Nei cinema arriva il film “America Latina” 

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Coi fratelli D'Innocenzo ed Elio Germano un viaggio emozionante nel buio della mente umana

di Daniela Catelli (da comingsoon.it)

11 gennaio 2022

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Non è un cinema facile quello dei fratelli D'Innocenzo, né consolatorio, ma il loro è forse lo sguardo autoriale più personale, intenso e visionario che sia emerso negli ultimi anni, con buona pace dei loro hater e detrattori, incapaci di guardare oltre. Perché i loro film, come quelli di Lars Von Trier, ci toccano nel vivo, ci fanno stare male, ci incollano allo schermo coi loro personaggi estremi, fragili e pronti a rompersi come un guscio d'uovo, coi loro maschi tossici e volgari, con la rappresentazione di una società che diventa anche autoanalisi. Perché Fabio e Damiano D'Innocenzo non si tolgono dal coro, ma si espongono sempre in prima persona. Come fanno col loro nuovo film, America Latina, che arriva il 13 gennaio al cinema con Vision Distribution, indefinibile mix di horror studio psicologico, thriller e favola nera, che cattura lo spettatore scarnificando al massimo i dialoghi e attaccandosi al volto, al cranio, allo sguardo di un grande Elio Germano, che con una prova coraggiosa ed estrema (e meno male che in Italia esistano attori del genere!) scende nella buia cantina dell'inconscio e ci conduce con lui in questo viaggio nel perturbante.

Ne hanno parlato via zoom con la stampa i gemelli D'Innocenzo, che hanno annunciato anche la prossima uscita per La nave di Teseo di un libro, "Trilogia", che raccoglie le loro sceneggiature (sempre più brevi: 120 pagine La terra dell'abbastanza, 90 Favolacce e appena 60 questo) assieme al loro protagonista, e come accade quando si ha a che fare con gente intelligente che riflette su se stessa e sul mondo che la circonda, si è finito per parlare dei massimi sistemi, più che del film stesso, che vi consigliamo in ogni caso di non perdere, possibilmente senza leggere nulla prima, anche se è difficile. Evitando soprattutto la mania di protagonismo di qualcuno che ha dato vita a una polemica social in cui Fabio si è fatto coinvolgere e di cui si è scusato con un lungo post su Instagram e coi giornalisti presenti. Quello che conta è il film, che parla con voce forte e chiara, per chi vuole sentire.

“È un film al quale teniamo tantissimo” – esordisce Fabio da New York, dove è andato (a proposito di cinefilia) per vedere prima Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson – “è nato in diretta con noi, in un certo senso, rispetto ai precedenti che avevano avuto una gestazione di anni e anni prima di trovare uno sviluppo produttivo. Qui ci siamo trovati subito nella condizione di realizzare quello che avevamo da dire, lo abbiamo fatto di getto, il che non significa che abbiamo rinunciato allo studio e alla precisione, ma al tempo stesso abbiamo fatto un'esperienza istintuale ed è un film anche inconsciamente figlio di quello che stiamo vivendo, che mette tra i suoi temi tante paure con cui facciamo i conti constantemente da due anni, paure archetipiche che esistono in noi a prescindere da quello che è accaduto ma che ha fatto da detonatore che ha fatto emergere tutto con una forza ancora più deflagrante. È un film molto personale e per noi i veri film personali dialogano con tutti.
Sul tema della vulnerabilità, che è uno di quelli toccati in America Latina, Damiano sostiene a proposito della propria, che a renderlo vulnerabile “è la vita stessa e in secondo luogo la paura, che spesso vanno sottobraccio. L'unica qualità che mi riconosco è quella di non abdicare alla mia voglia di analizzare questa vulnerabilità, per conoscerla, per capirla. Non è un esercizio doloroso confrontarmici ma mi interessa provare ad analizzarla in dei racconti audiovisivi. Sento che il cinema per alcune persone introverse e chiaramente irrisolte possa essere un buon palcoscenico sempre che lo si faccia con la sincerità più totale nel lavoro, con mestiere, impegno e ascolto. Anche questa risposta era molto vulnerabile”.

A proposito di un personaggio che gli ha richiesto uno sforzo fisico ed emotivo non indifferente, evidente agli occhi dello spettatore, Elio Germano ha commentato, senza dimenticare di lodare anche la troupe che si è messa al servizio del film, che resta un'opera collettiva:
“È stato un viaggio molto appassionante. Quando si lavora con Fabio e Damiano, con cui ogni giorno ci si apre, si cerca, si scopre qualcosa, non si va sul set per fare il compito che si è fatto a casa, per fare la performance che si è preparata ma è tutto un discorso al contrario... quando si lavora così è sempre un immenso piacere al di là di quel che si racconta, del dolore che può provocare un racconto, di quanto largo sia questo vulnus, questa ferita. Il film è la storia di una ferita che si allarga ma la possibilità che veniamo feriti è secondo me proprio quello che fa l'umanità. L'intensità è sempre piacere e dolore insieme. Il cinema può essere tantissime cose ma un viaggio così introspettivo in una storia cinematografica è molto difficile, quindi professionalmente è stato molto appassionante, piacevole e faticoso insieme e ogni grande sacrificio porta con sé una grande soddisfazione. Tra l'altro quello che vedete nel film è il frutto di un altro lavoro fatto da Fabio e Damiano al montaggio, abbiamo girato tantissime cose percorrendo strade diverse, annientando qualsiasi forma e modalità performativa ma cercando ogni volta di stupirci di quello che sarebbe successo.”

Sul tema della vulnerabilità, che è uno di quelli toccati in America Latina, Damiano sostiene a proposito della propria, che a renderlo vulnerabile “è la vita stessa e in secondo luogo la paura, che spesso vanno sottobraccio. L'unica qualità che mi riconosco è quella di non abdicare alla mia voglia di analizzare questa vulnerabilità, per conoscerla, per capirla. Non è un esercizio doloroso confrontarmici ma mi interessa provare ad analizzarla in dei racconti audiovisivi. Sento che il cinema per alcune persone introverse e chiaramente irrisolte possa essere un buon palcoscenico sempre che lo si faccia con la sincerità più totale nel lavoro, con mestiere, impegno e ascolto. Anche questa risposta era molto vulnerabile”.

A proposito di un personaggio che gli ha richiesto uno sforzo fisico ed emotivo non indifferente, evidente agli occhi dello spettatore, Elio Germano ha commentato, senza dimenticare di lodare anche la troupe che si è messa al servizio del film, che resta un'opera collettiva:
“È stato un viaggio molto appassionante. Quando si lavora con Fabio e Damiano, con cui ogni giorno ci si apre, si cerca, si scopre qualcosa, non si va sul set per fare il compito che si è fatto a casa, per fare la performance che si è preparata ma è tutto un discorso al contrario... quando si lavora così è sempre un immenso piacere al di là di quel che si racconta, del dolore che può provocare un racconto, di quanto largo sia questo vulnus, questa ferita. Il film è la storia di una ferita che si allarga ma la possibilità che veniamo feriti è secondo me proprio quello che fa l'umanità. L'intensità è sempre piacere e dolore insieme. Il cinema può essere tantissime cose ma un viaggio così introspettivo in una storia cinematografica è molto difficile, quindi professionalmente è stato molto appassionante, piacevole e faticoso insieme e ogni grande sacrificio porta con sé una grande soddisfazione. Tra l'altro quello che vedete nel film è il frutto di un altro lavoro fatto da Fabio e Damiano al montaggio, abbiamo girato tantissime cose percorrendo strade diverse, annientando qualsiasi forma e modalità performativa ma cercando ogni volta di stupirci di quello che sarebbe successo.”

Uno dei temi che ha in comune America Latina con le opere precedenti dei fratelli D'Innocenzo è quello della famiglia, anche se qua viene trattato in maniera molto diversa. Così risponde Fabio, un vero e proprio fiume in piena, sempre in perfetta sintonia con le parole del fratello:
“La famiglia è al centro delle nostre indagini perché è lì che si formano i problemi e le battaglie che combattiamo giornalmente. Credo che il senso della famiglia vada riletto in maniera moderna. La famiglia di questo film è molto particolare ed è fondata sull'amore, letteralmente fondata e generata da un grandissimo amore, che poi sia non corrisposto, intrappolato o poco visibile non importa, è in secondo piano. Noi abbiamo fatto tre film sul sangue, inteso come rapporti di sangue e su come le famiglie possano essere la causa dei mali. Ma il fatto che ci poniamo questa domanda non vuol dire fare una dichiarazione, è solo il nostro modo di percepire le famiglie e come le abbiamo vissute in un determinato momento storico, è il nostro modo di guardare il mondo. Siamo estremamente curiosi delle reazioni del pubblico, è un film con cui ci riappropriamo di un linguaggio che si muove essenzialmente per immagini e per sensazioni, molto spettacolare da un punto di vista visivo, che però è stato realizzato in maniera quasi documentaristica, alla John Cassavetes, e tutta questa libertà che abbiamo avuto e la capacità di realizzare qualcosa assieme fa sì che questo sia un film non dei fratelli D'Innocenzo ma della famiglia D'Innocenzo, che sono tutte le persone con cui abbiamo la fortuna di collaborare.”

Ci piace concludere con una frase di Fabio D'Innocenzo che ci sembra sintetizzi in maniera perfetta il cinema di questi due fratelli, che ci regalano sempre nuove sorprese e continui colpi al cuore:
Siamo pieni di storie, pieni di input e circondati da cose che ci interessano. È il nostro modo di stare al mondo e io spero di essere curioso finché avrò 95 anni, di chiedermi ancora chi sono e interrogarmi su quello che vedo. Non vorrei mai arrivare ad un momento della vita in cui presumo di aver capito le cose. In questo continuo domandarci c'è una ricerca stilistica, umana e di scrittura, di forma, di linguaggio di cui parlava anche Damiano. Questa storia volevamo raccontarla col mezzo più pirotecnico che il cinema ci permette di avere che è quello della suggestione per immagini, della capacità di arrivare alle emozioni mettendo in scena personaggi, luci e colori. I nostri film precedenti erano più parlati, più dialogici, più scritti, abbiamo cercato di rinunciare a questi strumenti per favorire un cinema che forse non va più di moda visto che sempre più spesso vediamo film molto parlati anche con poco da dire. Forse il nostro film successivo sarà una reazione a questo, come questo con un unico personaggio è stato il contrappunto di Favolacce che era corale, quello che verrà dopo sarà la conseguenza di questa indigestione, perché noi come avete visto nel film siamo bulimici e ci mettiamo tutto quello che ci sembra interessante da mettere in scena e da offrire al pubblico. I nostri film sono estremamente ricchi di suggestioni, di curiosità e vogliamo condividerli: il cinema, con la possibilità di vivere un'esperienza e un punto di vista con altre persone è stata la nostra salvezza.”

di Daniela Catelli (da comingsoon.it)

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