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Quaderni e messaggini

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Medioevo prossimo venturo. Vi racconto cose banali da Riccia

di Franco Valente - fb

9 giugno 2022

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So ke nn 6 a kasa. + o - a ke ora torni? 
(“So che non sei a casa. Più o meno a che ora torni?”).

Ieri a Riccia, su iniziativa dell’Istituto Comprensoriale, le presidi Vitiello e Perone mi hanno donato un modellino del loro castello per ringraziarmi della collaborazione a una serie di iniziative per la valorizzazione del patrimonio castellano della valle del Fortore.
In conclusione d’obbligo una chiacchierata per sollecitare qualche riflessione sul medioevo. 

Una in particolare sulle abbreviature nell’uso quotidiano dei cosiddetti messaggini.
Chattare e inviare SMS è un modo di comunicare che mi fa pensare agli amanuensi dei monasteri benedettini che avevano due problemi: la difficoltà a produrre la carta e la necessità di ridurre la lunghezza dello scritto.

Quando un abate decideva di far trascrivere una Bibbia o una cronaca del monastero, le pecore erano particolarmente preoccupate: si prospettava una strage di agnelli per ricavare fogli tutti uguali sui quali scrivere i testi da raccogliere nel proprio archivio.
La pelle, levigata e assottigliata con la pietra pomice, veniva piegata fino a ricavarne quattro facciate. Perciò il termine di “quaderno”.
Dal latino “quater” = quattro, da cui “quaternus” = formato da quattro facciate.
Le dimensioni di una facciata corrispondevano a una misura pressoché identica a quella dei moderni fogli “A4”. 
Praticamente da una pelle di agnello si otteneva un foglio “A3”. Ovvero due fogli “A4”.

Insomma, con la pelle di un agnello si formava un quaderno. Tanti quaderni cuciti insieme sul dorso formavano un libro.
Tanti libri messi insieme costituivano la biblioteca (o archivio che dir si voglia). 

Orbene se qualcuno di noi provasse a trascrivere un codice medioevale avrebbe grossi problemi. Non tanto perché i testi sono scritti in lingua latina, quanto piuttosto perché le singole frasi e le singole parole sono una sequenza impressionante di parole abbreviate.

Vi porto come esempio di un brano del 1091 ripreso da Pietro Diacono e che riguarda alcune chiese di S. Pietro Avellana e di Capracotta.
“Gualterius f. Borrelli” e suo figlio “Oddo” restituiscono a Montecassino e a “S. Pietro de Avellana” dodici “casales de rivo Francoli”, diverse chiese, e aggiungono ventisei “servitia hominum”.
Questo è il testo con le abbreviature. Apparentemente incomprensibile.
Simili m*** de eccl***a S***** Nicolay, que e** sita i* Mon** Capraru, cu* terris, silvis et vineis, ex uno latere font* q** vocatur Spongia et quomodo vadit p** ipsa* Serra* de Mont* Boaipone usq** i* vertice* de Monte Cap**ro, et c**iungit se cu* t..ra S**c*i Petri, quom… descendit per fine de Capracocta et pergit in fossatum de Magistro Ben****** et fluviu* Berrini, et revertit in terra S*c* Petri, et ecclesia Sanc.i Blasii de Guasto Marsicano, et ecclesia S**** Petri de capite fluvii Berrini cu* foculares XXX* VIII*, eccle**a S***** Iuste cu* quatuor feudis.
Il testo corretto è:
“Simili modo de ecclesia Sancti Nicolay, que est sita in Monte Capraru, cum terris, silvis et vineis, ex uno latere fonte qui vocatur Spongia et quomodo vadit per ipsam Serram de Monte Boaipone usque in verticem de Monte Capraro, et coniungit se cum terraa Sancti Petri, quomodo descendit per fine de Capracocta et pergit in fossatum de Magistro Benedicto et fluvium Berrini, et revertit in terra Sancti Petri, et ecclesia Sancti Blasii de Guasto Marsicano, et ecclesia Sancti Petri de capite fluvii Berrini cum foculares XXXa VIIIo, ecclesia Sancte Iuste cum quatuor feudis. 

Dunque niente di nuovo nel modo di comunicare.

di Franco Valente - fb

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