Civitanova del Sannio

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Civitanova, con il nome che si ritrova, è più di un paese e meno di una città, perché è troppo grande come paese e troppo piccola come città

di Franco Valente - fb

8 Febbraio 2023

Chi vi arriva da Isernia capisce subito, mentre sta per passare al disopra del cimitero, che il centro antico è tutto racchiuso attorno alla sua chiesa dedicata a S. Silvestro papa e che per arrivare ad essa bisogna entrare da qualche porta. Superate le prime case moderne vi è una piazza che non passerà mai alla storia per le modernità architettoniche che l’arredano, ma che conserva con attenzione una delle tante croci stazionarie di pietra che ancora sopravvivono nella regione.

Quella di Civitanova è tra le migliori, anche se è stata spostata da un punto all’altro della piazza. Forse una volta era vicino alla porta da capo, nei pressi della chiesa di S. Rocco, e costituiva secondo il solito una meta sacra nelle funzioni liturgiche processionali.

Queste croci sono molto particolari perché, pur essendo in pietra, sono una inconsapevole monumentalizzazione delle croci astili che avrebbero avuto origine dal famoso sogno di Costantino e che furono l’occasione di straordinaria produzione degli orafi sulmonesi alla fine del medioevo. E, come una croce astile, quella di Civitanova mostra da un lato il Cristo patiens inchiodato, con il cranio di Adamo ai piedi ed il cartiglio dell’INRI in alto. Dall’altro lato il Cristo triumphans, benedicente, con la scritta Salvator, i quattro simboli del Tetramorfo (ovvero i simboli degli evangelisti) sui quattro bracci e l’Agnello crucifero al vertice. Le immagini non si vedevano più e Pierluigi Russo mi ha aiutato ad eliminare il muschio per leggere meglio una rozza epigrafe. Cola di Civitanova l’aveva fatta scolpire per ricordare, non solo a Dio, che nel 1441 egli aveva commissionato quell’opera, con il beneplacito dell’Università locale che volle essere presente con lo stemma civico (quello che oggi non è più in uso) fatto da una fascia doppiamente cuneata in capo e tre palle nel campo inferiore.

Entrare al paese significa passare davanti alla chiesetta che è dedicata dal 1656 a S. Rocco, ma che è anche la chiesa del SS. Sacramento sicuramente esistente agli inizi del XVII secolo come si capisce dalla bella acquasantiera la cui base triangolare presenta i tre stemmi della confraternita, dell’Università di Civitanova e della famiglia d’Evoli. E non è un caso che l’intitolazione al santo di Montpellier sia stata fatta in quell’anno.

S. Rocco è il santo che protegge dalla peste e nel 1656 tutto il regno di Napoli fu gravemente percorso da quel morbo. Perciò è cosa consueta trovare subito fuori dei paesi molisani o nei pressi della porta principale di essi una cappella dedicata a questo santo il cui culto si diffuse in maniera particolare proprio dopo quel doloroso avvenimento. I d’Evoli erano stati già privati di questo feudo nel 1627 quando i creditori dell’ultimo Giambattista lo fecero mettere all’asta e ne approfittò il duca d’Alessandro che lo acquistò.

Qualche anno fa, per puro caso, mi capitò fra le mani un pacco di carte antiche tra le quali vi era la pianta, credo settecentesca, del palazzo di Civitanova di proprietà di sua eccellenza il sig. Duca di Pescolanciano. Riuscii a fare una fotocopia di quella pianta, ma del disegno originale non seppi più nulla. Non so se esiste ancora. Il palazzo (anche se ha subito la violenza degli intonaci graffiati che negli anni settanta hanno rovinato mezzo Molise) ancora c’è e spero che un giorno si metta mano ad un suo necessario restauro.
Più avanti la chiesa di S. Silvestro papa. Vi si entra salendo per una articolata e scenografica scalinata a più rampe e passando per un portale che è fatto con pezzi del XVI secolo ricomposti più volte. E’ una delle chiese più belle della regione non solo per il suo magnifico soffitto a cassettoni in legno a lamina d’oro, per la grande quantità di opere d’arte che conserva, a cominciare dalla splendida pala dedicata ai primi del seicento alla Madonna tra i santi Domenico e Caterina, ma anche e soprattutto per la calda atmosfera che don Antonio Battista, il suo rettore, e i suoi successori sono riusciti a mantenere intatta, anche dopo i restauri. Entrando si respira aria di chiesa e non sempre i restauratori hanno la sensibilità di conservarla. Qui si venera anche S. Felice attraverso la sua immagine. Fino a qualche anno fa era consueto vedere arrivare da ogni parte del territorio donne che portavano il proprio figlio tenendolo in una culla poggiata sulla testa e chiedere al santo la grazia perché preservasse il bambino dai difetti nel parlare.
Subito a destra vi è una nicchia con una statua di papa in grandezza quasi naturale. Ai suoi piedi in epoca moderna è stata apposta una piccola targa con il nome “S. Silvestro. Però c’è qualcosa che non quadra…Vi è un elemento ben visibile che, a chi si occupa di iconografia, non lascia possibilità di equivoci: una colomba sulla spalla. Sono certo che si tratti del segno di riconoscimento di un altro papa. Credo si tratti della Colomba di Gregorio Magno.

All’interno, tra le altre statue, vi è quella di S. Bernardino da Siena scolpita nel legno da Paolo Saverio Di Zinno nel Settecento. Oppure l'Immacolata di Silverio Giovannitti di Oratino del 1758, restaurata da Emilio Labbate di Carovilli nel1864.

Per capire qualcosa di più sull’origine di Civitanova bisogna andare a vedere i ruderi di uno dei più importanti monasteri benedettini del Molise: quello di S. Benedetto dal cavallo bianco (S. Benedictus de Jumento Albo) sicuramente esistente nel 1002, come attestano i documenti di Montecassino. Oggi gli abitanti di Civitanova si fanno seppellire nel moderno cimitero, ma più di una volta dovettero far causa all’abate di S. Benedetto dal Cavallo Bianco perché, chissà per quale motivo, egli aveva deciso che i civitanovesi, impedendo loro di inumare i cadaveri all’interno del monastero, dovessero attendere la Gerusalemme Celeste sepolti in qualche altro luogo. E’ un luogo che meriterebbe più attenzione, e non solo archeologica, perché molto spesso archeologia significa solo profanare le tombe, anche se vi è la concessione del Governo.
Si tratta di una rarissima basilica con presbiterio a forma di tricora nel vastissimo scenario delle chiese absidate di Oriente e di Occidente.
Una forma di architettura che è consueta nel nostro territorio nell’epoca di maggiore sviluppo di S. Vincenzo al Volturno. Basti pensare alla chiesa di S. Maria in Insula con la tricora che sovrasta la cripta di Epifanio o l’altra di S. Maria del Ponte con la tricora che sopravvive a Ponte Latrone sul Volturno.

Civitanova ebbe anche cittadini illustri. Non tutti sanno che l’ospedale Cardarelli di Napoli porta il nome di Antonio che, nato in questo paese del Molise nel 1831 e dopo aver studiato nel seminario di Trivento, si laureò giovanissimo a Napoli. Nel 1880 fu titolare della cattedra di patologia nella Regia Università partenopea. Famosissimo in tutta Europa per la sua scienza, si dedicò pure alla politica risultando cinque volte deputato e due volte senatore. A lui si attribuiscono le iniziative per l’illuminazione elettrica del paese, le fognature di Civitanova e la costruzione del cimitero.
In questo ambiente desolato di Civitanova,. ironia della sorte, è la sua sepoltura, dimenticata anche dai suoi eredi...sic transit gloria mundi!
Nello stesso cimitero, invece, bella e ben tenuta è la cappella di Giuseppe Pianese realizzata da Felice Giuliante marmoraro abruzzese (1885-1961), autore del suo mirabile sarcofago in pietra tenera. Pianese fu un celebre anatomopatologo, nato a Civitanova il 19 marzo 1864 e morto a Napoli il 22 marzo 1933. Fu un importante studioso dell'istologia patologica dove si affermò con metodi originali che portano il suo nome. Primo nello studio dell'anemia splenica dei bambini.

Ma a Civitanova è anche sperimentata positivamente la cosiddetta ospitalità diffusa che trova riferimento nella “Locanda degli illustri”, un complesso nel centro storico estremamente accogliente come lo sono i suoi abitanti. Per entrare al paese si deve passare davanti al piccolo “Caffè da Rosi” dove è d’obbligo fermarsi per gustare i pasticcini tra i più buoni della regione!

(Franco Valente. “Luoghi antichi della Provincia di Isernia”, 2002)

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