Appunti per un'autobiografia

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"Prospettive e limiti di un architetto molisano"

di Franco Valente - fb

19 Maggio 2023

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PER SENTIRSI MOLISANO, MEDIAMENTE IGNORANTE, SI DEVE AVERE UNA CERTA CULTURA.

Il Molisanità centrale o periferica. Comunque virtuale.

ovvero
Considerazioni poco comprensibili per capire chi siamo.

Non so se il cafone molisano si senta molisano.
Non so se la classe cosiddetta media molisana si senta molisana.
Non so se i giovani molisani si sentano molisani.
Non so se per sentirsi molisano bisogna avere una certa età e bisogna aver studiato.

Probabilmente alle prime tre domande non avrò mai risposta. Alla terza credo di poter dare una positiva: “Se non hai una certa età e non hai studiato non puoi sentirti molisano”.

Insomma ho l’impressione che per sentirti molisano, mediamente ignorante, devi avere una buona cultura.
Ovviamente ognuno si sente molisano a modo suo. Perciò chi ha studiato e ha una certa età sente la necessità di attrezzarsi culturalmente per definire un contenitore virtuale in cui collocare le proprie radici storiche e poter dire (a volte a se stesso, a volte ad altri) di avere una propria identità.

Io personalmente mi sono costruito una struttura diacronica nella quale colloco in sequenza temporale gli avvenimenti più significativi della storia globale degli avvenimenti che comunque hanno interessato il territorio regionale lasciando tracce che a volte si leggono nei segni urbanistici, artistici o architettonici ed altre volte sono nascosti negli archivi o nelle biblioteche pubbliche e private.
Una volta costruita la struttura diacronica cerco di ritrovare tutti gli elementi sincronici.
E qui la cosa diventa più difficile, perché è forte la tentazione di storicizzare gli avvenimenti sincronici. Ritenendo che per elementi sincronici si intendano quegli avvenimenti accaduti contemporaneamente in un determinato momento storico.

La sincronia, per chi cerca di vederla da strutturalista, è un’altra cosa.

Tutte le storie molisane sono fatte con criterio diacronico.
Sono storie straordinarie come quelle di Ciarlanti (Memorie istoriche del Sannio) e di Masciotta (Il Molise dalle origini ai nostri giorni), ma sono storie di fatti diacronici.

Un fatto dopo l’altro, anno dopo anno.

È assolutamente irrilevante che studiosi con la puzza al naso (come Evelina Jamison) abbiano voluto cercare a tutti i costi i peli nell’uovo contestando al Ciarlanti o al Masciotta qualche errore o omissione.
Il problema vero (e non poteva essere altrimenti) è che le loro storie universali, veri e propri annali, non sono storie globali nel senso strutturale del termine.
Se vuoi sentirti molisano leggendo libri come quelli del Ciarlanti o del Masciotta (che dovrebbero essere comunque obbligatori nelle scuole della regione) non raggiungerai mai il tuo scopo. Avrai una buona erudizione, ma non ti sentirai molisano.

Per sentirti molisano dovrai avere il modo di pensare di personaggi poco apprezzati come Alfonso Perrella o Emilio Spensieri, vilipesi dal mondo universitario.

Cito solo gli scomparsi per evitare di dimenticare quel discreto numero di viventi (meno di una decina) che si riconoscono come molisani quando nei particolari insignificanti sono capaci di vedere la storia intera del suo popolo.

Non è importante che abbiano scritto trattati di storia o di arte. I molisani autentici si riconoscono (a prescindere dalla loro convinzioni politiche, il più delle volte sbagliate) per quel modo di sentirsi orgogliosi di essere eredi di una cosa che non esiste ma che piacerebbe fosse esistita: la coscienza storica molisana.
Cioè la “Molisanità”.
Ci si ritiene molisano quando si pronuncia la frase senza senso: “Io sono regionalista!”
E qui la questione inesorabilmente finisce in politica.
Quella che liturgicamente si celebra nel Consiglio regionale.
Essere molisano è cosa distinta dal sentirsi molisano ed ho la sensazione che quello che appare dall’esperienza politica dei consiglieri regionali del Molise sia la cartina tornasole di un temporale di proporzioni inimmaginabili che sta per abbattersi sulla struttura della nostra regione.
E quando uso il termine “struttura” mi riferisco a quell’insieme di elementi che complessivamente sostengono un sistema regionale nel quale essi interagiscono sia nel senso sincronico che in quello diacronico e che contemporaneamente interagiscono con altri sistemi apparentemente esterni.
A volte, per una serie di circostanze familiari, professionali e culturali, dalle parti nostre si è regionalisti convinti perché si è anagraficamente molisani e perché antropologicamente ci si sente molisani. 
Ma per essere regionalista bisogna sentirsi elemento che interagisce in senso strutturale con l’ambiente in cui si vive, nella piena consapevolezza che quell’ambiente ha interazioni sincroniche e diacroniche con altre realtà regionali.
Nella sostanza il regionalismo è un atteggiamento che non ha nulla a che vedere con quell’astratta “molisanità” che pare essere il sostegno ideologico dei rappresentanti politici nostrani quando paesanamente si identificano nel piccolo habitat di provenienza all’interno di un universo che ha i confini territoriali nella circoscrizione elettorale.
E questi confini, purtroppo, segnano inesorabilmente il perimetro del loro universo.
Si può anche capire che appaia normale che i consiglieri regionali si sentano i naturali rappresentanti del territorio dal quale lucrano la maggioranza dei voti di preferenza, ma questa normalità è proprio il loro limite culturale. 

C’è anche qualcuno di essi che cerca di volare più alto, ma i cacciatori di piume sono pronti ad impallinarlo. 
Allora per garantirsi atterraggi sicuri preferisce tenere un volo basso, quasi radente, nella speranza che i fucilieri, abbassando il puntamento dell’arma, si sparino tra loro. Anche all’interno dei contenitori partitici di propria appartenenza.

Chi anagraficamente è termolese si sente periferico al Molise come altrettanto periferico si sente il venafrano, il santangiolese, il sepinese, il riccese e così via.
Ma l’aspetto inquietante è che si sentono periferici anche quelli che geograficamente sono nella parte centrale del Molise.
Neppure chi è collocato fisicamente nei due capoluoghi provinciali, nonostante l’imponente sforzo della macchina governativa centrale che vi ha localizzato le sedi periferiche della struttura statale, si definisce molisano al di là della semplice affermazione anagrafica.
Addirittura l’unico aspetto che possa aiutarci a definire una omogeneità culturale (sempre nel senso strutturale del termine) è proprio la sensazione della disomogeneità.
Una sorta di Santo Sepolcro che attira per l’assenza del corpo di Cristo e non per la sua presenza.
Nel Molise l’assenza di un corpo (ovvero la mancanza di conoscenza della propria struttura) è l’elemento di coesione dell’apparato politico che si ritrova a fare guerre di religione che in realtà sono semplicemente guerre di posizione per controllare movimenti che nessuno fa, per discutere di proposte che nessuno elabora, per sognare scenari politici che nessuno concretizza, per parlare di un’economia che nessuno conosce, per sostenere soluzioni che nessuno chiede, per cambiare tutto affinché non cambi niente.
Insomma è molisano autentico colui che è capace di inventare un nemico che non esiste.
Più potente è il nemico inesistente, più forte è la sensazione della “molisanità”.
(Appunti del 4 novembre 2004)

di Franco Valente - fb

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