In attesa del piano regionale per le attività estrattive

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Una radiografia non completa delle cave nel Molise le quali si distinguono sia per modalità di coltivazione sia per materiale estratto

di Francesco Manfredi Selvaggi

17 Maggio 2023

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Il territorio molisano presenta dal punto di vista geologico una forte diversificazione che va dal calcare dell’Appennino all’arenaria del complesso montagnoso dell’alto Molise all’argilla che domina nella parte centrale della regione e raggiunge la fascia costiera. Allo stesso modo delle formazioni geologiche le attività estrattive si presentano variegate essendocene alcune dedicate alla pietra calcarea, altre alla sabbia, pure arenacea, e altre ancora al materiale argilloso.

Di conseguenza, essendo il suolo differente a seconda delle condizioni morfologiche, abbiamo qui da noi cave di pianura, di collina e di montagna. Mancano, salvo i casi del torrente Quirino in agro di Guardiaregia e del fiume Verrino alla confluenza con il Trigno, quelle in alveo che lungo il Volturno sono state vietate fin dagli anni 60 dal Provveditorato alle opere pubbliche della Campania temendo il mancato ripascimento della costa.

Una ulteriore distinzione tra le attività estrattive è relativa al tipo di coltivazione che può essere culminale (quella di S. Giuliano di Puglia che ha ripreso vigore per i lavori di ricostruzione post sisma), a mezza costa (le più diffuse, ad esempio a Cercemaggiore quella della ditta Vincenzo Felice oppure quella di Vinchiaturo dei fratelli Tamburro o ancora quelle delle ditte Pallante e Colarusso su un versante del monte che sovrasta Frosolone) e pedemontane (quella della ditta Iannetta a Campochiaro ai piedi del Matese).

Vi sono poi, anche se meno frequenti, le cave ad imbuto tra le quali la nuova arrivata, per così dire, è quella di Castel Diruto a Sesto Campano, al confine regionale. Per quanto riguarda quest’ultima essa sta su un pendio e viene coltivata scavando in profondità per minimizzare l’impatto visivo ed, effetto non secondario, per la riduzione dell’emissione delle polveri. In effetti, la tecnica dell’escavazione a fossa è tipica delle zone pianeggianti, generalmente di origine alluvionale in cui il terreno si presenta sciolto con conseguente facilità di prelievo dall’alto.

Nella piana di Campochiaro oltre alla cava dell’Italcementi vi sono vecchie buche abbandonate che, purtroppo, per il fatto che ciò che c’è sotto non si vede dalla superficie si prestano a diventare discariche abusive. I lavori di scavo in quest’area hanno messo in luce, in località Cantoni, un’autentica necropoli altomedioevale a dimostrazione di quanto sosteneva Carlo Cattaneo che in Italia se si smuove in qualsiasi suo angolo la campagna si trovano tracce di precedenti civiltà tanto il suolo patrio è stato oggetto di antropizzazione; il passaggio delle competenze in materia di cave, per quanto riguarda l’autorizzazione paesaggistica, da Ministero per i beni culturali a quello dell’ambiente avvenuto nel 1992 è evidente che non tiene conto di quanto diceva il grande pensatore.

Di siti estrattivi in disuso nella nostra regione ve ne sono molti e solo per alcuni si è provveduto al ripristino, con fondi pubblici miranti alla ricostituzione dei valori naturalistici se ricadenti in Siti di Importanza Comunitaria come è accaduto a Pietrabbondante nei pressi della frazione S. Andrea. In ogni progetto di apertura di una cava è previsto un piano di ripristino finale. Le modalità sono molteplici con l’impiego pure di tecnologie innovative.

Per la parete rocciosa dell’ex cava De Francesco si è pensato al procedimento di invecchiamento artificiale del fronte applicando su di questo una miscela di sali minerali che reagendo ossidano la roccia; altrimenti, si può procedere con l’idrosemina o con l’impianto di vegetazione in talee perseguendo un obiettivo analogo a quello perseguito da Stefano Boeri l’ideatore del « bosco verticale » sulle facciate di grattacieli a Milano, alla cui verticalità sono rapportabili i fronti di alcune cave di un tempo.

I casi più frequenti, però, sono quelli dei siti estrattivi gradonati o con una pendenza ridotta del costone dove è agevole favorire l’attecchimento di essenze vegetali. Innanzitutto è prioritario, comunque, provvedere alla bonifica delle pareti di cava per prevenire il distacco di massi (preoccupazione che si è nutrita a Campobasso per la cava di Fontanavecchia). Si è tentata inoltre a fine scavo la restituzione all’uso agricolo delle particelle oggetto di escavazione (vedi la cava della Laterlite a Spinete), anche ad un’agricoltura di pregio come l’uliveto che si sviluppa nel settore ormai esaurito della grande cava di località Tiegno ad Isernia dei fratelli Vacca.

Specie per i piazzali di cava si possono immaginare molte utilizzazioni, ma bene ha fatto il Comune di Bojano a destinare quello della cava situata ai piedi di Civita a installazione di oggetti di land art e non ad uso ricreativo per evitare il pericolo di caduta di pietre dalla parete sovrastante. I siti estrattivi del passato possono diventare luoghi di attrazione turistica, alla stregua di monumenti di archeologia industriale e di ciò si sta parlando ad Oratino, paese dove vi è una nobile tradizione del mestiere di scalpellino.

Siamo giunti così alle pietre ornamentali alcune davvero di pregio, alcune delle quali prendono il nome dalla loro colorazione quali il nocino di Guardialfiera e il verdello di Monteroduni. Un materiale lapideo particolare, caratteristico di determinate aree del Molise, Isernia e Castel San Vincenzo, è il travertino che in blocchi squadrati di dimensioni consistenti è adoperato nelle costruzioni. Con la pietra locale, anche quando non di buona qualità, si sono costruite case nei centri prossimi ai luoghi di estrazione per l’economicità del trasporto.

Una particolare tipologia di cava è quella legata allo stabilimento di produzione di manufatti per l’edilizia, tanto cava di argilla per le fornaci di laterizio (ad esempio a Petacciato) quanto di calcare per il cementificio, quella di Guardiaregia che si approvvigiona in una cava ad imbuto a Campochiaro di cui si è detto. Seppure non attività estrattive abbinate a qualche industria di prodotti edili, le maggiori incorporano al loro interno attività di prima lavorazione degli inerti, puntando alla vendita invece che del materiale estratto, magari lavato e ricondotto in opportune granulometrie, in semilavorati per incamerare il «valore aggiunto» che se ne può ricavare.

Attualmente si sta affermando, in linea con gli sforzi che la società contemporanea sta compiendo per ridurre il consumo di risorse naturali, l’impiego nelle costruzioni, al posto della materia prima, di materiali riciclati provenienti da demolizioni e per il loro trattamento vi sono imprese, Venditti e Miranda, che si sono già attrezzate. Come si vede il quadro è complesso e perciò è urgente la redazione del PRAE, piano regionale per le attività estrattive, uno strumento di pianificazione di settore previsto dalla legge regionale n. 11 del 2005 il cui ritardo forse è attribuibile alle difficoltà di fare previsioni attendibili sul fabbisogno in un periodo in cui la crisi economica ha sconvolto le prospettive di sviluppo.

(Foto: M. Martusciello-Cava a Roccamandolfi)

di Francesco Manfredi Selvaggi

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