. Noi speriamo, speriamo e crediamo che alla fine prevalga il buon senso e si ritorni ad un clima di serenitè e di reciproco rispetto.

 

 P. Antonio Germano Das, S. X. antoniogermano2@gmail.com


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