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Lutto per la scomparsa di Natalino Paone

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Esperto di transumanza, tenne una conferenza sui “Tratturi” a Forli del Sannio, a conclusione della terza tappa di “cammina, Molise!” nella sua Prima Edizione, quella storica del 1995 da Roma a Duronia

di APS La Terra

25 giugno 2021

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Si è spento a 93 anni Natalino Paone, storico ed ex consigliere e assessore regionale. Ha guidato anche il Municipio del Comune in cui era nato nel 1927, Scapoli. Paone è stato anche il fondatore dell’Iresmo (Istituto Regionale per gli Studi Regionali del Molise), nonchè autore di diversi libri e saggi sulla transumanza, sulla seconda guerra mondiale, guide turistiche, sull’archeologia e sul Paleolitico.
L’APS La Terra vuole ricordarlo con la pubblicazione (tratta dal mensile “la vianova” sett/1995) del suo interessantissimo intervento sui Tratturi in occasione dell’incontro nella sala comunale di Forli del Sannio a conclusione della terza tappa di “cammina, Molise!” nella sua Prima Edizione, quella storica del 1995 da Roma a Duronia.

I TRATTURI, TRA STORIA E SPERANZA, PER UNO SVILUPPO POSSIBILE DELLE NOSTRE TERRE
Provo un certo disagio a parlare per l‘ora, specialmente per coloro che hanno fatto la lunga scarpinata, i quali ancora non hanno mangiato, e che domani dovranno ancora camminare non so con quanta preoccupazione, perchè questa credo sia la prima esperienza di questo genere. Complimenti per il coraggio che avete avuto nell’affrontare questa impresa che comporta un grosso sacrificio fisico.
Allora mi limiterò ad alcune riflessioni. 

2500 ANNI FA, LUNGO LE VIE DELLA LANA
La prima è che l’ingresso, l’immissione del gruppo ad OPI, in un ambiente diverso dal punto di vista naturalistico e paesaggistico, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, vi ha permesso di parlare di ambiente dove una istituzione, un organismo specializzato come l’Ente Parco ha creato il gusto per la natura tra mille difficoltà. Qui questa sera si parla invece di tratturi e di archeologia, perchè avete percorso, consapevolmente o inconsapevolmente, la più antica via, il più antico tratturo credo non del Molise o dell’Italia, ma forse dell’Europa. È bene sapere che le vie dei greci, le vie della lana non erano solo in Italia e nel Centro Meridione, ma erano nei Carpazi e in tutte le parti meridionali della Svizzera, della Germania, della Francia e della Spagna: queste erano tutte terre di transumanza, anche se quella italiana, o meglio quella molisana, si caratterizza rispetto a tutte le altre.
2500 anni fa i nostri più lontani progenitori, cioè i Sanniti quando si chiamavano ancora Sabini, attraversarono questa via, risalendo da Rieti lungo il fiume Salto, per proseguire quindi verso l’altopiano del Fucino, Pescasseroli, Opi, Alfedena, la valle di Forli, Isernia, Boiano. E a Boiano piazzarono le tende (si fa per dire), costituirono uno stato, fondarono una lingua, costruirono un territorio, organizzarono una civiltà e divennero una potenza. La seconda potenza. Anzi una potenza ex equo (come si direbbe oggi) con Roma, al punto da fare con Roma nel 354 A.C. un patto tra uguali, la Yalta dell’antichità. Si divisero quindi le zone di influenza, a nord del Liri Roma, a Sud i Sanniti. Successivamente Roma non rispettò il patto e le cose finirono male. Voi avete fatto la strada, che fu attraversata da quel popolo come fosse una carovana di emigranti che fuggiva, come fuggono tanti emigranti ancora oggi verso il Canada, verso gli Stati Uniti, verso il Centr’America perchè non ci sono possibilità di sopravvivenza o di progresso nella zona di origine. Questi scapparono dalla zona di Rieti per trovare nuove terre e nuova fortuna. Si stabilirono nel Molise, e qui fondarono la loro capitale, Boiano. Quella strada, quel tratturo prese poi il nome di Pescasseroli-Candela, ma solo molto più tardi, allora era solo una pista, una grande pista che portava da Rieti alla Puglia.
E nel quarto secolo a.C. questa pista era così importante che si attrezzavano lungo questa arteria quelli che noi oggi chiamiamo Autogrill, o zone industriali, e direi che allora si sarebbero potuti chiamare gli “Ovinogrill” ed un grande “Ovinogrill” fu quello di Altilia a Sepino. Qui, in questa zona baricentrica tra Rieti e la Puglia, si dovevano curare le pecore zoppe, si dovevano curare le malattie, si doveva vendere la lana, il latte, i formaggi, le pelli e la carne. I Sanniti avevano capito che era necessario creare là un centro di servizi, che divenne poi un foro commerciale con tessiture, lavanderie e tintorie delle stoffe, concerie. Questo è dunque il primo tratturo che voi avete in parte percorso e che domani lascerete per passare su di un altro. Quello che è importante notare è che vi siete immessi in una rete tratturale, cosi che, mentre nei giorni precedenti voi avete percorso nel Lazio strade nuove e sentieri che non avevano tutta questo passato, quando siete entrati in Abruzzo e ad Opi vi siete immessi in un sistema viario tra i più antichi, ma anche tra i più moderni dell’epoca, perchè era un sistema che funzionava come un computer, regolamentato in maniera perfetta anche sotto il profilo della disciplina, delle leggi, della manutenzione, della gestione del governo. Allora cos’è il tratturo? È veramente la via della lana? La via delle pecore? Certo è anche quello, ma c’è da dire che se l’occasione è stata quella dello sviluppo armentizio, e dell’industria degli armenti, industria questa che ha 2200 anni.
Le prime leggi sulla regolamentazione dell’industria della pastorizia sono state fatte da Roma nel 367 A.C. e dice Plinio, in uno dei suoi scritti, che solo con le multe applicate a chi queste leggi non rispettava, si costruivano le opere pubbliche e si organizzavano i giochi ludici. I Romani avevano regolamentato la materia in maniera tale che colui che doveva affittare il pascolo pagava la scrittura e chi doveva camminare lungo la pista pagava il “Vectical”, se però questi era un addetto alla transumanza era esente da “Vectical”, aveva cioè di diritto una Viacard gratuita, pagava invece la scrittura perché era lo stato romano che appaltava la riscossione delle imposte. Lo stato faceva l’elenco dei proprietari di pecore e metteva l’elenco in gara, l’appaltatore (il pubblicano) rispondeva per il riscosso non riscosso e dava allo stato ogni mese la rata del ruolo, per poi vedersela lui con i proprietari delle pecore per l’esazione, con il diritto di pignoramento sia delle pecore che degli addetti, se non veniva soddisfatto il canone. Quindi vedete con quanta precisione 2200 anni fa i Romani fecero queste regole. La città di Sepino fu poi rinnovata all’epoca dei tratturi e divenne la Domodossola dell’antichità, nella quale chi pagava passava e chi non pagava non passava e lo stato incassava soldi. E tutta l’importanza della città di Boiano dimostrava che quello era l’ufficio delle imposte, era il ministero delle finanze, era Roma trapiantata sul territorio che tutti dovevano temere, tutti dovevano rispettare.
Quindi voi vi siete immessi nel più antico dei tratturi largo dai 50 ai 60   metri e lungo 211 km. Voi ne farete un pezzettino i nostri progenitori facevano 211 km due volte l’anno, una volta a scendere in autunno ed una volta a salire in primavera. I tratturi hanno avuto varie definizioni la più bella che io ho trovato è quella data nel decreto del ministero dell’ambiente del 1976, che li definisce beni di rilevanza archeologica, politica, sociale, religiosa, militare del Molise. Ma la definizione che a me piace ancora di più è quella di Sabatino Moscato, presidente dell’accademia dei Lincei, grande studioso dell’antichità e grande amico del Molise, sul quale ha pubblicato vari studi, che li definisce “una serie di strade particolari e fondamentali per capire la storia dell’Italia antica”. 

I TRATTURI. PER CAPIRE LA STORIA DELL’ITALIAANTICA
Allora questa storia, che circola e che dice che io e Mimmo Pellegrino, presidente della provincia, ci saremmo innamorati delle pecore, non depone molto a vantaggio dell’intelligenza di chi l’ha detta, perchè Sabatino Moscato ha detto tutt’altra cosa e cioè che chi non conosce i tratturi difficilmente legge bene la storia dell’antichità; e chi non legge le cinte di mura sannitiche del Molise (aggiunge Sabatino, con riferimento soprattutto a quelle di Pescolanciano) non ha la terza chiave per leggere le costruzioni lungo la dorsale appenninica dell’Italia centro meridionale, del territorio, delle città, degli insediamenti. I tratturi sono quindi un monumento dove c’è tutto. Un altro amico giudice, purtroppo scomparso, li definiva dei tappeti verdi di erba srotolati tra le montagne ed il mare. Questo bene complesso è tutelato oggi dalla legge 1089 del 1939 la stessa che tutela anche gli zingari.
Oggi però è necessario che si provveda ad emanare una legge che oltre a tutelare questi tratturi ne regolamenti anche l’utilizzo e la fruizione. L’assessore regionale all’agricoltura ha già chiamato me ed altre persone avvisandoci che vuole procedere rapidamente alla preparazione della proposta di legge. Speriamo che sia la volta buona. Io sono stato deluso tante volte ed ora crederò solo quando vedrò. Ma perchè questo sistema viario, che in totale sviluppava più di 3100 km ed andava dall’Aquila e Teramo fino alle porte di Taranto, dall’Adriatico al Matese, alle montagne che discendono su Sora.? Perchè questo grande rettangolo posizionato in queste 5 regioni, che conservavano la propria autonomia amministrativa, che gestivano in maniera coordinata un sistema economico unitario e che di unitario avevano anche il nome, che sugli scritti veniva definita la Regione dei Tratturi? Il motivo originale della nascita di questo sistema fu quello di assicurare alle mandrie, con il trasferimento, la possibilità di pascolare su dei terreni a diverse altitudini, a diverse distanze per l’intero periodo dell’anno. All’epoca non c’erano frigoriferi,  non c’erano mangimi, non c’era la possibilità di conservare.
L’erba era quella che madre natura dava, le pecore d’estate la consumavano in montagna e d’inverno se la dovevano andare a cercare in Puglia. In questo modo avevano erba tutto l’anno in un sistema organizzato, e da Roma in giù è sempre stato organizzato a livello statale. Quindi i tratturi stavano alla transumanza come le arterie al corpo umano. Varrone che era un grande esperto, ma anche un grande proprietario di pecore e cavalli che possedeva in Puglia, diceva sempre che la transumanza era fatta di due cerchi sul cavallo e il tratturo non era altro che l’arco. Allora i tratturi si chiamavano “viae publicae” o “calles”. Era quindi questa un’industria, un’industria che occupava persone.
Non c’era paese del Molise che non avesse o proprietari di greggi, o addetti o occupati nei trasporti; oggi ci sono le società di trasporto con i TIR allora c’erano i proprietari di cavalli e di carretti che facevano il trasporto delle masserizie. Si muoveva intorno a questo fenomeno un indotto complesso, dall’artigianato alla politica e così via. Addirittura questo sistema viario era suddiviso in tratturi come strade di primo livello, tratturelli come strade di secondo livello e i bracci come terzo livello, cioè a dire come le trade statali, provinciali e comunali. Solo che i tratturi erano larghi 111 mt., i tratturelli 30-40 mt. ed i bracci da 10 a 20 mt. Tra le leggi che li regolamentavano ce n’era una emessa da Giulio Cesare, “de res pecuaria”, con la quale si obbligava l’assunzione di persone libere, mentre prima i pastori erano sempre stati degli schiavi. Questa legge fu emessa per motivi politici, per non avere problemi di controllo sociale. Cosicché i pastori entrarono nella categoria degli uomini liberi.

L’ASSETTO DEL TERRITORIO DEL MOLISE PARTE DALLE DIRETTRICI DEI TRATTURI
Nel 1700 il Duca di Pescolanciano era proprietario di ben 22000 capi e se si va a vedere tutta la borghesia signorile del Molise del 1600-1700-1800 era appaltatrice di greggi; dai registri doganali dell’epoca esistevano a Campobasso bel 174 persone con greggi di oltre 2000 capi. Era dunque questa l’ossatura dello sviluppo della nostra regione e del mezzogiorno al punto che, quando nel 1806, fu abolita la transumanza e fu fatta la censuazione per riscattare i pascoli, si sfasciò tutto il mondo pastorale, tant’è che la mancata riconversione dell’agricoltura e dell’artigianato, fino ad allora collegati strettamente alla transumanza, favorì l’emergere dei fenomeni dell’emigrazione e del brigantaggio. La grande emigrazione Molisana ebbe origine appunto nel 1872 allorchè alcuni gruppi, provenienti da Agnone, lasciarono definitivamente la regione, perchè non c’era più possibilità di lavoro.
Riiniziò quindi quella emigrazione che aveva portato i Sabini nelle nostre terre e che ora portava i nostri verso altre terre. Sul tratturo poi sono nati i paesi. I tratturi che attraversano la regione si collegavano, attraverso l’Abruzzo, alla Toscana e quindi alla Lombardia ed alle industrie della lana che ivi si trovavano, mentre a sud si collegavano alla Puglia ed a Foggia, che era praticamente la capitale della transumanza invernale. Tutti i centri Sannitici si trovano allineati lungo questi tratturi. Il termine tratturo è di derivazione latina e viene da “tractoria” che indica il foglio di passaggio gratuito del pubblico funzionario sulla via, perchè, come già detto, anche nell’antichità si doveva pagare per poter viaggiare lungo le strade e, per inciso, è significativo rilevare che proprio su queste strade, a Sepino, si verificò la prima tangentopoli che la storia ricordi. Nel 168 d.C. infatti i pastori per legge non dovevano pagare il “Vectical”, invece gli agenti finanziari, che erano alla porta di Sepino e facevano la “Scriptura”, pretesero anche il pagamento del “Vectical”, al chè i pastori si ribellarono e ci fu il ricorso a Roma; i Prefetti di Roma intimarono ai Gabellieri si Sepino di smetterla e di rispettare i pastori altrimenti avrebbero preso provvedimenti contro  le autorità locali che si facevano dare soldi oltre quanto previsto dalla legge.
Quindi l’assetto del territorio del Molise parte dall’assetto dei tratturi ed ancora oggi conserva quelle direttrici. Cosicchè Isernia potè avere nel 1500 e 1600 una fiorente industria delle stoffe proprio perchè il rifornimento avveniva attraverso la transumanza: il Vescovo Nomellino fece venire i cappuccini e fece fondare il convento proprio perchè seguissero ed aiutassero i produttori di stoffe. Anche ad Agnone tutta l’industria del rame si reggeva ed ebbe il suo apogeo proprio grazie alla transumanza: grazie ad essa i suoi prodotti arrivarono sino a Milano e sino in Puglia attraverso Firenze ed attraverso le vie della lana.

OCCASIONI DI SVILUPPO SOLO SE SI REALIZZERÀ UN SUPPORTO LUNGO LA DORSALE APPENNINICA
Oggi, mentre in Abruzzo ed in Puglia questi tratturi praticamente non esistono più, nel Molise degli oltre 400 km originali ne rimangono perlomeno 200 km . che possono essere una carta da giocare per lo sviluppo della regione. Il programma televisivo “Linea verde”, che per la prima volta ha saputo dei tratturi l’anno scorso, è tornato due volte su questo percorso a fare le sue trasmissioni ed ora sta preparando un volume su questo argo mento il cui titolo sarà: “la via verde d’Europa: dal Parco Nazionale d’Abruzzo al Parco Nazionale del Gargano”. Questo programma vuol portare questa via verde nell’ambito di un disegno di sviluppo moderno a livello Europeo e quindi a livello CEE. Anche qui da noi io e l’amico Pellegrino abbiamo collaborato con la Spagna per un programma di vacanze europee sui tratturi di Spagna e d’Italia.
Come vedete qualcosa si muove. Però purtroppo siamo noi che facciamo troppe chiacchiere, troppi commenti, ci parliamo addosso: ogni volta che cambia una amministrazione si ricomincia d’accapo. Io dico, ad esempio, che la riforma sanitaria si riforma dopo che si è attuata e, siccome non è mai stata attuata, non capisco quale sia la legge di riforma che si possa fare. L’ultima considerazione su questo argomento è quella sulla “ratio” di fondo che originava questi percorsi. Essi andavano tutti da Nord verso Sud e da Est verso Ovest su percorsi paralleli a distanze inferiori ad un’ora di cammino a piedi l’uno dall’altro. Questo significava che l’Italia era solcata e cucita in lungo ed in largo da questi percorsi. Ciò generava buona economia, prosperità, fioritura di scambi, di attività ed occasioni di sviluppo anche per le regioni interne. Quando poi l’epoca dei tratturi è finita abbiamo avuto una serie di strade e di stradine che però non ci hanno mai collegato concretamente allo sviluppo ed alla nuova realtà economica del paese. Prosutti, nel secolo scorso, scriveva: “stanno facendo la ferrovia tra Campobasso e Termoli e stanno collegando tutti i paesi di vetta, ma noi perderemo il treno per il mercato del grano di Pescara, perchè quella ferrovia non ci servirà”. Oggi abbiamo capito che se è vero, da una parte, che abbiamo strade e stradelle che ci collegano da un paese all’altro, è pur vero che, dall’altra, abbiamo perso quelle infrastrutture che ci collegavano all’intera Italia, all’Europa ed all’economia integrata di una volta. E questo perchè la logica di sviluppo, soprattutto nel dopo guerra, è stata quella di potenziare all’infinito le vie litoranee (forse più facili da percorrere), cioè strade, autostrade e ferrovie, sia sul versante del Tirreno che su quello dell’Adriatico. Al centro quindi nulla. Solo più tardi sono stati fatti gli attraversamenti di fondo valle da un mare all’altro (fondo valle del Sangro, del Trigno, del Biferno, del Fortore), ma nessuno di questi ha funzionato come fonte di sviluppo all’interno, perchè, mentre prima la logica di sviluppo passava attraverso tante strade e tanti piccoli centri a parità di sviluppo economico e di costo, oggi nessun industriale che deve scendere lungo la dorsale adriatica o tirrenica non trova nessun interesse ad insediare una fabbrica nelle valli dell’interno e tantomeno sulle cime dove i costi aumentano.
La preferenza, pertanto, degli industriali di insediare i loro centri di produzione lungo le coste o lungo le arterie autostradali non ha fatto altro che alimentare la grande fuga dall’interno verso le coste e dare origine alla desertificazione ed all’inselvaticamento delle nostre terre. Bisogna quindi secondo me ripartire da un concetto di recupero di centralità. Qui termino ricordando un bellissimo monito dell’ex presidente della Banca di Sicilia e presidente del comitato di programmazione economica del Molise, Silvio De Martino, molisano anch’egli, il quale discutendo di alcuni problemi delle zone demaniali e del Matese disse: “Noi non andremo molto lontani se non avremo una infrastruttura di tipologia uguale a quelle di livello nazionale, che sia insediata lungo la dorsale appenninica del Centro Italia e che vada da Taranto fino a Perugia o meglio Bologna”. Il De Martino in pratica riproponeva la strada dei Sanniti di 2500 anni fa, però in chiave moderna. Ora non importa che questa infrastruttura sia una autostrada o una ferrovia, ma l’importante è che ci sia. E allora potranno esserci tutte quelle occasioni di sviluppo che possono generarsi solo grazie alla presenza di una infrastruttura di questo tipo, sia durante la fase costruttiva sia, dopo, con l’utilizzo della stessa. Se voi guardate una cartina ferroviaria, potete constatare che, mentre a Nord esiste un intreccio enorme di reti, da Firenze in giù esistono solo due linee: una sull’Adriatico ed una sul Tirreno.
Tutto l’interno è assolutamente privo di linee. Ora come si può dire che questa zona interna può offrire occasioni di sviluppo ad una economia moderna, se non si è pensato, se non si pensa di dargli una infrastruttura di grande rilievo. In una logica di mercato nessuno verrà mai, in queste condizioni, a mettere una industria a Forli, se la può mettere a Frosinone o comunque sull’autostrada. Lo stesso discorso vale per le autostrade: mentre a Nord esiste una rete fitta, da Roma in giù esistono come al solito le due litoranee e nessun percorso Nord/Sud al Centro. Forli in passato era un paese molto fortunato perchè già 400 anni prima di Cristo era costeggiato da due enormi “Ovinostrade”, una da 111 mt di larghezza e l’altra da 58 mt.; oggi però, purtroppo, tutto questo non c’è più e non appaiono prospettive di rapido miglioramento a tempo breve.

di APS La Terra

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