Per un’idea di scuola degli scalpellini

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Si può partire da Oratino, dove Il territorio prevalentemente roccioso ha favorito nel corso dei secoli una numerosa presenza di scalpellini

di Dante Gentile Lorusso - fb

25 novembre 2021

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Ci sono luoghi dove è forte e quasi naturale la vocazione dei suoi abitanti per un determinato mestiere. Il territorio prevalentemente roccioso di Oratino, ha favorito nel corso dei secoli, la numerosa presenza degli scalpellini, che con il loro lavoro hanno contribuito notevolmente a caratterizzare una orgogliosa e precisa identità culturale.
Moltissimi sono gli scalpellini di Oratino ricordati nei documenti, lapicidi attivi soprattutto a partire dal XVII secolo fino alla prima metà del Novecento, depositari di una cultura antica che ebbe un ruolo assai importante nel rinnovamento dell’architettura della nostra regione.
Dalle numerose cave locali, poste in prossimità dell’abitato, si estraeva una pietra calcarea caratterizzata da una intensa colorazione biancastra di ottima qualità, con la quale è stato possibile realizzare una vasta gamma di manufatti (tra questi i famosi portali), che hanno arricchito chiese, palazzi, dimore gentilizie, case ed eleganti pavimentazioni di centri storici del Molise, ma anche di alcuni paesi della Capitanata, della provincia di beneventana e dell’Abruzzo. Elementi ornamentali e materiali lapidei in genere che raggiungevano i diversi luoghi di destinazione a dorso di muli o altri animali da soma, ma pure con carretti opportunamente attrezzati per affrontare viaggi lungo i tratturi.
 Le testimonianze raccolte sull’operosità degli scalpellini di Oratino, vanno anche oltre i confini nazionali, infatti, il fenomeno della diaspora dei molisani nel mondo coinvolge numerosi intagliatori della pietra del piccolo centro molisano, che dalla fine dell’Ottocento sono costretti a partire alla ricerca di fortuna per le Americhe, dove spesso sono impegnati nella costruzione di importanti monumenti, edifici pubblici e privati. La richiestissima e pregevole presenza delle maestranze è documentata in Brasile, in modo particolare a Rio De Janeiro, in Argentina soprattutto nella capitale, negli Stati Uniti, tra New York e Cleveland la città dell’Ohio dove si trova la più numerosa comunità di emigranti oratinesi, e dal secondo dopoguerra in alcune importanti località del Canada, ma anche a Budapest dove hanno pavimentato alcune piazze.
 L’attività dei cosiddetti tagliamonti ha rappresentato, insieme a quella delle fiorenti botteghe di pittori, scultori, doratori, vetrai, presenti nel corso dei secoli a Oratino, l’economia trainante che ha consentito una dignitosa sopravvivenza a una cospicua parte degli abitanti del piccolo borgo.
 Il dinamismo di questa comunità certo non sfuggì all’osservazione di Giuseppe Maria Galanti, uno degli esponenti più qualificati dell’illuminismo meridionale, che nella Descrizione dello stato antico ed attuale del Contado di Molise, Napoli 1781, afferma che a Oratino (Loretinum) “Si coltivano molte arti di gusto”. Circostanza che in qualche modo viene ribadita da Francesco Longano, che visitò tutti i centri della nostra regione a dorso di un cavallo, per scrivere il libro Viaggio per lo Contado di Molise (1788), il quale sostiene che “L’Oratino… ha ogni classe di artigiani stesissima”.
Un mestiere, quello legato alla pietra, antico e ricco di sapienza attinta quotidianamente dal sudore del duro lavoro, ma prezioso e affascinante per le tecniche e i suoi tanti segreti tramandati da padre in figlio per varie generazioni. Perciò così come si ereditava l’esperienza, i vari trucchi del mestiere e i diversi utensili necessari per la lavorazione dei blocchi di pietra, allo stesso modo passavano di mano in mano libri e appunti grafici che servivano a gettare le basi per la formazione e la conoscenza del disegno. E’ il caso del volume, praticamente consumato perché fonte di sicura ispirazione da parte di una famiglia di scalpellini, dal titolo Gli ordini d’architettura civile di Jacopo Barozzi detto il Vignola, perché nativo di quell’importante centro dell’Emilia Romagna, famoso teorico dell’architettura vissuto nel Cinquecento. Si racconta che il libro fu recuperato a Napoli in casa di un architetto e che per raggiungere il capoluogo campano uno scalpellino desideroso di arricchire il proprio bagaglio culturale, affronta il viaggio a piedi di andata e ritorno della durata di cinque giorni.  
A tutt’oggi il primo scalpellino documentato attraverso le carte d’archivio e precisamente nella Numerazione dei Fuochi, è Domenico Antonio Grandillo, nato a Oratino nel 1640. Grazie ad un protocollo redatto nel 1690 dal notaio Carlo Salottolo di Campobasso, apprendiamo che il M° Domenico Antonio Grandillo ha istruito all’arte dello scalpellino i nipoti Barnaba, Cosma, Michele e Pietro Grandillo.
Dal Catasto conciario di Oratino redatto nel 1741, si evince che la professione di scarpellino, viene esercitata da esponenti delle famiglie Brunetti, Camillo, Coladangelo, Giuliani, Grandillo e Latessa, mentre dalla fine del Settecento e i primi anni del secolo successivo si assiste ad un notevole incremento di maestranze in questo settore. Sicuramente la causa che incide notevolmente allo sviluppo delle piccole aziende a carattere prettamente familiare, è riconducibile alle necessità di ricostruzione del vasto patrimonio edilizio seriamente compromesso dal drammatico terremoto che sconvolse il Molise il 26 luglio 1805, un sisma che colpisce buona parte del territorio molisano con un’intensità pari all’XI grado della scala Mercalli e distrugge sessantuno paesi, provocando circa 6.000 morti. A Oratino, che in buona sostanza non subirà danni dal terremoto di Sant’Anna, si assisterà nel corso del XIX secolo ad un certo sviluppo urbanistico, come ad esempio la nascita del Borgo Loreto, ideato e progettato dallo scalpellino Paride Latessa nel 1857. Case a schiera costruite con un preciso e ripetitivo modulo abitativo lungo Via Piedicastello, un’ampia e comoda scalinata in pietra, in cui sorgono le dimore di diverse famiglie di scalpellini.
Dalle carte d’archivio risalenti a quel periodo e fino ai primi decenni del Novecento, viene segnalata una notevole schiera di maestri scalpellini appartenenti alle famiglie Fagnano e  Di Tullio, provenienti da Pescopennataro, artigiani che si trasferiscono a Oratino nella seconda metà del XVIII secolo per maggiori opportunità di lavoro; Chiocchio, Tirabasso, Petti, Giovannitti, Carrozzelli, D’Anolfo, Perna, Mastrangelo, Gentile Lorusso, Santopuoli, Pucella, De Cristofaro, Cirelli, Secondo, Ranallo, Iannandrea, Di Palma, Fatica e Tarasco.
Nonostante il considerevole esodo migratorio che colpisce anche la comunità di Oratino, è utile ricordare che nel 1907, come si legge in una relazione conservata nel Fondo Demanio, sono attive otto cave di pietra ubicate tutte a ridosso del monte in cui sorge l’abitato. Così vengono elencate le cave:
I Contrada Sant’Antonio o Fontanelle di Michele Latessa fu Desiderio, fin dal 1878, paga il canone di £ 20
II Contrada Sant’Antonio o Fontanelle di Ismaele e Antonio Di Tullio, fina dal 1903, paga il canone di £ 15
III Contrada Colle Macciardo di Dionisio Fagnano, fin dal 1903, paga il canone di £ 18
IV Contrada Lisciaro dei fratelli Biagio e Francesco Giuliani fu Antonio, fin dal 1900, paga il canone di £ 35
V Costa Santa Maria di Feliciantonio Petti fin dal 1860, paga il canone di £ 30
VI Costa Santa Maria di Domenico Petti fu Giovanni, fin dal 1901, paga il canone di £ 12
VII Contrada Cavarelle di Michele Fagnani fu Giovanni, fin dal 1892, paga il canone di £ 8
VIII Costa Santa Maria di Giuseppe D’Anolfo fin dal 1907, paga il canone di £ 5
Attività fiorente e fortemente radicata nel territorio ancora nella seconda decade del Novecento, anni in cui Nicola Giuliani (Oratino, 1875 – Napoli, 1938), artista formatosi presso l’Accademia di Belle Arti del capoluogo campano diretta da Filippo Palizzi e Domenico Morelli, i due caposcuola della pittura napoletana dell’Ottocento, istituisce nel paese corsi serali di disegno per scalpellini. Il pittore avverte la necessità di rinnovare un linguaggio che affonda le radici nella tradizione locale consolidata da una secolare cultura figurativa, proponendo modelli estetici più moderni in linea con gli esiti maturati nell’ampio panorama nazionale, al fine di imporsi e attirare un mercato sempre più vasto ed esigente.  Alle lezioni che si svolgono nello studio del pittore, sono presenti numerosi giovani artigiani, che sentono il bisogno di approfondire le conoscenze del disegno per arricchire la propria formazione. Lezioni della durata di due ore al costo di 5 lire che il Prof. Giuliani teneva la sera dopo che gli allievi avevano lavorato l’intera giornata nelle diverse cave del paese (dalla nascita al calar del sole) e proprio per la stanchezza spesso succedeva che durante le esercitazioni gli allievi si addormentavano. Questa circostanza spinse i genitori a cercare un accordo e retribuire al pittore solamente le ore di lezione che i loro figli riuscivano realmente a seguire.
La tradizione orale tramanda che i genitori in molti casi seguivano personalmente la formazione dei loro figli ad esempio nel caso un giovane dimostrava particolari doti per la decorazione plastica di elementi architettonici, gli veniva assolutamente vietato di fare lavori più pesanti (estrazione e sgrossatura dei blocchi), questo per evitare di perdere una certa sensibilità ed elasticità delle mani. 
La fase di decadenza e quindi l’epilogo di questa nobile professione, arriva inesorabilmente a partire dalla metà del secolo appena trascorso, quando nella nostra regione le committenze diventano sempre più scarne e inoltre, per una serie di assurdi motivi burocratici le numerose cave di pietra sparse su tutto il territorio oratinese nel 1958 vengono addirittura chiuse.
Le autorità locali giustificano il provvedimento, accusando gli scalpellini di non pagare le dovute tasse in relazione ai lavori prodotti, motivo che induce gli amministratori comunali ad una ordinanza che vieta l’accesso agli ancora numerosi artigiani alle cave, provvedendo con relativa solerzia ad affittarle agli spaccapietre, che utilizzano mezzi meccanici e fanno ricorso soprattutto all’uso di mine. Per questo vengono soprannominati il “flagello della pietra”.
In buona sostanza questi eventi hanno accelerato in maniera vertiginosa la fine di una secolare attività che ha reso famoso Oratino.
Da questa analisi, che ripercorre in sintesi le varie fasi storiche che hanno caratterizzato la produttività dei maestri scalpellini di Oratino, nasce una precisa volontà di ripresa e rilancio di questo mestiere all’interno di una Scuola artigianale della pietra.
Convinti che la pietra presente in abbondanza nelle cave, rappresenti il vero “oro bianco” della comunità oratinese, una risorsa che con i dovuti accorgimenti apportati dalle nuove e moderne tecnologie, ma anche da una acquisita sensibilità, possa ritornare ad essere volano di sviluppo economico e culturale di Oratino.
La formazione dovrà essere realizzata attraverso corsi che prevedono necessariamente attività specifiche riguardanti la storia della pietra e degli scultori oratinesi, lo studio delle antiche cave, le tecniche di estrazione e della successiva lavorazione della pietra,oltre ad approfondite conoscenze di base del disegno geometrico e ornato.
Una scuola per preparare un gruppo di giovani alla produzione di elementi architettonici ornamentali, ma anche da impegnare negli interventi di manutenzione e restauro edilizio dell’ingente patrimonio presente nei nostri centri storici, che hanno subito negli ultimi decenni devastazioni e saccheggi dovuti all’incuria, all’abbandono, ma soprattutto alla scarsa attenzione da parte degli organi preposti alla tutela e salvaguardia del patrimonio storico-urbanistico.
Personale specializzato da impiegare utilmente nel restauro dei numerosi e preziosi monumenti, sia civili che religiosi, presenti nella nostra regione, maestranze specializzate che riprendono le tecniche di lavorazione dell’antica tradizione, custodite gelosamente ancora oggi dagli ultimi scalpellini di Oratino.
Una sorta di passaggio del testimone da raccogliere e portare avanti. Così come ha fatto da circa trent’anni Renato Chiocchio, classe 1956, che ha abbandonato definitivamente e senza rimorsi il ruolo di stimato geometra, per intraprendere con caparbietà e coraggio il mestiere portato avanti per generazioni dalla sua importante famiglia di scalpellini. Orgoglioso continuatore di una  professione praticata nel solco della tradizione, animatore appassionato e instancabile del dibattito che punta con assoluta convinzione al rilancio di questo mestiere attraverso l’istituzione di una scuola.

di Dante Gentile Lorusso - fb

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