Il castello e la croce litica di Roccamandolfi

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I luoghi più affascinanti del paese sono l’”arcone”, che accoglie la croce litica, ed il castello 

di Franco Valente - fb

21 Febbraio 2023

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Tommaso di Celano nel 1221, nell’estremo tentativo di opporsi alla straripante ascesa del neo imperatore Federico II di Svevia, si rifugiò a Roccamandolfi dopo aver lasciato nelle ceneri la città di Boiano. A difendere il conte vi era ciò che rimaneva di un esercito di 1500 cavalieri e servienti. Insieme ad essi vi era pure la moglie Giuditta, che gli storici definiscono donna vigorosa e guerriera. L’assedio delle truppe imperiali durò vari mesi, ma Tommaso riuscì a fuggire lasciando alla sua Giuditta il gravoso compito dell’estrema difesa. L’anno seguente anch’essa pensò essere inutile la resistenza e, ricevuto un salvacondotto, lasciò il castello nelle mani del Gran Giustiziero Tommaso di Aquino. Il castello di Roccamandolfi, insieme ad altre fortificazioni della regione, fu reso inservibile, e Giuditta, perdonata dall’imperatore svevo, fu riconosciuta titolare della contea di Molise per conto del marito che sarebbe dovuto rimanere in esilio per tre anni. Ma Tommaso non tenne fede ai patti e Federico demanializzò tutta la regione.

Il castello di Roccamandolfi è oggi un sito archeologico dove gli studiosi cercano di capire cosa sia rimasto dell’originario impianto longobardo e cosa invece sia dell’epoca normanna, e se gli abitanti di quel luogo abbiano contribuito alla reparatio del castello di Boiano, che Federico aveva deciso di mettere sotto la sua protezione (“Item castrum Boyani reparari debet per homines ipsius terre, Montis Viridis, Castelli Vecclis, baronie Castri Pignani, Campi bassi, Ysernie, Rocce Madelunie, Cantalupi et baronie domini Thomasii de Molisio”). Dall’epoca angioina in poi il nucleo urbano è sceso più in basso, continuando a svolgere il suo ruolo di paese di valico per il controllo del passo matesino tra il Molise e la Campania.

La chiesa madre di Roccamandolfi è dedicata a S. Giacomo il Maggiore. E’ una bella chiesa barocca dall’interno ad una sola nave. Vi si venera S. Liberato, il cui corpo fu traslato dal principe Pignatelli dalle catacombe romane per essere sistemato nel luogo più importante della chiesa, al disopra dell’altare maggiore.
Entrando si rimane certamente meravigliati nel bagnare la mano nell’acquasantiera rinascimentale perché un serpente attorcigliato giace sul fondo del catino a significare che esso, come il peccato, è condannato in eterno a sopportare l’acqua santa che lo copre. Ed il fedele sappia che, comunque, è sempre in agguato. Un bel numero di statue attestano che non solo S. Liberato è venerato a Roccamandolfi. E se anche vi è il busto settecentesco di S. Giacomo il Maggiore, titolare della chiesa, di fatto S. Liberato è il centro della venerazione locale.

La chiesa di S. Giacomo, con il campanile posto a lato del portale costituisce con la facciata laterale il limite fisico di uno spazio urbano che sembra aprirsi nella vallata, venendone poi impedito dalla montagna che le è di fronte. Quella montagna è talmente vicina che costringe chiunque si fermi in piazza a cercare una sorta di liberazione solo rivolgendo lo sguardo verso il cielo.
Girando attorno alla chiesa si è costretti a passare per un supportico che costituisce il naturale rifugio nei giorni di cattivo tempo, ma anche il luogo del mercato, come ricordano le misure dei tomoli scavati nella roccia e la lapide del principe Pignatelli che si vantò di aver sistemato quello spazio per comodità dei cittadini.

Però i luoghi più affascinanti di Roccamandolfi sono due. Il primo è quel particolare angolo urbano che si caratterizza per un grande arcone che accoglie una croce stazionaria tra le più belle del Molise. Certamente la meglio collocata. Una croce di assoluta semplicità nel suo sviluppo simbolico dove la rigida articolazione degli scalini circolari si richiamano ad una geometrica interpretazione del Golgota e la squadrata perimetrazione dei sedili su tre lati evoca la comunità dei cristiani che si raccoglie attorno ad un Cristo Crocifisso racchiuso in una cornice circolare gotica poggiante su una sfera che è simbolo dell’Universo. Davanti il Cristo sofferente, sulla parte retrostante l’immagine del Cristo trionfante.

L’altro luogo è il castello antico. Vi si arriva dopo aver superato i vicoli che si riversano in pittoreschi cortili dagli acciottolati realizzati con un sapiente miscuglio di pietre calcaree, mattoni di recupero e blocchi di basalto. Per uscire dal paese si devono lasciare i bei portali barocchi e la chiesa di S. Sebastiano, nella parte alta del paese, dove la statua di S. Donato fa la guardia alla grande bascula (nascosta dietro l’altare) con la quale si pesavano i bambini in cerca di grazia. E per ottenerla i genitori versavano una quantità di grano pari al peso del ragazzo.

Una volta fuori si prende un sentiero scosceso che ti taglia fuori dal mondo e sembra ti faccia arrivare nello sperduto oriente crociato.
Il silenzio assoluto è rotto solo dal sibilo del vento che si infila nelle orecchie per farti immaginare non solo vicende sconosciute dei conti longobardi che lo vollero la prima volta a controllare uno dei passi più pericolosi del Matese, ma anche le storie che rimangono legate a quella particolare forma architettonica, con le torri a fetta di salame, che assunse nel periodo normanno. Si manteneva nel massimo della sua potenza anche psicologica quando in esso Tommaso di Celano e la fedele Giuditta tentarono l’estrema difesa prima di capitolare di fronte alla dilagante potenza delle truppe imperiali.

Ma forse il ricordo più struggente è quello di Lucia, fedelissima amante del brigante Sabatino Maligno. Questi, pastore di Roccamandolfi, appena sposato si vide la moglie sedotta dal suo padrone. Accusato di delitti mai commessi fu imprigionato dalla polizia borbonica e portato nel carcere di Capua da dove fuggì infilandosi in una fogna. Formò una banda che capeggiò insieme a Lucia, una bella contadina che divenne la sua compagna. Il 12 giugno del 1812 fu trovato ucciso. Si disse che erano stati i suoi compagni. Gli fu recisa la testa che, messa in una gabbia, fu appesa al supportico della chiesa di S. Giacomo. Lucia non seppe resistere al dolore. Raggiunse la parte più alta dell’antico castello e volò giù nel precipizio.

di Franco Valente - fb

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