Addio a Domenico De Masi

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Il sociologo visionario che sognò un Molise Laboratorio

di Giuseppe Tabasso

11 Settembre 2023

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La scomparsa di Domenico De Masi (Mimmo per noi amici e conterranei) è una perdita grave ma forse poco sentita nella regione che gli diede i natali.  Da gran sociologo creativo, De Masi ha sempre guardato al Molise come una regione postindustriale che puntasse alla produzione di servizi, informazioni, simboli, valori ed estetica. Fu lui a lanciare una specie di manifesto della “Regione-laboratorio” dal titolo Quella città vivibile chiamata Molise pubblicata su un mensile di cui ero responsabile (Molise, N° 1, giugno 1992).

Vale quindi riproporne (tagliati, data la lunghezza) alcuni brani:
«Il Molise è una città di 330 mila abitanti, con un paio di quartieri più grandi e alcune decine di quartieri più piccoli: quasi case sparse in un mare di verde. Nell’era post-industriale centrata sull’uso dell’informazione, dell’estetica, dei valori e dei simboli, questa “città”, con poche materie prime, poche fabbriche, fuori dai grandi circuiti dei viaggi e della cultura urbana, è una città a tutti gli effetti: i suoi centri sono facilmente raggiungibili, la radio, la televisione, l’elettronica, i telefoni, i fax sono in grado di metterla in connessione con tutto il mondo, la scolarizzazione ne fa un ricettore e una emittente di idee. Se leggete le proposte dei migliori urbanisti del mondo su come dovrebbe essere la città ideale, vi accorgete che essa somiglia al Molise in modo sorprendente: alto rapporto tra territorio e popolazione residente, grandi spazi verdi tra quartiere e quartiere, facile raggiungibilità reciproca, mix equilibrato di attività primarie, secondarie e terziarie, senza prevaricazione dell’industria sugli altri settori. Mi rendo conto che questa mia tesi può apparire eccentrica. Ma io non dico che il Molise è già, oggi, il luogo ideale dove vivere: dico che, a differenza di altre regioni già irrimediabilmente compromesse, questa è ancora in tempo per auto-progettarsi in base ad una visione d’insieme che la faccia saltare dalla fase rurale a quella post-industriale senza pagare il pedaggio altissimo (di sconquasso ecologico e di alienazione sociale) imposto dall’esperienza industriale.»

Nel 1995 la Scuola Edile del Molise gli commissionò un’indagine previsionale dal titolo “Molise 2005 – Ricerca sullo sviluppo della regione nel prossimo decennio”. Nella premessa si affermava che «per far entrare il Molise nella modernità, le speranze di trasformazione dovranno fare i conti: con una storica lentezza nei processi di cambiamento di mentalità; con la difficoltà di recuperare i ritardi su ricerca e formazione; con la persistenza di attese assistenzialistiche; con resistenze dell’apparato burocratico e con una classe dirigente che tarda ad assumere atteggiamenti di progettualità e tende ad accrescere di peso e potere nella gestione della cosa pubblica».
Si trattava insomma di vedere se la regione avesse le capacità culturali ed imprenditoriali di capovolgere a suo beneficio l’handicap storico del “molisolamento” superando dieci cause: 

1) infrastrutture e viabilità,
2) indotto dei poli industriali,
3) arretratezza del sistema creditizio,
4) incapacità di attrarre capitali,
5) individualismo aziendale e domanda di reti di protezione,
6) emorragia di energie intellettuali,
7) bassa spesa per investimenti culturali
8) contrapposizione città e campagna che deprime e desertifica le zone interne e i nuclei abitativi più piccoli,
9) perdurare di una vecchia cultura della spesa,
10) depressione del sistema mediatico e del mercato pubblicitario.

Caro Mimmo, quella che definivi “regione low profile” non è riuscita ad elevare il suo profilo, ma chissà che le tue e nostre visionarie intuizioni non siano raccolte dalle generazioni che verranno. Riposa in pace.

di Giuseppe Tabasso

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