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Elio Germano News

Da una intervista a ComingSoon.it nell'aprile del 2014: “Recito da quando ho 14 anni e mi sono innamorato di questo mestiere facendolo, non l’ho fatto perché volevo la macchina di qualche divo. Chi parte con l’obiettivo di fare solamente tanti soldi, sbaglia e probabilmente troverà l’infelicità. Amo il mio lavoro mentre lavoro e detesto tutto ciò che sta davanti o dietro: le fotografie, le interviste, le anteprime, gli incontri con la stampa. La fase migliore è la preparazione, quando mi avvicino a un personaggio". 

Il Focus su Elio Germano è stato uno dei momenti più intensi di questa edizione del Bari International Film Festival, un’occasione preziosa per capire l’intelligenza, la serietà e la dedizione al lavoro di un ragazzo che a poco più di 30 anni ha le idee molto chiare.
In una sala in cui anche i posti in piedi erano tutti esauriti, il protagonista de La nostra vita e del prossimo film di Mario Martone (dedicato a Giacomo Leopardi) ha parlato a lungo di un mestiere che nasce dalla curiosità verso l’altro e che non dovrebbe mai puntare al guadagno e alla sovraesposizione mediatica.
Ecco Elio in undici passi.

Il lavoro dell’attore: obiettivi e soddisfazioni
“Recito da quando ho 14 anni e mi sono innamorato di questo mestiere facendolo, non l’ho fatto perché volevo la macchina di qualche divo. Chi parte con l’obiettivo di fare solamente tanti soldi, sbaglia e probabilmente troverà l’infelicità. Amo il mio lavoro mentre lavoro e detesto tutto ciò che sta davanti o dietro: le fotografie, le interviste, le anteprime, gli incontri con la stampa. La fase migliore è la preparazione, quando mi avvicino a un personaggio.
Per interpretare Leopardi nel film di Mario Martone ho dovuto leggere le sue poesie per 3 mesi: è stato il momento migliore, più bello di quando poi siamo andati sul set”.

Visibilità e concentrazione
“La carriera si costruisce a casaccio. Dovendo generalizzare, direi che ci sono due momenti nella carriera di ogni artista. Il primo è quando si lavora con un’ottica dimostrativa, quando pensi: mi noteranno, cosa posso fare perché non si dimentichino di me?
Questa fase è pericolosa, perché ti perdi qualcosa. Poi c’è il momento in cui l’urgenza di una visibilità scompare, e allora ti applichi, ti concentri, ottieni dei risultati e quindi puoi cominciare a scegliere. Certo,  non sai mai come andrà.
Io scelgo su che tipo di barca salire e quale mare navigare, ma non so mai su quale isola arriverò”.

Generosità
“Quando faccio un film, non è mai un’operazione di vendita: c’è sempre la voglia di regalare qualcosa a qualcuno. Mi fa male quando chi mi dà lavoro non condivide questa finalità. Come tutti, anche noi dobbiamo lottare con i nostri datori di lavoro”.

La scelta dei personaggi
“Nei personaggi che scelgo vado sempre a cercare la recitazione, perché credo che ciascuno di noi sia qualcos’altro rispetto a ciò che fa. Ognuno combatte con le proprie identità. L’uomo contemporaneo ha tante personalità, di solito manda avanti quella della convenienza, perché con quella emotiva non va da nessuna parte. Tutti i miei personaggi a un certo punto smettono di recitare, esplodono, si riprendono la propria umanità. Mi interessa raccontare questo lavorio interno che fa parte di ognuno di noi”.

La comunicazione inconsapevole
“Il mio obiettivo, quando sono sul set è la cosiddetta ‘comunicazione inconsapevole’. In altre parole, lavoro sull’esternazione di quelle emozioni che vengono fuori inconsapevolmente. Lo so, sono discorsi da attore malato, poi continuo qui fuori con il mio analista”.

La varietà
“Per fortuna i registi mi hanno sempre offerto ruoli molto diversi. Lo spettro di ogni attore è la ripetitività. Ho deciso di fare questo mestiere anche per poter cambiare aria, colleghi e vestiti ogni 3 mesi. Per me perfino ogni ciak dev’essere diverso dal precedente, anche se le battute sono le stesse”.

L’attore, il regista e gli altri mestieri
“Il regista ha la capacità di parlare con le immagini: è una competenza che non ho. Spesso un attore diventa regista per ragioni produttive, perché più sei famoso e più ti danno finanziamenti. Oppure ci sono gli attori insoddisfatti, che così possono finalmente ottenere quello che cercano. Io non mi sento all’altezza. Quando acquisti notorietà ti chiedono di tutto: di scrivere un libro, di dirigere un giornale, di creare una tua linea di abbigliamento. Io dico: lasciamo questi lavori a quelli che li sanno fare, che li vogliono fare e che vengono pagati una miseria. Lasciamo che siano gli scrittori a scrivere libri”.

Esposizione mediatica
“Credo sia sbagliato che un attore si esponga mediaticamente. Credo sia giusto rinunciare alla pubblicità e rifiutarsi di partecipare ai programmi televisivi. Così ti riempiono di soldi, ma ti tolgono qualcosa che non puoi comprare: la vita”.

Il premio per il miglior attore a Cannes e i David di Donatello
“Ancora faccio fatica a contestualizzare quel premio, i premi sono cose casuali e se un film non va a un festival, non può vincere. Noi siamo andati a Cannes perché Luchetti aveva già partecipato al festival con Mio fratello è figlio unico, che era piaciuto molto. Hanno deciso di metterci in concorso e credo che mi abbiano premiato anche per premiare l’Italia che stava rinascendo. In Italia danno i David di Donatello solo ai film che incassano di più. Mi batto perché ogni professionista del cinema venga valutato dalla categoria a cui appartiene. Vorrei che il premio mi arrivasse dai miei colleghi attori. Sarebbe il frutto di uno scavalcamento di invidie e quindi mi darebbe grandissima soddisfazione”.

La critica
“L’opera d’arte ha una componente soggettiva. Ognuno ci vede dentro qualcosa che lo riguarda. In un film, metà del lavoro lo fa il pubblico. Credo che la critica non sia esente da questa soggettività. Oggi tutti sono dei maestri, giudicano, dicendo tutto quello che pensano su Twitter o Facebook. Oggi si credono tutti critici. Invece, di critici veri ne sono rimasti pochissimi”.

L’attore e il metodo
“Non esiste un metodo. Ogni attore ne ha uno. Non c’è nessuna metodologia soggettiva. Mi vengono in mente tantissimi colleghi che lavorano in maniera molto diversa l’uno dall’altro ottenendo ciascuno grandissimi risultati. Ma poi bisogna vedere a che cosa si punta: per me un attore è bravo quando non si nota, l’attore deve smontare, non rimontare, deve annullarsi per essere carne della storia. Ecco perché i bambini sono ottimi attori, possiamo imparare moltissimo da loro. Gli attori detestano lavorare con i bambini, perché i bambini li umiliano”.

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