Perché “Transiberiana d'Italia”?

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Il termine ha una logica o, per meglio dire, una giustificazione

di Franco Valente - fb

2 Febbraio 2023

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QUANDO SI DICE “TRANSIBERIANA D'ITALIA” E NON SI SA PERCHE! 

Qualche giorno fa, parlando di Roccaraso, ho citato quel treno storico che ormai viene definito “Transiberiana d’Italia”.
Sono stato criticato per aver usato questo termine del quale, effettivamente, si abusa.
Eppure il suo utilizzo ha una logica o, per meglio dire, una giustificazione. 

Ieri, trovandomi a Roccaraso, sono passato a salutare Gianna Cipriani e Valentino Valentini proprietari dello storico “Hotel Vetta d’Abruzzo” che, proprio davanti alla stazione di Roccaraso, accoglie splendidamente i viaggiatori che arrivano da ogni parte d’Italia e qui si sentono come a casa propria. Lo dicono gli ospiti che esprimono giudizi sui social turistici specializzati.

Roccaraso in questi giorni è piena di neve e tutti gli impianti sono in funzione in maniera impeccabile. Una neve spettacolare. Trattata bene mentre il freddo è pungente.

Gianna mi ha ricordato che chi viene a Roccaraso non conosce la storia della cosiddetta inversione termica della Piana delle Cinque Miglia dove, nel Cinquecento, restarono stecchiti 300 soldati presi da un’improvvisa tormenta di neve.

“Transiberiana d’Italia” è una definizione coniata da Luciano Zeppegno, un giornalista che ebbe particolare fama nel 1956 per essere stato il primo vincitore che rispose a tutte le domande della popolare trasmissione “Lascia o raddoppia” di Mike Buongiorno.
Ma il termine è più antico e deriva proprio dagli effetti meteorici che si verificano sulla piana delle Cinquemiglia che popolarmente veniva definita la “Siberia del Mediterraneo”. 
Ci aiutano a capirlo Paolo Giovio (Historiarum sui temporis) nel 1553 e Leandro Alberti (Descrittione di tutta Italia,) nel 1551).
ROCCARASO E LA PIANA DELLE CINQUEMIGLIA.
Non è consigliabile passare per la Piana delle Cinque Miglia, a Roccaraso, quando nevica.
Nel tratto di pochi metri vi può essere una escursione termica di decine di gradi per un effetto molto particolare di inversione termica.
300 soldati veneziani vi morirono assiderati nel 1528 e l'anno dopo addirittura 600 fanti al servizio del principe Filippo d'Orange rimasero sotto la neve.

Fu proprio Carlo V, impressionato da quell'episodio, a ordinare la costruzione di 5 torrioni che dovevano servire da rifugio, attrezzati di "...legna focaie, focile, esca, zolfanelli, onde fuoco appicciare, et sostentar la vita....". 

Qualche anno dopo Paolo Giovio, (Historiarum sui temporis) nel 1553 così riferiva: 
"Inter duas Apennini arctas fauces imminentium utrinque altissimorum montium, adversis iugis, non multum latam, verum plana vallis extenditur, spatio quadraginta fere stadiorum. Hunc locum incolae Peligni Quinque Milium Planum appellant. Haec autem est eius angusti itineris natura, ut exorti venti quum ingruant, contrario in sese, et rapidissimo impetu convolvantur; sublatus nives e iugis deijciant, et in gyros per aera vertant; quibus media in valle iter habentes, intercluso spiritu repente suffocent et perimant".
(Tra le due strette gole dell'Appennino, su entrambi i lati dei quali le montagne più alte, sui lati opposti, si estendono una valle non molto ampia, ma piatta, per una distanza di circa quaranta stadi. Gli abitanti dei Peligni chiamano questo luogo Piana delle Cinquemiglia. Questa, tuttavia, è la natura del suo angusto passaggio, in modo che quando i venti che si alzano su di esso, si rivolgono contro se stessi e si arrotolano con la più rapida impetuosità; le nevi, sollevate, cadono dai crinali e girano in vortici nell'aria; per mezzo del quale, facendo un viaggio nella valle, vengono improvvisamente soffocati e muoiono per l'interruzione del loro respiro)

 Di questo luogo così particolare parlò anche Leandro Alberti (Descrittione di tutta Italia, 1551):
"....Poi si cammina per una via non molto lunga, ma molto stretta, et aspra, fra l’altissime rupi de gli stretti, et scabrosi monti, per giunger’alla pianura di Cinque Miglia, talmente nominata dalla lunghezza, che tiene di cinque miglia.
Questo luogo è molto rimembrato nei Superecquani de i Peligni. Questa pianura ne’ tempi dell’estate, è molto amena, et dilettevole, imperò che da ogni lato si veggono bei prati vestiti di verdi herbette, et di varji fiori, ma per il contrario, nel tempo del verno, ella è molto strana, et pericolosa da passarvi per essere posta tra questi altissimi monti (benche sta però assai larga, et lunga) conciosia cosa che quando casca la neve dell’aria, et spirano i venti, et quelli non ritrovando la uscita larga, rivoltandosi a dietro, parendo che vogliono combatter insieme, alzano la neve caduta, et parimente quella che allor scende dall’aria, et la portano l’una contra l’altro con tanta forza, che scontrandosi insieme gittarebbero a terra ogni gran cosa, et la invilupparebbono suffocati fra la gran neve. Et per tanto se in quei tempi si ritrovassero gli huomini nel mezo di detta battaglia de’ venti con la neve combattuta, senza dubbio alcuno sarebbono suffocati dalla neve. Vero è, che ne’ detti tempi del verno, osservano i viandanti il tempo che sia quieto, et così allora senza pericolo fanno il loro viaggio”.

di Franco Valente - fb

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