“Oltre la via”… si possono tracciare nuovi sentieri

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Recensione sul nuovo libro di Giovannino Cornacchione

di Anna Maria Di Pietro (da ilbenecomune.it)

11 Luglio 2023

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Una saga familiare che dagli anni Trenta attraversa la storia del nostro Paese, focalizzandosi sulla realtà molisana e descrivendone il travagliato passaggio dalla ruralità al mondo moderno. Giovannino Cornacchione, seguendo il proprio flusso di coscienza, accompagna il lettore in un viaggio intimistico, alla scoperta di un piccolo mondo antico sconvolto dalla guerra e da quel sogno di una vita migliore sfociato poi nella fuga da sé stessi e dalle proprie radici, fino alla perdizione e allo scollamento dalla realtà. Il romanzo, denso di riflessioni sul senso più profondo dell’esistenza umana, ci regala una storia che non si trova nei libri di Storia, un prezioso documento che può diventare spunto per una riconsiderazione anche sul tempo che stiamo vivendo.

Cosa accade quando Nino, voce narrante, riceve un’eredità familiare preziosa, fatta di emozioni forti e sconvolgenti a tal punto da interessare la sua stessa esistenza? La accoglie e la eterna, come un testamento morale, in un racconto che è quasi una lunga poesia e anche, se vogliamo, una lettera d’amore alla sua famiglia, alle sue radici contadine e alla sua terra, il Molise.

Come in un album in bianco e nero dove le parole diventano immagini, proiezioni di stati d’animo e sentimenti di esistenze che si muovono tra le pagine calcando la terra molisana, l’autore ripercorre le orme di un mondo contadino che rappresenta la tela su cui tutta la storia viene dipinta con i colori tenui della tenerezza, prima, con quelli forti di un’amara consapevolezza, dopo.

La prima parte del romanzo si apre con un’immagine fresca come l’acqua della fontenova, luogo di socialità e di sguardi rubati come quelli tra Armando e Carmela che, seppur in una storia corale, rappresentano i perni intorno a cui gira tutto l’impianto narrativo. Un universo fatto di stenti, difficoltà ma anche di sapienza, valori profondi di accoglienza e mutuo soccorso, su cui arriva la guerra che la propaganda fascista aveva raccontato esaltando l’eroismo di chi combatteva, cercando di edulcorare un fenomeno che oltre alla morte fisica, portò a quella dell’anima e della mente dei superstiti, riflettendosi nei comportamenti e nel linguaggio di ogni giorno.

Eppure, né la guerra né la fame riuscirono a scalfire i principi fondanti di quella piccola comunità che aprì le porte agli sfollati, rinsaldando i rapporti umani e la dignità, con uomini e donne fieri e capaci di reinventarsi quotidianamente, custodi di una Natura quasi personificata, rispettata e custodita.

E qui nascono pagine in cui gli elementi naturali assumono un significato intenso: il fuoco che accoglie i silenzi eloquenti di Carmela; il fumo dei falò che porta via con sé i pensieri di Armando; la terra, madre che nutre corpo e cuore.

Quasi all’improvviso, il racconto subisce un brusco cambio di registro: la poesia si perde e lascia spazio a una narrazione più “fredda” che riflette proprio il passaggio alla modernità, che si legge nell’ambiente, nello stile di vita, nei pensieri, nell’allontanamento dalle radici, nella perdita di valori. Così, il fuoco che proviene dalla stufa e non più dal camino diventa muto; l’acqua che sgorga dal rubinetto non ha più lo stesso sapore; la Natura inizia a essere violata, e l’aria, anche in senso metaforico, non è più la stessa.

Nino, testimone e attore di questa metamorfosi, racconta i cambiamenti, le lotte per i diritti, la ritrosia degli anziani, la perdita di valori in nome del dio benessere. Ma poi torna, Nino, torna tra le macerie del suo paese, torna alle sue radici, accompagnato dalla poesia e dalla consapevolezza.

Un libro toccante, onesto, che apre a molti spunti di riflessione, e che può innescare un dibattito, non solo interiore, sul nostro tempo, perché oltre la via, rimuovendo le macerie, senza cadere nella nostalgia di un modello che non può più tornare ma che può essere riletto e riscoperto almeno nei valori più profondi, si possono aprire nuovi sentieri da percorrere. Pagine che vanno lette senza implicazioni antropologiche, ma con il cuore e il passo lento, quello che bisognerebbe prendere per rallentare, fermarsi di tanto in tanto e cambiare rotta.

di Anna Maria Di Pietro (da ilbenecomune.it)

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