Un paese ci duole

Visite: 165

Parlare dei paesi vuol dire accostarsi rispettosamente a ogni singolo paese osservandolo in profondità anche quando si crede di conoscerlo: farsi ricercatori del posto in cui si vive per abitarlo con sguardo critico, consapevolezza e amore

di Nicola Grato  (da agenziacult.it)

11 ottobre 2023

Back

In questo tempo di “ripresa” dopo la pandemia da Covid 19 e di piani nazionali di resilienza, i paesi in realtà soffrono, schiavi di interpretazioni obsolete quando va bene, tendenziose quando va molto male, e di questi fragilissimi organismi fatti di pietre e persone si fa così mercato spregiudicato: occorrerebbe un ripensamento pubblico e democratico sui paesi, una nuova stagione di lavoro strategico, cooperativo, comunitario per guardare con occhi nuovi a queste persone che ancora abitano nei paesi; ripensamento che è, per usare una felice espressione di Rossano Pazzagli, un vero e proprio “ripaesamento”.

Scrive Anna Rizzo: «Il recente interesse per i paesi delle aree interne ha creato una vasta produzione di comunicati e un repertorio di immagini destinato all’attrattività turistica. L’immagine che si è costruita attorno ai paesi soffre della saturazione dell’argomento, che ha dato solo l’impressione di un maggiore interesse. Le ricerche scientifiche situate in queste aree rimangono tuttavia carenti (…) Nonostante siano territori in forte sofferenza a causa del progressivo smantellamento dei servizi di prima necessità, come presidi medici, scuole, farmacie, mezzi di trasporto pubblico, welfare sociale e culturale, queste aree subiscono una narrazione che risente di un immaginario obsoleto e anacronistico» [1].

Le terre dominate dal massiccio roccioso di Rocca Busambra e che potremmo definire “Area Busambra” sono le terre dell’antico latifondo: ora molti campi incolti, molte case abbandonate a Mezzojuso, Cefalà Diana, Godrano, Villafrati fino a Campofelice di Fitalia e Lercara Friddi.

I ragazzi dai quattordici anni ai diciotto partono al mattino presto su corriere stipate verso Lercara Friddi, Palermo, Marineo, Corleone: le scuole superiori sono in questi paesi. Ritorneranno alle quattordici, alle sedici: stanchi si infileranno in casa, dove faranno i compiti e magari non metteranno il naso fuori perché è già tardi, è già quasi un altro giorno. Poi ci sono (cioè, non ci sono) gli universitari, la maggior parte dei quali vive in città: andrà bene se torneranno in estate. I quaranta/cinquantenni lavorano al comune, nell’artigianato (settore edilizio, prevalentemente), nel pubblico insegnamento, o percepiscono il reddito di cittadinanza. Poi le comunità di cittadini stranieri, soprattutto marocchini.

L’associazionismo in generale non è più attivo come negli anni Novanta e nei primi dieci anni del Duemila: feste, manifestazioni, incontri sono sempre più residuali. La Chiesa langue, imprigionata in un millenario immobilismo corroborato, oggi, dalla diffidenza manifestata da alcuni dei nostri parroci nei confronti dell’operato di papa Francesco.

C’era un teatro a Villafrati, il Teatro del Baglio che proponeva rassegne e spettacoli di teatro di ricerca: cinque o sei settimane in primavera in cui per le strade del paese giravano il Teatro Tascabile di Bergamo, Bustric, Maria Pajato, Matteo Belli. Le biblioteche pubbliche organizzavano incontri culturali, le consulte aggregavano persone: poi la pandemia. Non dobbiamo però incorrere nell’errore di considerare la pandemia di Covid 19 come la causa dell’assenza di partecipazione culturale e democratica in questi paesi: il Covid è stato un agente acceleratore di processi ampiamente iniziati al compimento del berlusconismo, dopo il 2010, gli anni del grande spopolamento, delle lavagne multimediali nelle scuole e dell’accorpamento degli istituti comprensivi “per risparmiare”. Eppure oggi è proprio la scuola il presidio culturale e civile riconosciuto dai nostri piccoli cittadini: dalla scuola dell’infanzia alla terza media i ragazzi possono fare esperienza di partecipazione democratica, studiare e passare il pomeriggio. Secondo i dati che riporta Marco Rossi-Doria – presidente dell’associazione “Con i bambini” –, un terzo dei bambini e dei ragazzi vive in condizione di esclusione precoce [2]: nei nostri paesi sono assenti politiche pubbliche comunali attente ai bisogni dei bambini.

Proprio dalla scuola provengono le migliori sollecitazioni di attivazione civica per ripensare i paesi attraverso l’arte, attraverso i laboratori di pittura e di teatro. Nella scuola media di Godrano è attivo un laboratorio di arte: i ragazzi hanno realizzato un quadro raffigurante l’intellettuale e critico d’arte Francesco Carbone, il poeta pecoraio Giacomo Giardina e padre Pino Puglisi, che a Godrano hanno operato e hanno lasciato un segno profondo in chi li ha conosciuti. Questi ragazzi hanno fatto dono al Consiglio comunale di Godrano di quest’opera, ed è stata allestita una manifestazione di intitolazione dell’aula consiliare a Carbone, Giardina e Puglisi. Nell’aula consiliare di un piccolo paese arte, scuola e democrazia sono diventate un corpo unico, a proposito di “rigenerazione” dei luoghi attraverso una bellezza che si è mostrata concreta, vera.

Ecco di cosa hanno bisogno i nostri paesi, non di “ripresa”: «Nelle politiche e nella vulgata giornalistica mainstream – scrive Rossano Pazzagli –   si insiste sul termine insidioso di “ripresa”, ma non è della ripresa che il territorio rurale ha bisogno, almeno non della ripresa dello stesso modello che lo ha marginalizzato, cioè quello basato sulla crescita economica lineare e sul potere ordinatore del mercato…» [3]. Hanno bisogno i paesi di sguardo e visione, volere bene ai paesi non vuol dire idealizzarli: «Caro sindaco (…) devi pregare che su questa piazza arrivino le cicogne o mille ali di farfalle, devi riempire gli occhi di tutti noi di cose che siano l’inizio di un grande sogno, devi gridare che costruiremo le piramidi. Non importa se non le costruiremo. Quello che conta è alimentare il desiderio, tirare la nostra anima da tutti i lati come se fosse un lenzuolo dilatabile all’infinito (…)», come scrive Tonino Guerra [4].

La più efficace riattivazione delle funzioni e delle relazioni in paese, e tra paese e campagne la fanno loro, i bambini, che più dei vecchi, oramai stanchi e anche sfiduciati, vanno nelle campagne, le conoscono metro per metro, recinzione per recinzione. Casa per casa.

Ai miei alunni ho chiesto cosa fosse per loro il paese: cos’è paese. “Cos’è un paese – tenere acceso il fuoco” il titolo che abbiamo dato a una lunga discussione con gli studenti di una classe seconda media di Villafrati, perché un paese ci duole sempre, non ne accettiamo acriticamente le “usanze”, non riteniamo che dei paesi debbano confezionarsi “cartoline” e foto ricordo. Proviamo a capire questi paesi, cominciando dal primo passo, cioè dall’osservazione puntuale delle architetture, della conformazione delle piazze, dei gruppi di persone. Da questa discussione aperta e democratica è scaturita una poesia comunitaria: la poesia è attenzione e responsabilità verso l’umanità intera e i luoghi, i paesi. Avere cura può salvarci dall’inferno dei viventi. Abbiamo discusso con i ragazzi di spartenze e restanze, ma anche di ritorni: tre movimenti che parlano di donne e uomini, di progetti e speranze, di delusioni e scorni. Un paese ci duole, ci siamo detti. Parlare dei paesi vuol dire accostarsi rispettosamente a ogni singolo paese osservandolo in profondità anche quando si crede di conoscerlo: farsi ricercatori del posto in cui si vive per abitarlo con sguardo critico, consapevolezza e amore. 

Cos’è un paese, tenere acceso il fuoco 

Un paese non è traffico, non è soldi, né confusione.
Un paese è stare davanti il “Candy Candy” a parlare
giocare a nascondino per tutto il paese,
fare scherzi divertenti ad alcuni amici.

Un paese è quando l’estate tutti i quartieri
si riuniscono per sfidarsi a calcio in palestra,
a calcio balilla al parco giochi, oppure quando si fanno
le gare alla strada larga.
Un paese sono i ragazzi che giocano
con un pallone quasi rotto. 

Un paese è Pino che beve e fuma tutto il giorno
standosi al bar a chiacchierare. 

Le nuvole che coprono la cima di Busambra,
come un cappello grigio, fanno capire l’arrivo della pioggia.

L’odore di legna bruciata dai contadini nelle campagne vicine,
il fumo che esce dalle canne fumarie delle stufe a legna. 

Il profumo del pane appena sfornato.
Questi cani randagi, questa solitudine – 

rompe il silenzio uno sparo lontano.

Abbiamo appreso insieme quante storie si nascondono in ogni angolo dei nostri paesi, quante interconnessioni perdute per inseguire il tempo del profitto e della velocità. «Il valore immaginario dei luoghi si nasconde nei fondali simbolici delle memorie profonde che dobbiamo ricominciare a esplorare insieme a chi abita i luoghi sofferenti ed emarginati…» [5], ha efficacemente scritto Stefano Panunzi.

A Bolognetta lo studioso Santo Lombino si occupa di scandagliare questi fondali raccogliendo da anni ormai storie, memorie, diari e autobiografie. Un altro studioso opera a Mezzojuso: Pino Di Miceli possiede e cura un archivio fotografico formidabile del paese, un tronco vivo di cui possono leggersi gli anelli evolutivi con precisione.

Bisogna erodere l’isolamento in cui versano i nostri paesi, un isolamento in primo luogo simbolico. Come scrive ancora Stefano Panunzi, occorre «(…) suscitare una vera e propria filiera di invenzione creativa da condividere con enti locali, associazioni legate ai territori, scuole di ogni grado, imprese e professionisti. Si tratta di creare snodi di una filiera per la cura dell’esistente che metta al primo posto la rigenerazione strategica e condivisa del valore immaginario dei luoghi» [6].

Ora Totò è vecchio, tiene la cheppa sulle spalle; seduto davanti casa sua è il segnatempo di questa strada. Con lui e con tante persone passavamo le domeniche di primavera: donne e uomini coi quali parlavo, che vedevo dal basso all’alto e mi parevano giganti; ora sono tutti morti e presenti nella memoria di questo vecchio con la cheppa sulle spalle che ricama i suoi giorni seduto sulla sedia di paglia: ordito le parole, trama le storie che si raccontavano lui e sua moglie Agnese, mio padre e mia madre in quella poca luce pubblica nelle sere d’estate.

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

[1] Anna Rizzo, “I paesi: un potentissimo serbatoio di forme”, in Saperi territorializzati. Paesi in transizione e transizioni in paese, collana di studi critici autoprodotta e curata dal CISAV (Centro Indipendente Studi Alta Valle del Volturno), I edizione giugno 2023, p. 4.
[2] Cfr il sito internet www.vita.it https://www.vita.it/it/article/2022/12/13/il-pnrr-e-i-giovani-il-punto-su-nidi-scuole-e-dispersione/165119/
[3] Cfr. Rossano Pazzagli, “Oltre le mura. Borghi senza campagne, campagne senza borghi”, in Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi, a cura d Filippo Barbera, Domenico Cersosimo e Antonio De Rossi, Donzelli Editore, Roma 2022 p. 41
[4] Tonino Guerra, Sette messaggi al Sindaco del mio Paese e a Tutti gli Altri, in La Guidina di Tonino, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna, 2001p. 46
[5] Stefano Panunzi, “Rigenerare il valore immaginario delle aree interne”, in Aree interne. Per una rinascita dei territori rurali e montani, a cura di Marco Marchetti, Stefano Panunzi e Rossano Pazzagli, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2017, p. 108.
[6] Ibidem p. 104.

(Foto: di Salvina Chetta - San Mauro, particolare)  

di Nicola Grato (da agenziacult.it)

Back