Il gallo non canta 

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“Gli anni della fame. Carestia del 1764 e calamità d’inizio Ottocento nel Molise”: il libro di Michele Tanno

da Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)

23 luglio 2021

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In Molise il 1764 fu un anno terribile, destinato a passare alla storia come l’anno della fame. La tremenda carestia del 1764, conseguenza dei cattivi raccolti degli anni precedenti, riguardò l’intero Regno di Napoli e colpì duramente anche altre aree italiane. Essa si manifestò soprattutto come penuria di cereali, quindi di farina e di pane, costringendo le persone a cibarsi di erbe e di ghiande, perfino di animali come cani e gatti. Le cause erano ambientali e politiche. Il clima ha sempre una grande influenza sulle raccolte agrarie, ma entravano in gioco anche le scelte degli uomini e dei governi: la persistenza della feudalità come sistema di organizzazione delle campagne e della produzione, nonché le politiche di approvvigionamento che privilegiavano Napoli, la grande capitale del regno che peraltro soffrì anch’essa la crisi in modo drammatico, lasciarono le province in uno stato di disperazione, come denunciato apertamente dagli illuministi, da Antonio Genovesi a Giuseppe Maria Galanti.

La “spavente- vole carestia” del 1764, come la definì a caldo il Genovesi, finì per assumere un carattere strutturale e il significato di una crisi di sistema. Le condizioni sociali e ambientali furono sconvolte e nei paesi si diffuse il terrore. Da Castropignano il notaio Leopoldo Borsella scriveva nella primavera del ’64 che quei difficili mesi “le galline non hanno fatte ova” e “li galli non hanno mai cantato”. Questa significativa testimonianza è ripresa nel bel libro di Michele Tanno, uscito recentemente per le edizioni Lampo e intitolato Gli anni della fame. Carestia del 1764 e calamità d’inizio Ottocento nel Molise.

Potrebbe sembrare il racconto delle sventure in una terra sventurata: carestie, alluvioni, frane, terremoti e altre calamità che hanno ripetutamente colpito il Molise. Invece, le ricerche di Tanno, ci pongono di fronte anche i caratteri, le vocazioni e le potenzialità di una regione rappresentativa del destino di tante aree interne italiane. È una questione attuale, cominciata in età moderna e accentuata nella seconda parte del ‘900 a causa di un modello di sviluppo squilibrato, che ha accresciuto le differenze tra le diverse componenti territoriali del Paese.

In questo lungo processo, il ‘700 si configura come un periodo di trasformazione, il secolo in cui tramonta l’ancien régime e nel quale si pongono le basi del modello economico capitalistico. Sul piano culturale è il secolo dell’Illuminismo, con al centro i princìpi della ragione, della libertà e dell’uguaglianza. Valori che allora, e in parte ancora oggi, suonavano come un’illusione, specialmente se guardiamo a vicende come quelle ricostruite nel libro di Tanno, che mettono in luce come le crisi di qualsiasi tipo – da quelle alimentari a quelle sanitarie – agiscono in modo selettivo sulla società, colpendo più duramente i ceti più deboli e spesso avvantaggiando, anche nelle strategie di uscita, quelli già benestanti.

La carestia del 1764 colpì in modo particolare la società e l’economia del Molise, piccola provincia interna tra le montagne dell’Abruzzo e le pianure della Puglia, disegnata dalla rete dei tratturi: pecore e grano, transumanza e cerealicoltura, tratturi e campi coltivati combinavano la dimensione pastorale e quella agraria, che era prima di tutto cerealicola.

La carestia del ‘64 generò innanzitutto una spinta verso la coltivazione del grano, con la speranza di avere più farina, più pane e più pasta. Si afferma così una tendenza alla cerealizzazione dell’economia regionale, con il parallelo declino della pastorizia. Coltivazioni e pascoli non potevano andare sempre d’accordo. La diminuzione delle terre pascolative e gli estesi disboscamenti a vantaggio della cerealicoltura, con la coltivazione del grano che si spingeva fin verso le alture, determinarono un peggioramento delle condizioni idrogeologiche del territorio, soggetto a erosione, smottamenti e frane: l’acqua e l’argilla – ricorda Tanno – sono elementi dominanti nella formazione del paesaggio del Molise, croce e delizia del suo territorio. La distruzione dei boschi fu anch’essa un effetto della fame. La crisi diventa così anche un “assalto al territorio”.

La carestia è innanzitutto storia sociale, ma è anche al tempo stesso oggetto della storia economica e politica e infine di quella ambientale. La geografia della fame equivale a quella delle proteste e delle strategie popolari per fronteggiare la disperazione, cercando nella terra e nell’ambiente le più disparate risorse per sopravvivere. In tanti casi fu una lotta vana, ma nel suo insieme fu una spinta al cambiamento, ad una trasformazione economica e sociale sempre più orientata all’agricoltura, verso quella che sarà ancora nel’900 l’identità “ruralissima” del Molise. La lotta contro la fame fu anche il terreno su cui si venne rafforzando il carattere sobrio e resistente, caparbio e al tempo stesso sfiduciato, delle comunità molisane.

Ricerche come queste non servono soltanto a ricostruire momenti particolarmente critici della storia regionale, ma sono anche l’invito a riflettere sul ruolo dell’agricoltura e della biodiversità come aspetti ineludibili di un equilibrato rapporto tra uomo e ambiente, per una società più giusta e solidale.

da Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)

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