La natura di un parco naturale

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Quando un’area è Area Protetta è anche area dichiarata di interesse paesaggistico

di Francesco Manfredi-Selvaggi

30 giugno 2021

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La natura di un parco naturale è abbastanza indefinita perché la sua missione è amplissima. Più circoscritti sono gli interessi degli altri strumenti di tutela presenti in un Parco come quello del Matese, il paesaggio del piano paesistico, la stabilità del suolo del Piano di Bacino, le associazioni vegetali del SIC, l’avifauna della ZPS.

Sempre, non per regola, bensì nei fatti, quando un’area è Area Protetta è anche area dichiarata di interesse paesaggistico. Non vi sono eccezioni in Molise e neanche il Parco del Matese lo è. 

Meno scontato è che un’Area Protetta sia anche un Sito di Importanza Comunitaria, ma è molto frequente che lo sia, mentre non è altrettanto probabile il contrario; il Matese è quasi interamente coincidente con un SIC dal quale sono esclusi i lembi inferiori che, però, rientrano in una Zona a Protezione Speciale, il primo derivante da una Direttiva Habitat, la seconda dalla Direttiva Uccelli, le due Direttive europee che sono a fondamento della Rete Natura 2000. È ultimissima la proposta di riconoscimento del massiccio matesino quale Geoparco, tipologia di parco oggetto di un’ulteriore, altrettanto recente, Direttiva dell’Unione Europea. Vi sono, poi, i Piani di Bacino preposti alla “difesa del suolo” (è il titolo della legge che li ha introdotti nel nostro ordinamento) dal “rischio alluvioni” e dal “rischio a frana”: dei due tipi di rischi solo il secondo minaccia i monti del Matese e il Piano di Bacino del Biferno ha disposto che non vengano alterati i versanti al fine di garantirne la stabilità. Sono tante, dunque, le normative a protezione di questo comprensorio montuoso, il che renderebbe addirittura ridondante, per questo aspetto, quello della tutela, il parco. Si tratta tutte di disposizioni di scala ampia che hanno bisogno di tradursi in regole operative per essere applicabili speditamente sul territorio. Per spiegarci meglio, nel SIC per qualsiasi intervento da realizzarsi è richiesta una Valutazione d’Incidenza, negli ambiti vincolati paesaggisticamente il progetto di una qualunque opera deve acquisire l’Autorizzazione da parte degli organi preposti, non è sufficiente la rispondenza ad uno dei 2 Piani Paesistici matesini, nelle fasce a rischio idrogeologico la progettazione di un manufatto o l’esecuzione di lavori  è soggetta al Parere dell’Autorità di Bacino e a quelli elencati si aggiunge il Nulla Osta dell’Ente Parco. Sottoponendo le previsioni dello strumento urbanistico a ciascuno degli adempimenti elencati sopra, cioè alla valutazione d’Incidenza, all’assenso paesaggistico di massima (che riguarderà il planovolumetrico e non, ovviamente, la singola opera), al Parere idrogeologico, al N.O. del Parco si semplificherà la fase successiva, quella realizzativa, delle specifiche costruzioni. Cosa non da poco dato che semplificazione è diventata una parola d’ordine primaria, un’esigenza che ha difficoltà ad essere soddisfatta se i Comuni non si doteranno di Piani Regolatori Generali invece che di Programmi di Fabbricazione. I PdF sono i piani più diffusi specie nelle realtà comunali minori, i cosiddetti Piccoli Comuni che sono quelli con meno di 5.000 abitanti (la taglia usuale degli insediamenti appenninici). 

Così, puntualmente si verifica nel comprensorio matesino dove solamente Boiano, l’unico centro al di sopra di tale soglia demografica, è munito di PRG. Peraltro, lo si dice per inciso, è già tanto che ci sia un PdF in tutti i Municipi, non è scontato qui da noi o almeno non era scontato fino ad un paio di decenni fa quando, finalmente, Roccamandolfi non riuscì a varare il suo. La differenza tra PdF e PRG è che il primo si occupa esclusivamente dell’agglomerato abitativo tralasciando la campagna e, quindi, gli spazi naturali e seminaturali, i quali ultimi sono la componente maggioritaria che maggiormente influenza l’assetto ambientale dell’Appennino, e, quindi, (ancora) gli areali dei SIC o, esclusivamente, degli Habitat che sono al loro interno. Non basta, ad ogni modo, un PRG perché occorre anche che vi siano i Piani Particolareggiati, specialmente quello riguardante il centro storico perché (ancora) la pregevolezza di un parco appenninico come è quello del Matese è dovuta pure alla bellezza dei borghi tradizionali che ne costellano l’ambito. Si è parlato di ridondanza e di semplificazione e le due cose non vanno, di certo, bene insieme. 

Per semplificare i passaggi amministrativi imposti per la costruzione di una struttura non basta agire a valle attraverso la formazione dei Piani Regolatori, ma è anche necessario adoperarsi a monte, molto a monte, al livello legislativo. La L. 394 che è del 1991 non poteva presupporre che successivamente sarebbe sopravvenuta nel suo stesso settore d’interesse, il naturalistico, il programma Natura 2000: il suo lancio che in Italia è avvenuto con un Decreto del ’97, al fine di evitare sovrapposizioni, avrebbe dovuto portare ad una riforma della legge nazionale sui parchi la quale, a tutt’oggi, non si è avuta. Sono le norme italiane sulle Aree Protette a doversi adeguare e non il viceversa, nonostante siano precedenti, perché la Direttiva europea è, come è ben risaputo, sovraordinata (ancora sovra-). Si occupano entrambe di natura e però con impronte diverse: i nostri parchi nazionali, nascono per salvaguardare l’orso, il PNdA, e lo stambecco, il Parco del Gran Paradiso, la fauna costituendo un po’ il marchio d’origine, mentre la Rete Natura 2000 si occupa degli habitat in cui gli animali selvatici vivono. Sono evidentemente complementari e ciò permetterebbe una organica fusione. 

Le differenti accentuazioni rimarrebbero salve non essendo incompatibili con la difesa dei biotopi, la mission di Natura 2000, i progetti di conservazione di specie in pericolo di estinzione, tipo Ursus Arctus, per l’Orso Marsicano, oppure la si cita seppure si è ormai conclusa, l’Operazione S. Francesco attuata dal WWF sull’Appennino centro-meridionale il quale comprende il Matese, per salvare il lupo, specie faunistica che in quel periodo, eravamo negli anni ’70, si era ridotta ad un limitato numero di esemplari. Probabilmente più che di una revisione della 394 è sufficiente un aggiornamento, ma in ogni caso qualcosa bisogna rivedere, non i principi ispiratori che restano validi, bensì alcuni aspetti gestionali quale quello della gestione dei Piani di Gestione degli Habitat da affidare all’Ente Parco (il che non significa far gravare sulla sua Contabilità ulteriori  incombenze economiche, perché la Direttiva europea che ha varato la Rete Natura 2000 ha stabilito che i fondi per tale fine vanno ritrovati in Capitoli di Spesa attinenti alle molteplici azioni da compiere di carattere gestionale presenti nei Bilanci regionali (Molise e Campania), non uno specifico stanziamento per capirci). Ne trae un vantaggio, dunque, da questa unione Natura 2000 la quale restituisce al parco una mole di informazioni di dettaglio sulle caratteristiche vegetazionali dell’area (il Corine). 

Ci si è soffermati su Natura 2000, ma sinergie fruttuose per l’ambiente si possono ricavare anche tra Parchi e Piani di Bacino e tra Parchi  e Piani Paesistici nella convinzione che per proteggere efficacemente l’ecosistema occorre ampliare il fronte della tutela.

di Francesco Manfredi-Selvaggi

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