Stampa 

Cultura dialettale

Visite: 205

A Campobasso i vecchi toponimi con cui sono stati conosciuti da sempre stanno inesorabilmente scomparendo

di Arnaldo Brunale - fb

10 maggio 2022

Back

Scusatemi, ma devo ripetermi su alcuni concetti espressi in passato, sperando che, questa volta, vengano recepiti, almeno in parte, anche se so che sia molto difficile eliminare vecchie "incrostazioni" originate dalla consuetudine e del parlare corrente della gente. Le mie considerazioni io le chiamo “campuāscianarie” e, a proposito di “campuāscianarie”, mi riferisco alla “moda”, tutta locale, piuttosto recente, di chiamare i luoghi più cari a noi campobassani “assélute” con una nuova nomenclatura, cancellando dalla toponomastica cittadina, con un solo colpo, i vecchi toponimi con cui sono stati conosciuti da sempre. Quello che più mi stupisce della nuova tendenza, invalsa già da alcuni decenni, è l’indifferenza, per non parlare di indolenza, delle Autorità cittadine, che si sono succedute al governo della nostra bistrattata città negli ultimi decenni, che nulla hanno fatto per riportare la verità al posto che merita. E, così, adesso le nuove generazioni parlano di “Foce” e non di “Fóta”, indicando la zona boschiva posta a Sud-Ovest della città, nei pressi delle Coste di Oratino, presupponendo sul posto lo sbocco di un corso di un ruscello, di un fiume, ecc. Per la verità, alcuni studiosi locali hanno provato a dare un senso al termine “foce”, facendo derivare l’etimo del toponimo di questo sito incantevole dall’ablativo Latino “fo(n)te”, da “fons-tis”, con contrazione del morfema “n”, per la presenza in questo luogo di una sorgiva (fonte?) da cui veniva captata l’acqua con cui si riempivano le vasche che alimentavano i 12 mulini presenti nella zona per la molitura del grano. L’origine del nome, invece, potrebbe essere molto più semplice, ed è quella che si annette alle fonti orali di alcuni vecchi campobassani che la accostano all’aggettivo dialettale fute, folto, proprio perché il posto, anticamente, si caratterizzava per una vegetazione molto rigogliosa che contribuiva a renderlo ombroso ed impenetrabile ai raggi del sole.
Un altro “refuso storico”, se così vogliamo chiamarlo, è quello legato al toponimo, alquanto “vaporoso”, con cui viene chiamato, di volta in volta, il colle alla cui sommità vi sono posizionati il castello Monforte ed il santuario della Madonna dell’Assunta. Alcuni lo chiamano impropriamente “Colle S. Antonio”, riportando l’origine del nome a fantasiose genesi feudali, pur non esistendo fonti scritte che avvalorano questa tesi. Altre accostano l’origine dell’etimo alla sottostante via S. Antonio Abate, che lambisce le sue pendici. Altre, ancora, riconoscono questo piccolo rilievo con il vezzoso “collinetta Monforte”. Ma è evidente che in tutti questi casi ci si trova di fronte a coniazioni arbitrarie che hanno molto dell’immaginazione e poco del riferimento storico. Le fonti orali dei vecchi campobassani, invece, sopravanzano tutte queste teorie “fantasiose” quando chiamano la collina più semplicemente “le Munte”, confermando, ancora una volta se ce ne fosse bisogno, l’inesattezza della coniazione di toponimi privi di qualsiasi fondatezza avvalorata da fonti scritte.
Sentendo parlare del pittoresco ispanismo “Santa Maria de Foras”, la piccola chiesa romanica del XII sec. posta fuori dal centro abitato, nei pressi della Fóta e del Munachiélle, mi verrebbe da accostare l’origine del suo toponimo alla dominazione dei Gonzaga a Campobasso, quando nel 1530, Isabella De Capoa sposò Ferrante da Gonzaga. Anche in questo caso ho difficoltà nell’accettare questa tesi per carenza di fonti scritte che la avvalorano. Allora, mi è più semplice affidarmi, come sempre, alle fonti orali dei vecchi campobassani che parlano di Santa Maria ‘é Fóre, proprio perché questa bellissima chiesetta si trova fuori “fóre” dalla nostra città.
Molto più vicino all’esattezza è il nome con cui sono conosciute via Ferrari e via Orefici, anche se esse andrebbero chiamate più correttamente via dei Ferrari e via degli Orefici. Il loro toponimo esatto risale al 1530 circa, quando Campobasso era sotto la signoria di Ferrante da Gonzaga, che favorì il sorgere ed il raggruppamento di botteghe artigianali in determinati punti strategici della città. Anticamente via dei Ferrari si caratterizzava per la presenza lungo il suo asse di numerose botteghe di fabbri che vi lavoravano il ferro, mentre via degli Orefici proliferava di piccoli esercizi artigianali in cui si modellava l’oro.
Un’ultima precisazione, sotto forma di domanda, la faccio a me stesso quando, sentendo parlare dei colori della squadra di calcio che rappresenta la nostra città, si fa riferimento al “rosso-blu”. Mi chiedo, ma perché “rosso-blu”, quando i colori del gonfalone cittadino sono amaranto, tendente al bordeaux, ed azzurro? Qualcuno potrà obiettare che il “rosso-blu” si riferisce ai colori sociali della squadra di calcio e non a quelli del nostro bellissimo vessillo cittadino. Allora, per non scontentare tutta la città sportiva, chiedo venia e dico “Nulla questio”. A Campobasso, con una battuta molto colorita, si direbbe Attacca u ciūcce addó rīce u padróne!
Alla luce di queste precisazioni che, mi auguro, possano provocare discussioni e critiche da parte di chi avrà altre certezze, diverse dalle mie, naturalmente supportate da fonti scritte, vorrei sperare che, in mancanza di sicuri riferimenti storici, non ci sia l’ultimo arrivato che, a supporto delle proprie convinzioni e di tesi diverse, non abbia a rifugiarsi nella classica affermazione locale: Chi la vó cotta e chi la vó crūra.

di Arnaldo Brunale - fb

Back

cultura