Parlare con gli olivicoltori

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Interessante incontro informativo con gli olivicoltori, nell’aula magna dell’Istituto Tecnico Agrario Statale di Larino 

di Pasquale Di Lena 

10 marzo 2022

L’altra sera, nell’aula magna dell’Istituto tecnico agrario statale di Larino, un incontro informativo con gli olivicoltori che hanno aderito al progetto INTERREG Mediterraneo, “Aristoil Plus”, cofinanziato dall’Ue, riguardante la produzione di olio extravergine di oliva di alta qualità, nutraceutico, cioè tutto e solo per la salute. 

L’incontro, che ha visto un buon numero di olivicoltori presenti, promosso dall’Associazione Nazionale delle Città dell’Olio, con la collaborazione di Svimed onlus e Comune di Larino, è stato aperto da un saluto del preside dell’Itas, Prof. Giuseppe Vesce, e dal Dott. Nicola Malorni, vicepresidente Anco; coordinato dall’avv. Mario Ialenti, già responsabile per le politiche comunitarie Regione Molise; introdotto dalla D.ssa Federica Romano, projet manager dell’Anco, e illustrato da Annunziato Scaramozzino, esperto Unaprol. 

Un incontro animato da un’interessante discussione sui possibili risultati del progetto e, in particolare, sul significato e finalità di un olio ricco di polifenoli, gli amici riconosciuti della salute degli uomini, al pari dell’oliveto che, con la sua straordinaria capacità di captare CO2, è del clima l’amico più fidato. Non meno interessante l’intervento di un olivicoltore che, nell’occasione, esaltava i successi del suo oliveto superintensivo, sottolineando i risultati della quantità di olive raccolte e di olio prodotto con questo tipo di impianto. In pratica la convenienza di fronte a quello tradizionale. Nelle mie conclusioni ho provato a far vedere al bravo olivicoltore l’altra faccia della medaglia del superintensivo, in particolare: la durata dell’impianto non oltre i 15 anni; la necessità di macchine difficili da ammortizzare per le piccole e medie aziende; il bisogno di forti quantitativi di acqua, ancor più preoccupante se si pensa a quello che ci riserverà il clima malato con l’innalzamento della temperatura e lo stravolgimento delle stagioni; la necessità di forti concimazioni e trattamenti, nella generalità dei casi tutti prodotti chimici, che vanno a inquinare le falde acquifere e a ridurre, se non eliminare, la vita che è nel suolo, ovvero la fertilità. Un apporto di prodotti che non permetteranno una produzione di olive e di olio biologico.

E fatto ancora più grave è che ci troviamo di fronte a un impianto che rappresenta un attacco a fondo alla biodiversità, un patrimonio che vede l’Italia, sul gradino più alto del podio, distanziare tutti gli altri 60 paesi produttori di olio di oliva. Biodiversità importantissima, non solo perché vita, ma, anche, quale elemento strategico per il mercato, che, come è stato, ed è, per il vino, serve per dare una risposta alla domanda del consumatore, italiano e del mondo, di un olio sicuramente di qualità, ma, anche, segnato da caratteri propri da utilizzare in cucina e a tavola. Ho riportato l’esempio del grano e i costi pagati, negli ultimi vent’anni, dai produttori per aver fatto propria l’illusione della quantità. In pratica ho riportato le ragioni della mia netta contrarietà a questo tipo di impianto, che ruba suolo fertile e, nel tempo, ruba, con il domani, reddito a chi lo fa e al resto degli olivicoltori. 

È vero – come ci teneva a sottolineare l’olivicoltore – che è un impianto che produce quantità di olio maggiore di quello tradizionale, estensivo, ma tutto a vantaggio di fornitori esterni di mezzi e prodotti, e, delle banche che concedono prestiti. La quantità a significare l’adorazione, anche tra i coltivatori, di quel dio denaro che impera nel tempo del neoliberismo, il sistema, non a caso, che depreda e distrugge per il non senso del limite e del finito. Una guerra silenziosa quella dichiarata alla natura, alla nostra Madre Terra, che vede protagonisti – inconsci e, nel contempo, esultanti – i coltivatori, quelli che, per diecimila anni, hanno saputo cogliere dalla Terra non solo l’energia rinnovabile vitale, il cibo, ma, soprattutto, insegnamenti preziosi che, poi, sono diventati valori fondanti di civiltà, la nostra in particolare, fino a quando non è arrivato il consumismo e, con esso, il dio denaro.

Una Terra non più amata, ma offesa, e, con il coinvolgimento dei coltivatori, tradita. Gli oliveti superintensivi, così pure qualsiasi altra coltivazione che punta solo alla quantità, sono la rappresentazione di quell’agricoltura industrializzata che è il passato, e non il presente, meno che mai il futuro. Un’agricoltura che, con gli allevamenti superintensivi, segue da vicino i fossili, gli elementi che, per primi e più di altri, hanno ammalato il clima. L’agricoltura, artefice e, oggi più di ieri, vittima del respiro sempre più affannoso del clima, che – serve dirlo – è una preoccupazione dei giovanissimi, meno degli adulti. Personalmente concordo con chi afferma, e ripete, che è la situazione climatica la pandemia, che il dio denaro, con gli apostoli prediletti (banche e multinazionali), non può risolvere, ma solo aggravare, nel momento in cui i governi, in Italia e non solo, della tanto decantata transizione ecologica tornano a parlare della riapertura delle miniere di carbone, del nucleare, di enormi distensioni di pannelli solari a terra, di perforazioni petrolifere, e, ancora, di tanta agricoltura industrializzata.

Una situazione, se non risolta, che porterà il clima al rantolo finale, se è vero che entro otto anni – lo dicono gli scienziati – la via che si apre è quella del non ritorno, come dire l’inizio della fine. Nel merito del progetto “Aristoil Plus”c’è da dire che importante dare continuità, con la sperimentazione e la formazione degli olivicoltori, alla ricerca della qualità. Serve per dare quel reddito che manca all’olivicoltore; coinvolgere i giovani e renderli, nei vari campi, protagonisti della nuova olivicoltura, quella che non guarda solo all’oggi, ma al domani; affermare ancor più il valore e il significato di una coltivazione, l’olivo, che, nel corso di millenni ha, con la vite, segnato il Mediterraneo e che, da pochi anni, grazie alla qualità e ai suoi benefici effetti del suo olio sulla salute, sta, diventando una coltivazione globale con gli impianti sparsi nei cinque continenti. Un processo colto da Luigi Di Majo, ideatore e promotore del Consorzio “Distretto del cibo Olio evo Bio Molise”, che vuole dare al territorio molisano altri 10mila ettari di olivi, tutti all’insegna della biodiversità olivicola regionale, da aggiungere ai 14mila esistenti, di cui ben 4mila abbandonati, che il Consorzio vuole recuperare. Anche questa volta dal Molise un messaggio importante per il domani dell’olivicoltura italiana

di Pasquale Di Lena 

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