Casa d’appuntamenti

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I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise

3 novembre 2021

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Agli inizi degli anni Sessanta si diede inizio ai lavori per la costruzione della Fondovalle Tappino per la quale fu impegnata la Ditta Zaccherini da San Benedetto del Tronto, che portò in paese varie maestranze dalle Marche. 

Vi lavoravano anche uomini toresi in quell'impresa. Mio padre era il rifornitore e l’ingrassatore delle ruspe, quindi amico e confidente di quei bei giovani marchigiani che manovravano quei grossi mezzi con padronanza del mestiere, seppure le asperità dei nostri colli imponeva loro di effettuare complicate e ardite manovre per appianare il terreno lungo il tratturo, dove sarebbe passata la nuova strada. 

Erano aitanti quei colleghi di mio padre e la loro permanenza in terra molisana durò alcuni anni. Qualcuno di loro chiese a mia madre se poteva presentar loro qualche ragazza del paese.

Si era nei primi anni sessanta e la cosa non era affatto agevole per l’innata, secolare diffidenza verso i forestieri. Quelle nostre ragazze timide e circospette, erano ligie al detto” Mariti e buoi dei paesi tuoi”. Comunque la mamma non volle deludere quei ruspisti e si industriò per servirli. 

Avevamo di fianco casa un fondaco dove riponevamo granaglie e frutta secca. La mamma pensò di utilizzare quel posto nascosto nel vicolo per gli incontri segreti serali. Tali erano gli appuntamenti per il divieto assoluto dei genitori delle ragazze di proferir parola con uomo alcuno, figuriamoci se forestieri.

Mamma contattava le ragazze e le smistava presso il fondaco dove sarebbe avvenuto l’incontro segreto, con lei presente.

Una sera, non visto, mi intrufolai furtivamente nel fondaco, e mi misi a rimirare quelle coppie illuminate dalla fioca luce della candela, gli uomini per vincere la ritrosia delle donne o per accattivarle promettevano loro, addirittura, amore eterno. 

Ero stupefatto nell’udire frasi per me banali e che accendevano, invece, i volti di quelle donne. Mentre gli uomini, che io tanto ammiravo, con i quali avevo preso stretta confidenza salendo sulle 

ruspe, nel fondaco mi parvero decisamente ridicoli con i volti stranamente tirati, recitando balbettanti dolci frasi, che parevano poesie mandate a memoria. 

Fu allora che scoprii tutta la fragilità dei maschi quando si pongono a dover esternare i propri sentimenti davanti ad una donna, intimoriti forse dalla bellezza o avvenenza.

 Per quanto mamma origliasse, essendo al centro del fondaco con la sua candela, e badando a più di una coppia, non riusciva ad indovinare quale esito avrebbe preso quel primo incontro tra le ragazze e i pretendenti marchigiani.

 Era più agevole, all’indomani, davanti al camino, raccogliere le confidenze direttamente dalle interessate, che puntualmente riferivano le loro prime impressioni sui loro rispettivi cavalieri. 

Il compito di mamma allora si faceva arduo e qualche volta antipatico, perché doveva riferire lei a quei colleghi di mio padre sull’esito dell’incontro e sul parere favorevole o sfavorevole delle ragazze con le quali si erano intrattenuti la sera prima.

Ricordo lo sgomento e la delusione di Guido, che pur entrato nelle grazie di A. la più bella, slanciata ed elegante ragazza torese, a nulla valsero le suppliche di costei al padre affinché le permettesse amare quell’uomo. Alla delusione di Guido, seguì l’aspro rimprovero di quel severo genitore a mia madre, che era stata l’artefice del loro incontro nascosto

Costui rivelò la “tresca”, così la definì, che avveniva nella nostra "casa di appuntamenti" agli altri genitori e solo per miracolo non ne seguì un linciaggio a mia madre, mentre dalle mamme delle ragazze ebbe aspro e duro rimprovero, rea di voler mandare le loro figlie a vivere addirittura nelle lontane Marche.

Infatti, nessuna di quelle signorine da marito raggiunse le Marche.

di Vincenzo Colledanchise

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