“Come velame che cade”

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Viaggio lirico nelle terre Molisane

di Ida Di Ianni - fb

1 marzo 2024

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Il libro “Come velame che cade - Viaggio lirico nelle terre Molisane” di Valentino Campo sarà presentato questa sera a Frosolone nella sede della Pro Loco alle h.18:30.
Questo è un viaggio fisico e mentale, un viaggio che lascia tracce nell’anima, disvelando ombre, illuminando angoli, scoprendo spazi altrimenti nascosti all’occhio del passeggero che – muovendo veloce e, come usa dire, “alla scoperta” – pensa di conoscere questa terra, il Molise, attraverso immagini e descrizioni al più edulcorate e ferme nel tempo. Mitizzate oltre ogni plausibile evidenza.
Questo libro, invero, è una scelta: per chi lo ha scritto e per chi abbia la ventura di leggerlo.
Il Molise di questa sabana “scontrosa e celata grazia” è infatti la fotografia di una terra che rifulge di passate glorie più che di splendori presenti, una terra che trasuda in ogni angolo ancestralità e arcaicità – a ben guardarne per vie tortuose e sinuose, ammantate di boschi e foreste, percorse da fiumi a volte vorticosi e attraversate da montagne, riparo di uomini e armenti di secoli andati.
Una terra dal cuore selvaggio e granitico, di genti natie e di invasori; terre imbevute di sangue, scosse dal ferro e bruciate dal fuoco; divinità agresti e austere; pascoli, greggi e cereali e lo scintillio del mare Adriatico.
Una terra che – se non sai - è difficile che tu conosca.
Se solo volessimo fermarci alla semantica delle parole dei versi, dovremmo ricorrere ad aree relative ad asprezza, asciuttezza, irruenza, vorticosità, nascenza e rinascenza, guerra, confine, transiti, partenze, abbandoni di spazi che non servono più.
E tempo, che è polvere e usura, dimenticanza di uomini e cose: entrambi che non ci sono più.
Il Molise resta dunque nel volume nella sua anima antica, nella sua storia di vite e di morti commista a leggende, nel genius loci di luoghi battuti dal vento, alberghi di storie concluse, di esistenze finite e di paesi ormai al tramonto.
Il silenzio ad avvolgere quel che è ora nel rumore di un tempo che ha inghiottito ogni cosa.
Spazi da sor-volare per vedere dentro la fotografia del maestro Bertelli e, di fianco, la poesia del maestro Campo per entrarvi, ancora, dentro. Il bello e il buono di questo capolavoro: la fotografia e la poesia. L’una il fermo, l’altra il moto. Quello che vedi e quello che senti. Uni-sòno.
Fotografie, quelle di Pino Bertelli, che confonderete mai tra la selva selvaggia di chi oggi improvvisa e scatta, perché queste sono fotografie “particolari” nel valore bivoco del termine: non definiscono, non identificano, non collocano infatti; colgono invece al minimo, dopo aver ristretto l’obiettivo al nucleo, alla matrice, all’origine dell’oggetto fotografato. Sembra quasi che l’obiettivo sia stato posto in un angolo, sapientemente e in precedenza vagliato, e l’artista paziente abbia poi atteso l’illuminazione dello scatto, il riverbero improvviso della luce, il guizzo rapace del fiume, il frusciare suadente delle foglie, il moto infinito delle nuvole, la staticità dolente del paesaggio o quella malinconica delle stanze in abbandono.
Tutto parla all’artista che, fermo, ascolta.
Per vedere, bisogna dunque aguzzare la vista, ri-cercare nella memoria se quell’immagine c’è.
E siate certi che quella non c’è, perché se non ci accostiamo all’immagine con la volontà di entrare nel bianco e nel nero – i colori primari che dicono del bisogno di andare alla sola essenza, ai primordi degli elementi rappresentati –, non si comprende il dove, quale profilo di monte si stia apprezzando, quale dimora si stia riconoscendo, quale strada si stia percorrendo.
Allora, queste fotografie vanno scorse fidando sulla lentezza e, se fosse, con una lente a ingrandire il particolare che del luogo si è voluto evidenziare. Caratterizzare così, tornando all’origine, a quello che conta, in questa poderosa struttura portante.
In totale fusione con le immagini è la poesia, che disvela la coltre della storia e della memoria comune, per divenire strumento molto potente di un canto che va oltre ogni immaginabile limen: il poeta Valentino Campo, così come il fotografo Bertelli, si pone anch’egli in ascolto e “sente” scaturire dalle viscere della terra parole che incanala in verso, vivendo e de-scrivendo – nel vicino – quel che gli giunge da lontano, in una dimensione a un tempo simbolica e panica: il poeta non scrive poesie, non ricerca bellezza e musicalità del verso, ma diviene la poesia stessa. Scompare, capace, nella parola stridente e tagliente come lama.
E l’effetto è dirompente, fiume che rompe gli argini, natura che esplode in tutto il suo vigore, un qualcosa di inarrestabile, di inarginabile e di incontenibile nel verso stesso, che si ispessisce, rinvigorisce di parole scelte e potenti di una forza evocativa che solca ogni pagina.
Non si è capaci così di dire diversamente dal poeta, senza rischiare di sminuire e di svilire una materia assai degna del genere epico nei suoi esiti alti e sublimi.
Ogni elemento di quest’opera concepita e scritta a due mani, concorre dunque a restituirci un senso di grande pienezza e di bellezza: senza sensazionalismi, senza colori sfavillanti, senza parole che non siano la voce pura e possente dell’uomo e della natura, che qui si manifestano senza veli e infingimenti in un tutto panico che si è voluto definire e raggiungere negli esiti.

di Ida Di Ianni - fb

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