Un’arte militante

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Rifondare la cittadinanza culturale dei paesi

di Fabrizio Ferreri (da agenziacult.it)

20 ottobre 2023

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Fabrizio Ferreri, fondatore e direttore del Festival di poesia Paolo Prestigiacomo, introduce i contributi nati a seguito del momento di riflessione “Re-immaginare i paesi”, che si è tenuto nel corso della terza edizione del festival. Gli autori coinvolti, ognuno a partire dai propri strumenti disciplinari e dalle proprie esperienze, si sono chiesti quale possa essere la funzione dell’arte, e della poesia nello specifico, all’interno di un processo di risignificazione dei paesi delle aree interne.

Per rilanciare i paesi, oltre agli elementi cosiddetti “hard” dello sviluppo (servizi, lavoro, infrastrutture), vi è urgente bisogno che questi luoghi dimostrino la forza di una visione autonoma, vi è cioè bisogno che si (ri)-costruisca una loro desiderabilità al di fuori della narrazione urbano-centrica dominante

Viviamo immersi all’interno di una narrazione urbano-centrica che costituisce la nostra seconda pelle[1].

Lo spopolamento dei paesi, borghi, piccoli comuni, soprattutto delle aree interne, si deve certamente ai servizi e alle infrastrutture carenti, a un mercato del lavoro fortemente contratto, ma è dovuto anche – e non di meno – a una narrazione urbano-centrica che non lascia margine d’esistenza ai paesi, che accentra tutto sul modello di sviluppo e sulla forma di vita che si riconosce ed è rappresentata dalla città.

I nostri paesi, soprattutto delle aree interne, sono oggi non solo poco vivibili per i diritti di cittadinanza in rarefazione (questione certo fondamentale), sono anche poco desiderati – e non sempre in conseguenza della scarsa vivibilità. Non sono poco desiderati solo i paesi meno vivibili, lo sono anche i paesi più vivibili e con buona disponibilità di lavoro con sconcerto degli amministratori locali che vedono il paese continuare a perdere abitanti. Una infrastruttura, anche buona, se è sprovvista di senso (o se il senso è squalificato) continua a girare a vuoto. Una visione culturale sistemica e capillare riporta tutto verso la città, nonostante quei giovani che vorrebbero e talvolta fortunatamente riescono a esercitare la restanza [2].

Per rilanciare i paesi, oltre agli elementi cosiddetti “hard” dello sviluppo (servizi, lavoro, infrastrutture), vi è pertanto urgente bisogno che questi luoghi dimostrino la forza di una visione autonoma, vi è cioè bisogno che si (ri)-costruisca una loro desiderabilità al di fuori della narrazione urbano-centrica dominante.

È necessario recuperare e produrre nuovi immaginari, immaginari “radicati” e non artefatti, che rendano i paesi desiderabili: nuovi valori e nuovi significati che moltiplichino le alternative reali, che diano cittadinanza innanzitutto sul piano “culturale” a forme di vita diverse, a modi diversi di essere e di fare – di fare socialità, di fare economica, di produrre, di abitare, di generare senso.

Come farlo? L’arte, la letteratura e tutto ciò che appartiene alla dimensione creativa e poietica dell’essere umano possono giocare un ruolo fondamentale. Credo anzi non solo possano ma debbano giocarlo riscoprendo una peculiare funzione civile.

I paesi hanno bisogno di un’arte e di una cultura militanti – militanti non direttamente sul campo della politica dove arte e cultura rischiano di snaturarsi, ma su quello loro proprio della produzione e della moltiplicazione dei sistemi di senso e di valore.

L’abitare ha bisogno certamente di servizi ma anche di cornici di senso personali e collettive, di storie – nel tempo lungo – su cui trovare fondamento; ha bisogno di “teukein”, ovvero di procedure e apparati tecnici e tecnologici, e anche di “legein”, di narrazioni portatrici di senso e appartenenza [3].

Tocca anche all’arte e alla letteratura, in un mondo sempre più appiattito su un’unica forma di vita, lavorare per la costruzione di narrazioni capaci di rendere riconoscibili i paesi. Tocca anche all’arte e alla letteratura relativizzare l’immaginario urbano affiancandogli altri mondi, mondi altri in cui sia ugualmente possibile ritrovare valore, senso, storia, dignità e riconoscibilità sociale.

L’arte nelle sue diverse forme – un’arte in tal modo riscoperta nella sua valenza sociale e civile – può essere la via per rigenerare orizzonti di senso in connessione con i giacimenti di valore dei luoghi rendendo così possibili nuovi radicamenti: “nuovi” non perché si rivolgano necessariamente a nuovi abitanti ma perché intervengono sulle relazioni spesso labili e compromesse degli abitanti con il proprio luogo di vita.

Un’arte militante per i paesi si impegna perché ciò che sta ai margini possa rimettere in moto una propria verità, un proprio modo di fare esperienza di sé e del mondo, opponendosi a ogni privilegio di prospettiva nell’attraversare e raccontare il mondo.

Questa arte non è tanto su, è con: esprimersi dall’alto, dall’esterno (“rappresentare”), anche laddove vi siano le migliori intenzioni, rischia infatti di confermare i punti di vista e le gerarchie costituite. Quest’arte militante, dunque, restituisce parola alle diverse soggettività territoriali e sociali delineando un frasario diverso da quello omologato, opaco e artefatto del mondo contemporaneo.

Valorizzando un fare e un sapere non necessariamente accademici, bensì minuti e diffusi che vivono, si esercitano e si spendono nel quotidiano tra alti e bassi, slanci e abbandoni, accelerazioni e stasi, questa arte militante fa attrito all’indifferenziazione e all’omogeneizzazione – al silenziamento – dei luoghi e delle persone. Arte militante perché non propone uno sguardo neutro, disincarnato, esterno ai territori. Si batte invece per le conoscenze, le percezioni e le emozioni, i significati e i valori incorporati nelle diverse forme di vita e radicati nei luoghi: si batte per le tante disperse “coscienze di luogo”, il cui spazio deve essere riconosciuto e difeso.

È arte del radicamento ma rifuggendo dalla retorica delle radici. Il radicamento è relazione, la radice è ripiegamento. Il radicamento è tuffo nel vento, la radice è imposizione del sangue e della terra.

È arte di ri-appropriazione e dono delle proprie radici.

Col Festival di Poesia Paolo Prestigiacomo a San Mauro Castelverde, paesino di poco più di mille abitanti in provincia di Palermo, stiamo provando in sinergia con tutte le altre forze attive del paese a realizzare una visione simile. Qui l’arte, in particolare la poesia attraverso la figura importante del poeta locale Paolo Prestigiacomo scomparso prematuramente sul finire del secolo scorso, è il canale per riorientare lo sguardo sviluppando un certo senso di coralità civile da decenni in forte regressione.

L’arte può agire su un doppio livello: su un piano di senso e di valore generale che riguarda il paese in quanto paese ovvero in quanto “altro” dalla città; su un piano di senso e di valore particolare che riguarda specificamente i singoli paesi (e le singole comunità) in quanto distinti l’uno dall’altro e ognuno con caratteristiche peculiari.

I paesi possono realisticamente sperare di vedere affermati i propri diritti – innanzitutto il diritto di esistere – se gli creiamo intorno un sistema culturale che sappia riconoscerli. L’arte può svolgere una funzione determinante per generare questo riconoscimento, che si nutre di racconti situati, di stili eccentrici e non uniformi, di sguardi localizzati – di voci necessariamente plurali e polifoniche.

L’arte consapevole del ruolo che può giocare in questo frangente storico fa attrito sui modelli unici, è uno strumento potente per dare dignità e riconoscibilità, senso e valore a modelli differenti di stare e abitare nei luoghi in funzione di una geografia fisica, valoriale e di forme di vita realmente diversificata e policentrica.

Si potrebbe immaginare di avviare nei paesi dei laboratori artistici promossi innanzitutto dagli abitanti e co-costruiti con loro dedicati al racconto del paese – e al racconto di sé nel paese, dell’io e del noi (che non sono poli opposti) – dalla letteratura alla fotografia, dal video-making alla poesia, recuperando eventualmente narrazioni dimenticate non per ancorare l’immaginario al passato immobilizzandolo ancora una volta bensì per caricare di futuro gli spunti narrativi proprio in quanto territorializzati. Questi laboratori potrebbero essere sostenuti e alimentati da residenze artistiche per intrecciare i punti di vista, le forme d’arte, gli approcci al racconto, contaminando e ibridando dentro e fuori, interno ed esterno, tradizione e innovazione.

Racconti che diano i contorni di una “coscienza di luogo”, che la nutrano e la rafforzino, che riassociano radicamento e futuro, restanza e possibilità concrete di vita.

Si potrebbe immaginare poi di mettere in rete questi gruppi di giovani, uno per ogni paese, per imbastire un racconto sui paesi screziato, polifonico, per dare una collocazione più ampia a ognuna di queste narrazioni, per liberare ulteriore energia dal loro contatto e confronto reciproco.

Abbiamo bisogno di questa riscossa, abbiamo bisogno di racconti e visioni che ridiano cittadinanza culturale ai nostri paesi.

(Foto di Filippo Barbaria: San Mauro Castelverde)

NOTE:

[1] Ferreri F., “Il paese oltre la città”, in Riabitare l’Italia, luglio 2023, https://riabitarelitalia.net/RIABITARE_LITALIA/il-paese-oltre-la-citta-di-fabrizio-ferreri/.

[2] Membretti A., Stefania Leone S., Sabrina Lucatelli S., Daniela Storti D., Giulia Urso G. (a cura di), Voglia di restare. Indagine sui giovani nell’Italia dei paesi, Donzelli Editore, Roma 2023.

Teti V., La restanza, Einaudi, Torino 2022.

[3] Castoriadis C., L’istituzione immaginaria della società, Bollati Boringhieri, Torino 1995. Ed. or. 1975..

di Fabrizio Ferreri (da agenziacult.it)

lì 20 Ottobre 2023

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