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Una democrazia truccata

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I partiti non hanno più radicamento nei territori e mancano di forme decisionali partecipate nelle assemblee di base e soprattutto nei congressi nazionali 

di Umberto Berardo

5 settembre 2022

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Di solito si riconduce la storia della democrazia alle polis greche del VI secolo a.C. ma anche all’Illuminismo, al Liberalismo e alla Rivoluzione Americana anche se nuove ricerche storiche individuano talune forme di scelte assembleari e di risoluzioni dirette di problemi già presso diversi popoli a partire dalla Mesopotamia nel terzo millennio a. C.

Se tale sistema di governo deve avere come sue connotazioni la sovranità popolare nelle decisioni, governata prima dallo stato di diritto e poi dalle Costituzioni, come la garanzia dei diritti fondamentali, travalicanti gli ordinamenti statali e riferiti a dichiarazioni sovranazionali come quella Universale sui Diritti dell’Uomo, credo si possa affermare che nel corso dei secoli il conseguimento di tali obiettivi non abbia mai pienamente raggiunto la sua pienezza sul piano politico.

A tale proposito Luciano Canfora ha sottolineato con acute considerazioni le demagogiche ricostruzioni storiche e le esagerate esaltazioni della democrazia a partire da quella greca fin troppo mitizzata.

Il pluralismo e il controllo delle decisioni da parte di organi superiori come in Italia la Corte Costituzionale dovrebbero garantire che la sovranità popolare non divenga mai una dittatura della maggioranza come tante volte è accaduto o una pura finzione come avviene sempre più spesso.

Lo stato globale della democrazia ci dice con chiarezza che essa sta vivendo un momento assai difficile considerando le sue involuzioni, ma anche il dato che oggi ancora il settanta per cento della popolazione mondiale vive in Stati autocratici.

L’Italia è una repubblica dal 2 giugno 1946.

Per quasi cinquant’anni nel nostro Paese la democrazia, benché debole, si è radicata profondamente almeno per ciò che riguarda le libere elezioni, il pluralismo e taluni diritti di cittadinanza.

Poi con il sistema corruttivo accentuatosi negli anni ‘80 e con i tentativi subdoli di modifica dell’assetto costituzionale, portati avanti da diversi esponenti politici che si sono poi concretizzati nel referendum del 16 dicembre 2016, per fortuna spazzato via dalla maggioranza dei cittadini, abbiamo avuto le manovre di destrutturazione di un sistema politico che intanto, pur con tutti i problemi di carattere sociale ed economico legati alla mancanza di egalitarismo, aveva in ogni caso ricostruito il Paese dalle macerie della guerra e del totalitarismo fascista. 

Non solo la maggioranza anomala costituita da Lega, movimenti parafascisti e da un partito padronale pieno di conflitti d’interessi, ma anche governi sedicenti di centro-sinistra come quello di Renzi, di Conte e perfino quelli tecnici hanno provato a frammentare il Paese emarginandone il Sud prima con la secessione della Padania e poi ancora oggi con l’idea divisiva e discriminatoria di autonomia differenziata; ora persistono da tempo nel cercare in tutti i modi di minare la forma parlamentare della nostra Repubblica compromettendo il potere legislativo della Camera e del Senato con il continuo ricorso dei governi ai decreti legge e alla richiesta di voto di fiducia sui diversi provvedimenti.

Sono palesi gli abusi di tali modalità operative nell’approvazione di provvedimenti con le violazioni dell’art. 72 della Costituzione italiana quando essi non hanno le connotazioni di dichiarata urgenza. 

La fase post ideologica ha visto compromesso perfino il sistema di rappresentanza quando il Movimento Cinque Stelle ha avanzato l’idea di sostituirlo in molti casi non attraverso forme reali di partecipazione democratica di base con decisioni verificabili ma con le “parlamentarie” vanificate in alcuni casi proprio in questi giorni e con la cosiddetta “piattaforma Rousseau”, un escamotage con interventi assai limitati nel numero e con l’assoluta assenza di controlli terzi sui risultati.

Delle primarie del Partito Democratico poi non sembra esserci più traccia.

Due manovre hanno comunque contribuito ad affossare i principi fondamentali della democrazia e riguardano le leggi elettorali di stampo maggioritario che hanno tolto ormai la facoltà di scelta agli elettori con le liste bloccate e l’aspirazione ad un presidenzialismo anch’esso indirizzato al ridimensionamento del potere del Parlamento.

Invece che potenziare il sistema dell’istruzione e dell’informazione per migliorare la consapevolezza nell’espressione del voto e l’idoneità a ricoprire cariche istituzionali, c’è chi come Luigi Negri o Nicolò Gallinari anche in Italia pensa addirittura di risolvere i problemi della crisi della democrazia sostituendo ad essa l’epistocrazia ossia un sistema di diritto all’elettorato attivo e passivo concesso solo a chi dimostra una conoscenza del sistema politico o quantomeno dando maggior valore al voto di persone più istruite e informate. 

È del tutto evidente che pensare a prerequisiti di natura economica e culturale per il diritto di voto e per l’assunzione di cariche politiche e amministrative, come si evince da tale proposta, sia profondamente legato a un principio di natura assolutamente inegualitaria e discriminatoria. 

L’emergenza pandemica e la crisi economica hanno spinto troppe volte il presidente della repubblica dopo diverse crisi di governo a rinunciare al ricorso al voto per affidare l’incarico di Presidente del Consiglio dei Ministri non a parlamentari eletti, ma a tecnici che non solo non hanno salvato il Paese in maniera adeguata dall’indebitamento, ma non hanno neppure provato ad affrontare questioni fondamentali oggi purtroppo assai gravi e irrisolte come quelle sanitarie ed energetiche legate alla qualità della vita dei cittadini.

I cosiddetti “migliori” calati da nomine verticistiche in ruoli apicali sono l’espressione di una tecnocrazia di stampo neoliberista che contribuisce a porre toppe a problemi contingenti, ma è incapace o, se preferite, inadatta a risolvere quelli fondamentali che sono il debito pubblico, l’inflazione, la disoccupazione, la precarietà del lavoro e la diseguaglianza sociale tassando ad esempio gli extra profitti e i grandi patrimoni ed eliminando finalmente l’elusione e l’evasione fiscale per evitare il baratro verso il quale stiamo precipitando.

La nascita delle democrazie illiberali o delle cosiddette democrature non è determinata soltanto dall’assenza di temporaneità delle cariche pubbliche, ma anche dall’impossibilità di revocarle nei gravi casi in cui esse siano esercitate contro i diritti dei cittadini o non più secondo il loro mandato.

Un altro elemento di tale percorso involutivo è costituito dalla lontananza abissale dei partiti dalle esigenze dei cittadini e dalla loro esposizione a interessi particolari di lobbies economiche, finanziarie o perfino di singole persone.

L’ingovernabilità del Paese è così legata alle loro correnti interne che hanno ormai ridotto tali strutture di mediazione della rappresentanza a gruppi di piccole oligarchie distanti anni luce dalla popolazione, ma comunque in grado di creare e abbattere governi e maggioranze politiche come avviene sempre più spesso in questi ultimi anni e di determinare verticisticamente candidature e decisioni senza alcun confronto democratico allargato.

I partiti non solo non hanno più radicamento nei territori, ma con statuti costruiti frequentemente intorno alle figure di presidenti-padroni o di garanti mancano di forme decisionali partecipate nelle assemblee di base e soprattutto nei congressi nazionali che sono ormai scomparsi da anni.

La frammentazione delle forze politiche, le loro divisioni talora riposte ma sempre più palesi e l’inadeguatezza dei loro esponenti non solo hanno portato a una diminuzione delle iscrizioni e del tesseramento, ma hanno determinato ormai l’allontanamento della popolazione dalla politica e dalla partecipazione al voto ritenendo quest’ultimo una finzione indecente.

In questi giorni abbiamo osservato allo stesso tempo con distacco e con commiserazione mista a rabbia come l’impegno dei partiti rispetto ai gravi problemi che vive soprattutto la parte più debole della popolazione non sia orientato a un serio lavoro di progettazione del futuro della società in cui viviamo ma unicamente nella vergognosa e insensata redistribuzione delle candidature blindate dei peones nell’uninominale e nel proporzionale con una sorta di saga elitaria e perfino familiare in barba ad ogni sistema di coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni.

In questa regressione della politica al cinismo e all’irresponsabilità gli interessi individuali dei benestanti prevalgono su quelli generali della società e dell’ambiente di cui siamo parte.

Un sondaggio condotto dall'Università di Urbino e Demos ci dice che il 57% degli italiani è disposto per la sicurezza a limitare le libertà individuali, il 60% ad affidare il governo a un uomo forte e il 48% a consegnare la guida del Paese a tecnici piuttosto che a politici eletti.

Sono i risultati dell’assenza di un reale confronto democratico allargato sui temi politici e di un’informazione sempre meno libera e vicina alla propaganda del regime di turno.

Siamo allora a un carattere debole, destrutturato, involuto, truccato e oltretutto inconcludente del sistema politico proprio in un momento difficilissimo della nostra storia mentre il dibattito langue e la stessa informazione appare incapace di analisi profonde sui gravi problemi politici, sociali ed economici che viviamo.

Di fronte a un quadro così difficile e preoccupante senza una reale sovranità popolare e con un parlamento di nominati c’è chi potrebbe ancora una volta lasciarsi tentare dal rifugio nell’astensionismo dettato proprio dalla palude politica che abbiamo davanti mentre dovrebbe esserci sempre più impellente il dovere di un impegno in una doppia direzione che a mio avviso non ha alcuna paradossalità neppure rispetto alle analisi amare fin qui avanzate.

Un voto espresso in una situazione di grave emergenza politica ed economica con rischi già avanzati di sovvertimento della Costituzione e d’impoverimento di ceti sociali già in forte disagio non deve escludere assolutamente la responsabilità e l’impegno costante e prioritario sul versante della lotta per la pace nelle relazioni internazionali oggi gestite da una follia incomprensibile e della realizzazione piena dei diritti per tutti i cittadini.

C’è in questo momento nelle elezioni politiche la necessità di difendere la democrazia dagli attacchi di una destra sovranista, demagogica e xenofoba ma anche chiaramente parafascista in tanti esponesti con tentazioni autoritarie nei principi ispiratori come nei sistemi di alleanze internazionali che secondo i sondaggi sembra indirizzata a una vittoria schiacciante determinata dall’assenza di alternative, ma che rischia di spianare la strada a progetti davvero inquietanti di leggi di revisione costituzionale senza ricorso al referendum confermativo escluso dall’art. 138 quando l’approvazione delle stesse avviene a maggioranza di due terzi dei componenti delle Camere.

È qualcosa che preoccupa come inquietano le proposte di Carlo Nordio, candidato di Fratelli d’Italia, che vorrebbe il ripristino dell’immunità parlamentare, l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione di primo grado e l’eliminazione del reato di abuso di ufficio. 

Abbiamo inoltre il dovere di tutelare i disoccupati, i poveri e gli esclusi dall’ipocrisia di forze politiche che, pur dichiarandosi di sinistra, sono ormai chiaramente espressione d’interessi egoistici e neoliberisti e non riescono più nemmeno a distinguere chi genera la violenza della guerra e quelli che da essa si difendono.

Occorre fare ciò pur in una palese ed evidente difficoltà con scelte elettorali certo oggi fortemente limitate da candidature blindate dalle segreterie dei partiti rivendicando pienamente per il futuro la piena sovranità popolare con una diversa legge elettorale di tipo proporzionale da definire in tutti i suoi aspetti, ma intanto orientando in ogni caso il proprio voto su forze politiche da controllare sicuramente nell’operato, ma che diano qualche garanzia di battersi per ridare forza alla democrazia e centralità al lavoro piuttosto che ai profitti e alle rendite, per attuare la piena occupazione, per superare la precarietà dei contratti di lavoro, per avere quanto prima un salario minimo, per rendere il fisco sempre più equo e progressivo nelle aliquote, per uno Stato che gestisca direttamente, equamente e gratuitamente su tutto il territorio nazionale diritti e servizi corrispondenti alle necessità abitative, sanitarie, culturali, idriche, energetiche e relative alle comunicazioni, alla viabilità e ai trasporti.

Spero ovviamente che senza demagogia o banale propaganda elettorale simili finalità non vengano solo scritte in un libro dei sogni, ma si riesca a definirle con chiarezza nei fondi per sostenerle poi nei tempi di realizzazione e nelle modalità operative di attuazione oltre che nella costruzione di sinergie politiche per approvarle.

Circondata dal buio, ma non volendo vivere il funerale della democrazia o il default economico cercato perfidamente con la destabilizzazione dai fondi speculativi, una caparbia speranza deve orientarci a trovare una qualche formazione politica con un’offerta articolata sugli obiettivi sopra delineati e con un profilo chiaro, credibile e comprensibile.

Subito dopo queste elezioni politiche del 25 settembre 2022 dovremo impegnarci per una legge che regoli finalmente la trasparenza e la democraticità interna dei partiti, attuando l’articolo 49 della Costituzione Italiana.

Insomma di fronte a quella che nel titolo di queste riflessioni ho definito una democrazia truccata, perché tale a mio avviso è realmente, noi abbiamo il dovere civico d’impegnarci affinché cresca una immediata presa di coscienza sui problemi e ci sia una costante assunzione di responsabilità per guardare al futuro con elaborazioni di proposte condivise senza ritorni a un passato da dimenticare o a fughe in avanti incapaci di dare risposte concrete e adeguate alle questioni aperte sulla vita della collettività nazionale e globale.   

di Umberto Berardo

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