“Ru monach’”

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Quando per scaldarsi occorrevano mattoni, bottiglie, monaci e preti

di Maria Delli Quadri (da Altosannio blog)

1 dicembre 2022

Ieri sera la temperatura in casa era da termosifone acceso, ma io ho cercato di resistere con qualche plaid e, soprattutto, con lo scaldino elettrico infilato nel letto per trovarlo caldo all’ora della nanna. La mente, questa traditrice, è andata indietro nel tempo, quando andavamo a dormire, noi ragazzi, con i mattoni pieni avvolti in una pezza fetente, dopo averli tenuti a scaldare attorno al fuoco. In casa mia ce n’erano cinque e a volte lo spazio disponibile non bastava.
I benestanti usavano la “bottiglia di rame” e, dulcis in fundo, il “monaco” o “prete” con la coppa di carbonella. A casa mia quest’ultimo arnese toccava, per gerarchia, ai nostri genitori.

I nostri mattoni, poi, erano solo una metà, per cui a scaldarci le estremità (come si dice in lingua forbita) dovevamo fare come col mantice, un piede su e uno giù, ritmicamente, fino a quando quel poco di calore non si esauriva.
Agnone è il paese del rame e la “bottiglia” era in tutte le case; anche noi l’avevamo ma era una, mentre i piedi da scaldare erano dieci. Non c’era proporzione.
Oggi, col termosifone, stufe ecc…. le case sono calde quasi tutte, dipende solo dal portafogli.
A proposito: vi sembra giusto che le popolazioni di montagna siano penalizzate a pagare quei salassi di bollette del gas che arrivano puntuali come la morte?

di Maria Delli Quadri (da Altosannio blog)

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