I nomi dei luoghi, puri purissimi accidenti

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Insieme ai nomi dei luoghi, sono accidenti anche i nomi delle popolazioni che vi abitano

di Francesco Manfredi Selvaggi

17 maggio 2021

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E con essi quelli delle popolazioni che vi abitano che possono essere chiamati, volta per volta, luogo per luogo, indifferentemente matesini, bifernini, trignini, saraceni (solo Cercemaggiore, però è un dispregiativo), sanniti (scissi tra pentri e frentani), adriatici, nomi che contengono riferimenti storici o geografici.

Forse perché ridotto ad uno striminzito, al di là della portata, canale, ingabbiato da argini cospicui che lo separano, salvo che in occasione della spaventosa piena di 17 anni fa, rendendolo poco percepibile da lontano, dalla stessa Bifernina che qui si allontana dal suo letto, o forse perché la vallata, fino alla diga del Liscione angusta, si è tanto allargata diventando addirittura sproporzionata rispetto alla dimensione dell’asta fluviale, il Biferno quando passa nel Basso Molise non è in grado di condizionare l’identità della zona. Fa riferimento al suo nome la denominazione del Consorzio Industriale di Termoli, ma è un semplice omaggio al corso d’acqua, peraltro dovuto perché una parte dell’agglomerato produttivo occupa il suo alveo, lì dove esso formava una serie di anse prima della rettificazione.

Non è che nella fascia costiera, tanto più che si tratta di una pianura luogo privilegiato per il transito dei fiumi, il sistema idrico non incide sulla conformazione territoriale, solo che in tale ambito l’acqua è confinata nelle maglie della bonifica la quale dà un’impronta forte ad un’ampia fetta di questa superficie. L’azione dell’uomo è stata decisiva nel determinare il cambiamento che è avvenuto, da un lato la canalizzazione del Biferno e dall’altro la realizzazione della rete di bonifica.

Per i motivi esposti non si usa definire bifernini gli abitanti dei comuni a lato della valle, anche quelli dei paesi che stanno immediatamente al di sopra del suo alveo e cioè Campomarino e Portocannone, a differenza di quanto succede in precedenza, da Bojano a Casacalenda. L’appellativo, in effetti, spetta unicamente a coloro che vivono nei centri il cui perimetro amministrativo è toccato dal fiume, alcuni dei quali, Castellino e Petrella (Tifernum, da cui Tifernino, in latino significa Biferno) si servono della specificazione di bifernino, non qualunque Comune ricadente nel bacino idrografico come potrebbe essere la stessa Campobasso la quale risulta separata dall’asse fluviale per via della popolosa frazione di S. Stefano, quasi un’entità autonoma, che si interpone tra la città e il fondovalle.

La situazione è abbastanza simile nei bacini del Trigno (ad esempio Bagnoli del T. e in Abruzzo Celenza sul T.) e del Volturno (prendi Colli al V. o Cerro al V). Una considerazione doverosa è che le delimitazioni comunali tendono a comprendere al loro interno un pezzo di corso d’acqua la quale è una preziosa risorsa per cui presentano una forma allungata che va dal monte al fondovalle fluviale che fa sì che siano tutti “rivieraschi”, se non dei fiumi principali, di importanti affluenti quali il Callora per S. Massimo, il Verrino per Agnone e Castelverrino per l’appunto.

Ritornando per un attimo al comprensorio basso molisano, in qualche modo per avvalorare la tesi sostenuta che lì il Biferno non riesce ad essere l’ “anima” dei luoghi, si riconosce facilmente che, per le comunità di origine slava e albanese la riconoscibilità del territorio non è su basi geografiche, bensì etniche. È ancora molto forte il senso di appartenenza alla civiltà di provenienza e c’è un richiamo per chi è fuggito dall’Albania ovunque all’eroe fondatore, nelle piazze e vie dei borghi e persino nell’insegna che ha avuto un albergo nel capoluogo regionale, Scanderberg, di proprietà di una famiglia di Ururi (ovviamente ciò accade negli altri numerosissimi insediamenti di albanesi che in Italia sono 150.000 dei quali 60.000 stanno tra la Calabria e la Sicilia).

Quello della centralità dei fiumi per dividere in unità sub-regionali la nostra terra è uno dei modi, non di certo l’unico. Alle volte funziona, alle volte no. Un caso nel quale l’asse fluviale si rivela essere elemento dissociativo è quello del Volturno subito dopo aver ricevuto l’apporto del Vandra e del Cavaliere i quali lo hanno reso assai grosso. Fino al 1825 quando i Borboni costruirono il ponte dei (ben) 25 archi esso era invalicabile, venendo a costituire la barriera tra il Contado di Molise e la Terra di Lavoro. Superata tramite l’opera di scavalcamento tale divisione essa sembra, comunque, permanere ancora oggi nel modo di sentire collettivo, su una sponda la Pentria e sulla dirimpettaia il Venafrano.

In questo punto del fiume converge pure l’area che comprende i cinque comuni (Capriati, Prata, Pratella, Valle Agricola e Fontegreca) un tempo molisani e trasferiti durante il Fascismo alla neonata Provincia di Caserta, città che era diventata raggiungibile con facilità grazie al ponte. Una scomposizione del Molise che era iniziata con l’Unità d’Italia allorché, ciò avviene al capo opposto della regione, vengono assegnati alla Provincia di Benevento istituita nel 1861 Morcone, Campolattaro, Sassinoro, S. Croce del Sannio.

All’indomani della nascita del nuovo Regno la Provincia di Campobasso, unica per tutto il Molise, dovette apparire tropo grande e ciò fu usato come giustificazione per la sottrazione di alcune parti poste ai suoi lati estremi; il paradosso è che se per Provincia era eccessivamente ampia, per Regione, al contrario, è assai piccola, la penultima.

Con la perdita dei comuni della valle del Tammaro si ha un ulteriore smembramento del Sannio (a meno che, ma non lo si condivide, si voglia considerare Benevento la capitale di tale antico Stato e quindi ritenere quello attuato un processo, al contrario, di riaccorpamento che ha avuto inizio con la sua conquista da parte di Roma la quale lo spezzettò in porzioni distinte (il popolo sannita era composto dalle tribù degli Irpini, Caudini, Pentri, Frentani, Caraceni le quali ultime tre erano presenti nel territorio molisano, il che rivela anche in età antica l’assenza di unitarietà della regione) per controllare meglio una popolazione così riottosa, secondo il motto divide et impera.

In conseguenza di questa frammentazione si ha che il Molise si trova appartenere a più amministrazioni provinciali, tre se si somma quella casertana che ingloba i Comuni citati sopra insieme a Gallo e a Letino, venendo meno, in questo modo, quell’unitarietà che ne faceva il fulcro della nazione sannita.

Matese è l’indicazione di un “circondario” che si sovrappone a quello che si identifica con il termine Sannio, ma non totalmente in quanto il secondo si estende oltre i margini del massiccio montuoso; una giustapposizione del medesimo tipo si ha anche tra le parole matesino e bifernino, siamo, lo si segnala per inciso, di nuovo su questo fiume, usate indifferentemente per chiamare i residenti a Boiano che non sono mai individuati come sanniti e tanto meno pentri. Ciò succede per le frequenti trasformazioni che si sono avute di scomposizione e ricomposizione territoriale nel corso della storia.

di Francesco Manfredi Selvaggi

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