Toro: Il Fuoco di Sant’Antonio

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I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise

14 giugno 2022

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A ridosso del muraglione, in prossimità della croce stazionaria, preparavamo il nostro fuoco in onore di sant’Antonio. Era il primo che i devoti incrociavano nel ritornare dal convento a casa, dopo la novena dedicata al santo.
Durante la “tredicina” lungo le strade del paese ardevano altre decine di falò, ma il nostro era il più atteso perché il più carico di sterpaglie.
Qualcuno ci donava qualche fascina di sterpi, ma molte altre dovevamo procurarcele noi ragazzi direttamente sui campi. Allora si partiva fin dal primo pomeriggio per la questua di sterpaglie.
Si raccoglieva tutto ciò che potesse bruciare pur di conservare quel primato di falò più grande e duraturo. Infatti, le fiamme che si sprigionavano si alzavano per diversi metri e il fuoco rimaneva attivo tutta la notte.
Per approntare il falò era necessario costruire alla sua base un supporto a forma conica di canne sulle quali venivano adagiate man mano le fascine di sterpi.
Per renderlo ancor più particolare, issavamo alla sommità alcuni fasci di ginestre per provocare quel tipico strepitio scoppiettante che lo rendeva ancora più attraente. 
Molti si soffermavano ad ammirarlo quel fuoco dalla fiamma robusta. E noi vivevamo solo per quattro minuti di celebrità.
Ma per quattro minuti impieghevamo tutto un pomeriggio per la preparazione del fuoco di s. Antonio. 
Nell’attesa che i devoti scendessero in paese dal convento, per non annoiarci eravamo intenti a rincorrere le lucciole per inserirle nei cocci di vetro e con tale arnese tra le mani credevamo di farci luce nel buio dei vicoli.
L’ultima sera, il 13 giugno, festa solenne del santo, si collocava un fantoccio di bambola alla sommità del falò per farlo bruciare e con la bambola che ardeva terminava la tradizione annuale del fuoco di S. Antonio.

di Vincenzo Colledanchise

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