I Pastori e i Braccianti molisani

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I pastori di D’Annunzio e i braccianti di Jovine nel Tavoliere entrambi, in epoche diverse

di Francesco Manfredi Selvaggi

09 Gennaio 2023

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Sono 2 migrazioni diverse, avvenute in tempi diversi, la prima, quella dei transumanti, è stata sostituita da quella dei mietitori di grano. 2 epopee diverse che hanno avuto quale scenario le pianure pugliesi.

Ci deve essere qualche potente calamita nel Tavoliere delle, della, Puglie, Puglia capace di attirare a sé tanta forza lavoro molisana in più fasi storiche. Infatti, verso queste terre si muovevano i pastori durante l’epoca, lunghissima, della transumanza e i braccianti quando esse da spazio pascolivo diventarono il “granaio d’Italia”. Si ribadisce quanto detto in apertura che tali spostamenti non avvengono contemporaneamente bensì in distinti periodi della storia, oltre che non nelle medesime stagioni, i braccianti in estate e i pastori per trascorrervi l’inverno, dunque non si sarebbero incrociati mai, un avvicendarsi durante l’anno che non avrebbe lasciato inoccupata questa pianura pugliese se non per breve tempo.

Ritornando alla successione temporale è come se il Tavoliere tra ‘800 e ‘900 avesse cambiato radicalmente volto rispetto ai secoli precedenti: da distesa di pascoli a piantagioni di cereali. La soppressione della transumanza fu voluta da Gioacchino Murat per trasformare questa enorme area pianeggiante da superficie per il pabulamento degli ovini a campi di grano. Tale autentica rivoluzione nell’indirizzo agronomico non modifica poi tanto il flusso di operatori, volta per volta, del settore agricolo e di quello zootecnico che si muovono dal Molise in direzione del comprensorio dauno.

Se c’è una differenza, e c’è ed è anche piuttosto grande, in verità più di una, le ulteriori le vedremo in seguito, è nella durata della permanenza in loco dei lavoratori, di vari comparti del settore “primario”, provenienti dalla nostra regione; per la pastorizia transumante è bene specificarlo soprattutto dall’Abruzzo. Il bracciantato è impiegato innanzitutto nei lavori di semina e di mietitura, specialmente in quest’ultima che richiede molta fatica e molte più braccia, molto più che spargere il seme sul terreno, ambedue operazioni che si svolgono in un arco di tempo tutto sommato limitato, un mese ciascuna.

Al contrario, i conduttori delle greggi transumanti stazionano qui per circa metà dell’anno. È differente, pure, la periodicità che per gli addetti all’agricoltura è biannuale dovendosi recare in Puglia durante l’anno 2 volte, una per la seminagione una per mietere, i due momenti opposti del ciclo di coltivazione dei cereali, mentre per gli allevatori di pecore la venuta nel territorio pugliese è annuale, l’andata della transumanza che inizia a maggio cui seguirà il ritorno ad ottobre. Sono diversi, proseguendo nel confronto, anche temporalmente i trasferimenti delle persone tra le 2 regioni confinanti, il mietere, l’attività che richiede più unità lavorative, è un’azione che si compie in estate, invece gli armenti con i relativi custodi “soggiornano” nella Capitanata in inverno.

Alcune considerazioni a latere rispetto a quanto esposto: la prima è che la lunghezza della sosta favorisce lo sviluppo di rapporti interpersonali con gli abitanti del luogo, le relazioni tra i pastori e coloro che vivono lì sono più strette di quelle che si intrecciano tra i braccianti e gli “indigeni”, la seconda è che i “pecorai”, i possessori degli armenti, sono detentori del mezzo di produzione del loro reddito, i capi armentizi, viceversa i mietitori sono a servizio dei proprietari terrieri pugliesi e perciò sono semplice manovalanza, gli uni detentori di un’azienda, una particolare azienda perché mobile, fatta com’è da pecore in transito dalle montagne alle piane, gli altri subordinati al datore di lavoro, il latifondista pugliese.

Anche in letteratura le rievocazioni dei 2 fenomeni non si incrociano mai, i versi di D’Annunzio “settembre andiamo…” parlano del mondo pastorale transumante, invece il romanzo di Jovine Le Terre del Sacramento rievoca le battaglie per le terre dei braccianti. Un successivo aspetto che distingue i braccianti e i pastori è di natura numerica: è superiore, assai, il numero di coloro che si riversano nel Tavoliere per falciare le messi a quello dei conducenti delle pecore che stazionano qui nella stagione fredda.

Le unità impiegate per accudire gli armenti in transumanza, a parità di superficie investita dalle lavorazioni agrarie e dal pascolamento, è minore sia se si è piccoli allevatori tendendosi a raggruppare le greggi, magari sotto le insegne di una Confraternita (di S. Maria delle Grazie a Campobasso, del SS. Sacramento a Vastogirardi, ecc.) per affidarle in cura a alcuni, pochi di loro, avvicendandosi annualmente in tale compito, al fine di razionalizzare il personale della carovana migrante, sia per i grossi armentieri la taglia degli allevamenti dei quali tende ad essere quella ottimale tanto per contenere la quantità dei dipendenti, il costo del lavoro, quanto per strappare dato il loro peso relativo la concessione delle migliori poste, gli spazi in cui brucare, dove le bestie trascorrono l’invernata, quanto per avere voce nella determinazione del prezzo della lana durante la fiera di Foggia.

Finora ci si è soffermati sulla differenziazione tra bracciantato e pastorizia universi separati che hanno, comunque, una molteplicità di cose in comune. Fra questi vi è la condizione di salariati degli occupati, a giornate i braccianti, a stagione i garzoni sotto paga degli armentieri; condividono questi 2 compartimenti lavorativi, quello bracciantile e quello pastorale, pure la causa del loro declino che è da attribuire per ambedue alle innovazioni introdotte dalla Rivoluzione Industriale. È il nuovo che avanza, in agricoltura la meccanizzazione che assottiglia la domanda di giornate-uomo in campagna, nella pastorizia a spazzar via il vecchio, la transumanza, vi è, insieme all’importazione della lana merinos dal Nuovissimo Continente, l’avvento delle macchine tessili azionate dall’energia a vapore, la clamorosa invenzione di Stephenson, e la coltura del cotone, nella quale erano occupati gli schiavi del Nord America, un materiale più economico della lana, i tessuti prodotti dai cotonifici sono alla portata di chiunque.

Accomuna, inoltre, il bracciantato e la zootecnia transumante il fatto che costituiscono entrambi campo di impiego essenzialmente maschile, con le donne che hanno un semplice ruolo ancellare, nella cerealicoltura la spigolatura dei campi, nella pastorizia, dopo la tosatura degli animali, la fabbricazione dei panni con lane locali in manifatture domestiche, non, di certo, accenno di industria laniera, con i filatoi oggetti immancabili nelle cucine tradizionali. Il lavoro femminile, poi, era richiesto nei lanifici oggi strutture considerate archeologia industriale, da quello di Sepino a quello di Trivento, 2 esempi davvero affascinanti.

(Foto: Le prime case di bonifica nel Tavoliere)

di Francesco Manfredi Selvaggi

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