La struttura urbanistica della città storica

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Il borgo antico di Campobasso stretto in un grande abbraccio dalle mura

di Francesco Manfredi-Selvaggi

21 Aprile 2023

Il disegno semicircolare delle mura fa pensare a due braccia, ognuna coincidente con una metà del semicerchio, quindi un quarto di cerchio, che si uniscono ad abbracciare l’agglomerato antico per proteggerlo. Una immagine efficace per capire la struttura urbanistica della città storica, con la cintura muraria che può essere letta anche come un tentativo di bloccare, perciò cintura, la fuoriuscita dei residenti dal borgo medioevale che però, lo stiamo costatando, è fallito.

Non è detto che le mura di Campobasso siano da attribuirsi a Cola di Monforte, possono essere state opera della stessa cittadinanza. È credibile che la cinta muraria sia stata fatta per volontà propria della civitas, magari in collaborazione, tutt’al più, con il feudatario. È plausibile anche la tesi che la comunità abbia voluto dotarsi di una fortificazione per difendersi, oltre che da nemici esterni, dallo stesso signore. La presenza sia della porta vicino l’abside della chiesa di S. Bartolomeo che separava l’insediamento abitativo dall’area di pertinenza del castello, sia della torre prossima denominata Terzana la quale è “scudata” con la rotondità rivolta verso l’abitato munita di foro per l’alloggiamento della bocca del cannone, è un indizio che avvalora l’ipotesi formulata.

Dunque la popolazione campobassana ha un duplice sistema difensivo, uno nel margine inferiore della città per proteggersi durante i conflitti con potenze forestiere e una nel segmento del perimetro urbanizzato superiore negli scontri, ovvero sommosse popolari, contro la guarnigione agli ordini del titolare del feudo. La città ha una pianta conica, la linea che segue il confine sopra è corta, sotto è lunga. Il disegno dello sviluppo planimetrico si presta per uno schema a raggiera della viabilità con le arterie stradali, i raggi, che convergono verso l’alto, distanziandosi fra loro andando verso il basso.

Tale morfologia della planimetria che richiama la sezione longitudinale di un cono fa pensare e non si sbaglia a farlo ad un inviluppo della superficie cittadina che ha quale punto focale il castello. Quest’ultimo funge da attrattore delle percorrenze del borgo per le sue funzioni di centro direzionale. In qualche modo, si obietterà, si sta contraddicendo quanto detto al principio circa l’autonomia del nucleo urbano della rocca ed è vero, ma è vero fino ad un certo punto e quel punto è, in effetti, una riga o, meglio, striscia di territorio, quella occupata da un asse viario più tardo che congiunge porta S. Paolo a porta S. Antonio Abate.

A questa altezza, in verità si dovrebbe dire bassezza perché siamo nella fascia più bassa dell’agglomerato murato, si verifica un’autentica rivoluzione nell’andamento delle strade le quali sono le vie Ziccardi e S. Antonio Abate, che corrono lungo la isoipsa ma ci ricomprendiamo anche via Cannavina pur se essa ha l’ambiguità di essere la prosecuzione di via Chiarizia la quale cammina ortogonalmente alle curve di livello. Il polo cui si indirizzano non è ormai, siamo alla fine del medioevo, il maniero posto in cima al colle bensì la piazza posta nel piano.

Essa significativamente è omonima della chiesa arcipretale che vi insiste; significativamente in quanto nel medesimo slargo affaccia il fronte laterale della nuova residenza del feudatario che aveva nel frattempo traslocato dal castello essendo venuta meno la necessità di fortificarsi, siamo nel periodo vicereale. Però la dimora nobiliare pur piegandosi a L per dar spazio alla piazza non colloca il suo ingresso su tale slargo altrimenti forse quest’ultimo si sarebbe chiamato Largo del Palazzo.

È da dire che è l’unica piazza presente nel centro storico la quale per la sua sufficiente ampiezza riesce a contenere le assemblee civiche. Senza tale piazza Campobasso sarebbe rimasta acefala, la testa le era stata tagliata avendo perso la struttura castellana qualsiasi ruolo; testa nel senso di organo decisionale come nel corpo umano e come in esso situata alla quota più elevata dell’organismo, adesso, insediativo. Il collo è rappresentato dal lungo declivio disabitato che distanzia la rocca dall’inizio, partendo da su, dell’aggregato residenziale.

In definitiva, l’assetto urbano sarebbe incompleto senza un luogo o edificio che sia per lo svolgimento di attività di interesse collettivo, ieri come oggi, lo prevede la vigente normativa urbanistica; per di più piazza S. Leonardo è nel baricentro dell’ambito abitativo. La polarità è in continua migrazione, dal castello sede del potere militare alla piazza S. Leonardo in cui si assommano il potere religioso e quello governativo e da qui alla piazza del mercato, attuale piazza Prefettura, che è il sito del potere economico che è extramoenia.

Al di là delle mura stanno pure, ai due lati brevi contrapposti, le chiese di S. Antonio Abate e di S. Paolo intorno alle quali si erano andate raggruppando abitazioni, dei minuscoli quartieri e, perciò, anche esse dei fulcri sia pure minimali i quali hanno l’effetto di mitigare la tendenza alla polarizzazione centrata sulla piazza S. Leonardo. È da notare che ambedue queste chiese fuori porta sono collocate fuori 2 porte cittadine le quali prendono nome da esse. Pure la piazza mercantile è subito al di fuori di una porta, immediatamente adiacente com’è alla Porta Maggiore.

Tutto ciò lascia dedurre che le entrate svolgano un ruolo primario nell’organizzazione urbana, posti di addensazione di case e di locali commerciali e artigianali, per certi versi costituiscono dei micropoli decentrarti. Finora si è condotta la lettura dell’impianto urbanistico assumendo quale determinante della forma urbis l’ubicazione delle funzioni direttive, gli elementi primari sono, in precedenza, il castello e, in seguito, la piazza comunale, proponiamo ora una differente interpretazione della configurazione della città.

La figura del ventaglio che richiama la pianta induce a presupporre una crescita a macchia d’olio, con il liquido oleoso, per rimanere nella metafora, il quale, è l’edificazione che si espande progressivamente dal vertice del monte S. Antonio in cui c’era il nucleo originario sul versante allargandosi proprio come fa una macchia, man mano che si scende giù. Tale processo di sviluppo, peraltro tipico in età contemporanea, dell’agglomerazione deve essere stato arrestato, figurativamente, dalla cortina muraria fin quando ha potuto, fino all’abbattimento della Porta Maggiore, dopo di che si è avuto il dilagare della predetta sostanza olearia che è metaforicamente l’edificato nella zona dove sorgerà il sobborgo extramurario. Il piano di Musenga per il Nuovo Borgo sembra mirare ad impedire una diffusione incontrollata priva di qualsiasi regola formale, degli edifici e riprodurre qui la congestione edilizia che si è avuta nel borgo antico dovuta ai fabbricati che si affastellano l’uno sull’altro riempiendo ogni vuoto salvo quello coincidente con piazza S. Leonardo senza verde pubblico.

(Foto: Due scorci del centro storico)

di Francesco Manfredi-Selvaggi

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