Il tormento

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Nel Molise c’è una visibile incapacità politica di governare un territorio problematico ma ricco di patrimonio territoriale

di Rossano Pazzagli (da La Fonte mag/23)

15 Maggio 2023

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Terra senza riposo, afflitta da qualcosa di convulso: una specie di tormento geologico, raggelato in tempo immemorabile. Così, verso la metà del secolo scorso, Francesco Jovine descriveva il suo Molise, etichettandolo come “terra di contadini”, senza grandi centri urbani, con poche industrie e beni culturali sparsi dappertutto. Il tormento e la storia. Lo scrittore di Guardialfiera si riferiva al paesaggio aspro, alle cime brulle e rocciose, alle frane e ai calanchi, ai botri che solcano il territorio e ai campi irregolari che si arrampicavano sulle coste dei monti. Ma la sua era ed è anche una metafora, lo specchio di una regione senza pace, rimasta senza sviluppo e che di lì a poco avrebbe cercato uno sviluppo sbagliato. Oggi questa metafora ancor più si addice al presente, alla politica franata in basso, ai servizi negati e ai diritti sfregiati, con il tormento sociale che si è aggiunto a quello geologico. Si sono radicati sentimenti di indifferenza e di rassegnazione, la sfiducia nel ceto politico che ha governato negli ultimi vent’anni è salita alle stelle, forse è l’unica cosa che è cresciuta davvero. Se guardiamo alla sanità, all’istruzione e alla mobilità – cioè a servizi che corrispondono ai diritti fondamentali dell’individuo – il panorama è desolante: rarefatta e privatizzata la prima, vittima della inaccettabile logica dei numeri la seconda, mentre i trasporti sono in una condizione paradossale: Campobasso è da tre anni l’unico capoluogo di regione non raggiungibile in treno, e probabilmente anche l’unico capoluogo di provincia italiano a trovarsi in questa triste condizione. I lavori di elettrificazione e ammodernamento della linea ferroviaria a binario unico dovevano concludersi entro il 2022 e invece i ritardi sono palesi e ci vorranno ancora anni prima di tornare a Campobasso in treno. Anche nel trasporto su ruote la situazione è progressivamente peggiorata. L’ultima tegola abbattutasi sulla mobilità dei molisani è recente: dal 13 aprile 2023 ATM ha dimezzato i collegamenti giornalieri tra Termoli e Roma, sopprimendo due linee di pullman su quattro esistenti. I viaggiatori lo hanno appreso da uno scarno avviso pubblicato sul sito internet dell’azienda senza specificare alcuna motivazione. Così Termoli (che è la seconda città della regione) e l’intero Molise si allontanano ancora da Roma e dal resto del Paese, nel silenzio generale, con gravi difficoltà per lavoratori, studenti e turisti.
Il paesaggio, quel paesaggio che Jovine descriveva come singolare e rurale, che generazioni di contadini e di pastori avevano costruito dialogando con la natura, è insidiato dall’incuria, dall’abbandono e dalla disseminazione di funzioni improprie nelle campagne, dall’eolico e dagli impianti privati selvaggi di fotovoltaico, sovente autorizzati in dispregio del più elementare buonsenso e perfino delle norme. C’è una visibile incapacità politica di governare un territorio problematico ma ricco di patrimonio territoriale, una specie di ostinazione a voler applicare qui gli stessi modelli economici che lo hanno marginalizzato, tenuto da parte come fosse una regione inesistente, costringendo molti ad andarsene via.
La politica non c’è, ma il territorio si. Qualcosa in esso si muove, ed è più avanti della politica. C’è ancora, più o meno nascosta, una sapienza antica; c’è la resistenza dei piccoli comuni, di qualche associazione, di individui volenterosi e disinteressati; c’è l’impegno di qualche sindaco che fuori dal ceto politico, spesso in solitudine, cerca di impostare strategie di rinascita basate sulla partecipazione, la qualità della vita e le risorse locali dei paesi. C’è qualche giovane che resta o che torna: pochi, rispetto ai tanti che ancora se ne vanno. Ma sono casi che indicano strade possibili, se solo la politica sapesse vederli e considerarli. Non è solo il Molise, guardate. Tutta l’Italia rurale – lo scriveva anche Jovine – è una terra “fratta, aspra, sconvolta dalle frane, erosa dai torrenti, pietrosa e impervia” dove “il campo nasce sterpo a sterpo, zolla a zolla…”.
Ma qui si è raggiunto il limite, la soglia oltre la quale potrebbe esserci l’agonia di una regione, il suo sfinimento. E l’agonia, come sappiamo, è meno sopportabile della morte. Per questo, ora che siamo alla vigilia di una tornata elettorale, sono necessarie e urgenti strategie che rimettano al centro il territorio per farlo uscire dall’abbandono e dalla marginalizzazione. Intanto sarebbe utile guardarsi intorno e vedere che qualcosa si muove, specialmente laddove piccoli comuni hanno preso l’iniziativa, dal basso, per forme partecipate di sviluppo endogeno, basato su quello che c’è, non sulla vana ricerca di quello che non c’è. Ma lo capiranno coloro che si candidano a governare questa regione in bilico? Forse sarebbe stato meglio scegliere uno di quei piccoli-grandi sindaci, qualcuno degli attori locali che si sono formati sul campo e che pur muovendosi tra mille difficoltà hanno saputo sperimentare pratiche di rigenerazione territoriale e sociale, riattivando la partecipazione e tutelando l’ambiente e il paesaggio, individui, uomini o donne, che nel loro piccolo hanno fatto la grande politica, senza diventare politici di professione. Il fermento, invece del tormento. 

di Rossano Pazzagli (da La Fonte mag/23)

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