“BLUE 21”

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Le narrazioni di Giuseppe Pittà, poeta, scrittore e giornalista molisano

di Giuseppe Pittà

19 Gennaio 2024

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Come correre sul filo di acciaio sospeso tra due palazzi, un rasoio che può tagliarti in due in ogni momento del tuo passaggio, la negazione complessiva di una qualche serenità. 
Il benessere che deriva dalla vicenda non permette la tranquillità necessaria. C'è qualcosa che non torna, non puoi avvicinarti e circondarti di strane storie e sentirti ancora incontaminato e puro siccome un angelo. Sei parte comunque di un viaggio, che riconosci malavitoso e pur se ne sei toccato marginalmente, comunque ne sei toccato e il desiderio di allontanarti da tutto questo, pure se ti costerà in qualche modo, è al centro del tuo pensiero quotidiano. Cerchi una scusa, qualcosa che ti spinga a lasciare, un avvenimento, qualcosa. Ed arriva, bisogna aver pazienza, riconoscere la possibilità e tutto può diventare più facile.
L'episodio è di quelli assai tragici. Una sera di pioggia arriva la notizia di un fatto di sangue, accaduto a pochi metri dal magazzino Upim, situato di fronte alla Basilica di Santa Maria Maggiore. Siamo dalle parti di Termini, a pochi passi da piazza Vittorio, un posto che è centrale e neanche toccato da importante degrado, ma sicuramente in mano a certe cosche mafiose, che lottano perennemente con la malavita romana, sempre più in crescita di importanza e non solo in questo Quartiere, l'Esquilino, ma ovunque a Roma. Comunque in un agguato, qualcuno ha beccato due uomini in un'auto, un Millecento Fiat, e li ha fatti secchi, crivellandoli di proiettili calibro nove. Un colpo di mano che nessuno evidentemente si aspettava. La pace apparente sembra saltata e gli accordi non sono più mantenuti. Pare non ci sia più alcun dubbio. Ne sono persuasi anche gli investigatori, che pure sono strettissimi di notizie, come racconta, l'indomani, l'edizione mattutina di Paese Sera. Resa dei Conti, questo sembra emergere dal doppio omicidio. I morti infatti appartengono ad un gruppo che da anni domina il mondo delle scommesse che ruota attorno alle corse dei cavalli e dei cani. E il terrore ti prende, perché sai che non sei più al sicuro, sai che ti potrebbero considerare uno di questi banditi, che ti pareva o da operetta e che adesso percepisci tragici e pericolosi. Vai a spiegare che nel tutto il tuo ruolo è quello di uno che scrive lettere ai familiari dei tipacci e legge le loro risposte. Uno che cura soltanto la corrispondenza! Sembra una barzelletta, nessuno ci crederà veramente. Così cerchi di parlare con qualcuno e però quel qualcuno ti anticipa. La sera dopo vieni convocato dal Capo che, dopo un bel discorso di apprezzamento, ti ringrazia per l'amicizia e ti congeda dal servizio. "È stato bello, però adesso non sei più al sicuro. Può succedere di tutto e tu sei giovane e soprattutto con noi non hai niente a che fare. Il tuo è un altro mondo. Ci salutiamo e non ci vediamo più".
Ho sempre molto apprezzato quell'uomo. Lo ricordo davvero con grande affetto. È stato corretto e, in un modo sorprendente, mi ha riservato un affetto davvero importante, tenendomi fuori da qualunque azione criminale, garantendo per me una certa tranquillità e preservandomi da ogni altra vicissitudine che potesse danneggiarmi. Sarà stato terribile in vita, anche se le storie successive, mi restituiscono l'immagine di una persona che non è mai stato un mostro di cattiveria, ma un uomo di affari che ha avuto macchie indelebili sul suo passo esistenziale, ma non ha mai colpito persone estranee al suo mondo, che è come dire che il bandito ha dialogato con un altro bandito, rimanendo tutti nel campo del controllo di un territorio, da cui ricavare il meglio del guadagno più facile e del potere del comando. Insomma è stato buono con me, mi ha spinto fuori dalla mischia nel momento giusto, affidandomi il compito di pensare solo a me ed alle mie cose migliori, lo studio e la correttezza di vivere seguendo certe regole di vicinanza agli altri, le mie piccole scelte di solidarietà e di impegno in favore degli altri. Di fatto mi ha restituito migliore al mondo ed è stato un bene emergere da quei fatti che mi hanno coinvolto sempre comunque molto marginalmente.
Intanto...
Intanto la scelta è sparire per un po', magari tornare in Molise, "svernare" per una manciata di mesi, far decantare gli avvenimenti spiacevoli e vedere come procedere, riprogrammando il ritorno nella Capitale. Prima di sparire ho cercato di chiarire la posizione ed ho parlato con qualcuno, ho scritto qualche pezzo di diario, spiegando ogni mancato coinvolgimento e fornendo le prove del ruolo, attraverso le minute e gli appunti della corrispondenza curata nel corso del tempo. Un compito che doveva servire a tenermi fuori da ogni addebito e che è stato utile anche per crescere e comprendere cosa avrei voluto fare della mia vita futura. Così parto, ritorno a casa per un qualche tempo, che uso per confrontarmi con i miei e magari fare scelte più adeguate e soprattutto più normali.
L'idea di staccare si fa strada. Nel mio paese stanno accadendo cose buone. C'è sostanza tra i giovani. L'Oratino dei giovani sta producendo un buon ragionamento verso la realizzazione di un futuro migliore. Entrano le idee, i progetti, i nuovi percorsi culturali e sociali. Nascono punti di aggregazione. Entra la politica, che costruisce l'impegno di un bel gruppo largo. Il PCI, rappresentato finora da pochi Compagni anziani, inizia ad attrarre tanti giovani. La Sezione trova stanze nuove, si trova altra luce, ci si vede ogni sera, si discute, si progetta, si sogna. I legami con i dirigenti sono fecondi, questi giovani crescono e diventano più impegnati, più battaglieri. Arrivano così le Feste dell'Unitá, le riunioni, i posti dirigenziali in Federazione, nei Direttivi, l'organizzazione di eventi, le iniziative, le manifestazioni. Il pensiero alle elezioni, l'idea di vincere, di amministrare. Finalmente liberi da certi giochi di potere. Un paese nuovo. Migliore di tutti gli altri. Più giusto.
In me, comunque si fa strada un pensiero, quello di allontanarmi per ritrovare la voglia di fare cose nuove. Sogno un mondo diverso, più a mia misura, senza ipocrisie e compromessi. Di natura sono un vidio serio, un sognatore, è nel mio equipaggiamento e non posso tradire quello che sono. Ne parlo a casa. Non ho più voglia di seguire gli insegnamenti tecnici e scientifici. Non me la sento più, ingegneria mi infastidisce. Mia madre è concreta. "Sei arrivato fin qui!", mi dice sconsolata. Con mio padre va diversamente. Lui mi consiglia di tenere conto di tutto e di decidere nel miglior modo, ma di essere preciso e limpido e di non sbagliare. "Se decidi deve essere per sempre, non puoi tornare indietro, perderesti tempo prezioso". Decidiamo così insieme di prendermi un periodo di tempo, togliendo di mezzo l'impiccio del militare, rinunciando ai rinvii, concessi per lo studio e accelerare la partenza. Faccio così e nel giugno successivo, tre mesi dopo la decisione presa, vado all'Aquila, per addestrarmi a fare il soldato. Iniziano i miei oltre 15 mesi di giri nelle Caserme. C'è qualcosa di nuovo nella mia vita. Sono un Alpino, l'ho voluto da sempre e sempre resterò tale. Ma questa è un'altra storia, ne parleremo più in là.

di Giuseppe Pittà

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