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S. Vincenzo al Volturno

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Anche quest’anno il 22 Gennaio la festa che rinnova il culto per S. Vincenzo nella Valle del Volturno

di Franco Valente - fb 

20 Gennaio 2023

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Perché alle sorgenti del Volturno un monastero dedicato a S. Vincenzo di Saragozza?
Assume particolare importanza la leggenda secondo cui la fondazione dell’antica chiesa di S. Vincenzo risalirebbe al tempo di Costantino il Grande, imperatore dal 306 al 337, che l’avrebbe voluta quando, di passaggio alle sorgenti del Volturno mentre tornava a Roma da un viaggio lungo gli Appennini, gli erano apparsi in sogno S. Stefano, S. Vincenzo e S. Lorenzo. Quest’ultimo avrebbe rimproverato all’imperatore di non aver dedicato a S. Vincenzo di Saragozza alcuna chiesa, mentre si era ricordato degli altri due con le basiliche fatte edificare a Roma ed a Capua. L’imperatore in persona avrebbe indicato il luogo dove erigere la nuova chiesa a mille passi dalla sorgente del Volturno: “Confestim, surgens de visione, locum perspicito, haud procul, aptum, ab ortu fluminis ad mille passus: quo statim, munere celesti fartus, illi templum construere aptum!“. (Bibl. Apost. Vaticana, Cod. Barb. Lat. 2724, fol. 54 r, rr. 6-10).
Del sogno di Costantino si accenna anche in un’altra parte del Chronicon Vulturnense, a proposito della fondazione di un’altra chiesa ad opera di re Desiderio, poco prima del 774, il quale dice che S. Pietro gli era apparso in sogno e gli aveva indicato dove edificare una basilica a lui dedicata. Nel raccontare l’episodio egli paragona l’evento a quelli simili di Costantino, di Teodorico, di Giustiniano, elencando una serie di città, tra le quali inserisce anche Sannia. Si capisce, dal contesto della narrazione, che si riferiva ad una città e non ad una regione e che di quella città rimaneva ancora vivo il nome: … et Rome, et Ticini, et Sannie, et Aufidi ecclesiarum in honore edificare, in diversa michi etate per sompnium apparens,….
Il racconto della fondazione costantiniana di S. Vincenzo, trascritto in epoca carolingia da Ambrogio Autperto, presenta comunque una duplice possibilità interpretativa, sia che si voglia ritenere questa notizia storicamente accreditata, sia che si tratti di una leggenda. In ambedue i casi, infatti, alla base della citazione si ritrova la volontà politica del narratore carolingio di ricondurre a Costantino, e perciò alla romanità imperiale cristiana, la storia del cenobio vulturnense, lasciando intendere che con Autperto, ancor prima che Carlomagno diventasse imperatore, si cercava di ritrovare una continuità con un passato che, per tutta la dinastia carolingia, sarà una vera e propria scelta ideologica.
In realtà non esiste alcun documento archeologico che riconduca al IV secolo l’origine di S. Vincenzo, salvo qualche sporadico elemento decorativo genericamente definibile di stile costantiniano, come un frammento di semicolonna a palmette, riutilizzato nel IX secolo a lato della porta di accesso al refettorio, ed altri due erratici simili, situati oggi nel palazzo abbaziale
Il culto per S. Vincenzo ebbe una importanza notevole nell’Italia meridionale per tutto l’alto medioevo e le nuove scoperte archeologiche hanno riaperto il problema della identificazione precisa del santo. Una serie di nuovi elementi confermano la tradizione che si tratti di S. Vincenzo di Saragozza, che subì il martirio intorno al 304, sotto le persecuzioni di Diocleziano.
Certamente utile la rilettura di un documento di Sigeberto di Gembloux (SIGEBERTO DI GEMBLOUX, Vita Deoderici I, in Monumenta Germaniae Historica, IV, ed. G. Pertz, Hannover 1841) che riporta una antica tradizione del X secolo secondo cui il corpo di S. Vincenzo sarebbe stato trafugato dalla Spagna ad opera di due monaci e trasferito nel monastero vulturnense dove sarebbe rimasto fino alla invasione saracena dell’881. Dopo la distruzione del cenobio sarebbe stato traslato a Cortona e, successivamente, a Remiremont.
Sulla permanenza reale del corpo di S. Vincenzo alle sorgenti del Volturno non esistono altri documenti, ma la testimonianza di Sigeberto è comunque utile per capire quale importanza avesse per i monaci volturnesi la circostanza e quale fosse, in quell’epoca, l’interesse per le reliquie del santo spagnolo.
Ma, a parte la questione del passaggio delle reliquie, sembra particolarmente interessante ritornare alla leggenda del sogno di Costantino per esaminare l’aspetto relativo all’associazione del culto per S. Vincenzo con quelli per S. Stefano e S. Lorenzo che necessariamente riportano a considerare la tradizione carolingia di ricollegarsi alle grandi scelte del primo imperatore cristiano.
Secondo la tradizione Vincenzo era nato a Huesca, in Spagna, e studiò a Saragozza sotto la guida del vescovo Valerio che gli conferì il diaconato. Durante le persecuzioni di Diocleziano ambedue furono arrestati dal prefetto Daziano. Vincenzo venne condannato a violente torture senza che la sua fede vacillasse. Per accrescere e prolungare le sue pene i carnefici lo fecero guarire e poi ricominciarono lo strazio lacerando le sue carni con un’unghia di ferro. Poi passarono a supplizi più atroci ponendolo sul fuoco con una graticola fatta di lame di sega e spargendo sale sulla carne ustionata. Daziano, dopo aver sospeso le torture, lo fece rinchiudere in un carcere privo di giaciglio e con il pavimento cosparso di cocci e vetri per impedirgli il sonno, ma intervennero gli angeli che distesero un letto di fiori.
Il prefetto allora fece trasportare Vincenzo su un morbido letto per farlo di nuovo sanare e poi ricominciare i supplizi, ma l’anima del santo salì al cielo. Daziano, non soddisfatto, ordinò che il suo corpo venisse lasciato in pasto di animali feroci affinché non fosse sepolto. Alcuni corvi, però, si posero a guardia del cadavere respingendo gli altri animali, sicché Daziano decise di far affondare il suo corpo legandolo ad una macina di molino. Ma anche in questo caso intervenne Dio che lo fece galleggiare fino a riva dove i cristiani lo recuperarono e lo tumularono nei pressi di Sagunto-Murviedro, a nord di Valencia. 

Sull’argomento si veda: J.-L. CHARLET, “S. Vincenzo di Saragozza”, in “Storia dei santi e della santità cristiana”, vol. III, Il Seme dei martiri, pp. 256-264) 

L’episodio della tortura con la graticola sul fuoco e dei corvi sopravvive ancora nello stemma dell’abbazia vulturnense, ma, soprattutto della vicenda terrena di S. Vincenzo, si ha testimonianza nel Chronicon in una delle prime miniature dove viene rappresentato seduto su un trono mentre riceve dall’abate Giovanni VI e da un altro monaco i volumi manoscritti della storia del monastero. A terra, sotto i piedi di S. Vincenzo, si vede giacere il corpo senza vita di Daziano che viene definito “Dacianus homo profanus”, con evidente riferimento alle persecuzioni che egli rivolse contro il santo di Saragozza.
Questa miniatura (Cod. Barb. Lat. 2724, fol. 10r – Chronicon Vulturnense), proprio per la presenza di Daziano, chiarisce definitivamente che si tratti di S. Vincenzo di Saragozza, pur se nel Chronicon non si fa mai riferinento al luogo di origine e del martirio del santo. 

Il culto per S. Vincenzo nella Valle del Volturno, comunque si voglia prendere la vicenda della traslazione delle reliquie, può essere considerata anche per altri aspetti, specialmente se si ritorna a considerare la leggenda relativa al sogno di Costantino il Grande che associò il santo spagnolo a Lorenzo e Stefano. In effetti i tre santi nell’ambito di una visione globale dell’impero ebbero importanza nell’epoca costantiniana ed in quella carolingia non solo per i riferimenti agiografici, ma anche e soprattutto perché rappresentavano i punti di riferimento e di unificazione di tre vaste aree geografiche: S. Lorenzo quella italica, essendo il martire di Roma, S. Stefano quella orientale, essendo il martire di Gerusalemme, e S. Vincenzo quella franco-ispanica, essendo il martire di Saragozza.

di Franco Valente - fb

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