Il turismo delle radici

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Un'opportunità per i milioni di italiani sparsi nel mondo, un ponte con l’Italia per ritrovare i luoghi della memoria propria o familiare

di Riccardo Giumelli (da lavocedinewyork.com)

26 gennaio 2020

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In questa rubrica abbiamo parlato spesso di italici. Non di italiani. Di italici, ribadiamo. In altre parole, di quel mondo fatto da coloro che, avendo origini italiani, hanno, attraverso i processi di emigrazione e mobilità, costruito nuove e particolari identità nei luoghi di arrivo, determinate dalla cosiddetta ibridazione, o, anche detta, contaminazione. Gli italici degli Stati Uniti, del Canada, dell’Argentina, ecc… Una diaspora che sappiamo contare milioni di persone sparse nel globo e che costituiscono una comunità di appartenenza, ad un comune sentire, a una visione del mondo che trae origine dalle radici italiane.

Questo tema, da sempre, ha incontrato alcune difficoltà: lo scetticismo ad accogliere una nuova idea che concepisce la presenza degli italiani all’estero in un modo nuovo, soprattutto se cristallizzata con un “neologismo”; la difficoltà a pensare qualcosa di diverso rispetto all’abituale italianità e soprattutto ad uscire senza drammi dal paradigma dello Stato-nazione, vincente nella modernità. Insomma, la difficoltà a fare un salto di paradigma. Ma se questi problemi possono essere superati da buone ed efficaci argomentazioni, seppur con alcune difficoltà, una ne rimane: come passare dalla teoria alla pratica. Come rendere, in altre parole, il pensiero italico un’idea sulla quale investire, attivare progetti concreti e con un futuro.

Da qualche tempo un progetto ce lo abbiamo. Quale? Stiamo parlando del turismo delle radici. Anche se già molti ne discutono e ne trattano, diamo qualche chiarimento. A dire la verità è più esatto parlare di viaggio delle radici. La dimensione turistica non è esattamente il “vestito” più adatto da far indossare a tali viaggiatori. Perché parliamo del viaggio come desiderio di trovare, scoprire o riscoprire un pezzo della propria memoria familiare lasciata anni prima a causa del processo emigratorio.

Viaggiare in Italia per ritrovare ciò che è stato lasciato: i luoghi della memoria propria o familiare. Non è proprio il turismo “classico”, quello di massa, al quale siamo abituati. Si tratta di un progetto turistico che si rivolge a un target fortemente connotato da un legame intenso con l’Italia. Pensiamo a chi non c’è mai stato, a chi non ci ritorna da quando è piccolo, a chi ci è andato ma ha fatto i classici tour turistici e non scoprendo le radici.

In un momento cui il turismo incontra grandi difficoltà, si dovranno trovare nuove strategie di rilancio. Oltretutto il tema, a mio avviso, non riguarda solo il turismo in Italia, ma la possibilità di rilanciarlo nei luoghi dell’emigrazione. Cosa intendo? Che il turismo delle radici può prevedere anche altri luoghi fuori dall’Italia. Ci sono famiglie che durante la grande emigrazione si sono smembrate, paesi “evaporati” in più luoghi nel mondo. Questo significa che ci può essere un turismo delle radici che parte dall’Italia proprio verso questi luoghi.

Ci troviamo difronte a qualcosa dalle grandi potenzialità, come spiega anche ENIT. Il turismo delle radici si rivolge a coloro, tanti (si parla di 80 milioni), che sono partiti dall’Italia e loro discendenti per andare a risiedere in altri luoghi ma che hanno mantenuto nel corso del tempo un legame e una nostalgia fortissimi con i luoghi della partenza, tanto da desiderare di tornare a scoprirli, riscoprirli, visitarli, conoscerli. Non vengono per dire: “ci sono stato”, ma per scoprire e trovare qualcosa che è svanito nel tempo: la casa di famiglia, la strada dove si scendeva, la fontana o la chiesa del paese.

Su questo tema si è mosso anche il MAECI (Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale), con DGIT (Direzione Generale Italiani all’estero) promuovendo diverse attività: ricerche ad hoc, guide delle radici e altro.

In questo periodo si sta svolgendo anche una ricerca, attraverso la distribuzione di un questionario particolare proprio per comprendere il fenomeno con più attenzione e puntualità, elaborato da ORI (Osservatorio permanente sulle Radici Italiane) dell’Associazione AsSud.

Gli italici che intendono venire in Italia a scoprire le radici vogliono veramente fare un viaggio unico, quello della vita, e intendono essere trattati non come gli altri turisti, ma come speciali, unici. Si tratta di un patrimonio straordinario da trattare con cura, da valorizzare, da coccolare. Emerge, allora, il potenziale degli italici, rappresentato attraverso un progetto che può essere costruito fin da ora, a partire da una gestione consapevole delle amministrazioni locali.

Mi si permetta di raccontare un’esperienza personale dal sapore aneddotico. Mi trovavo all’aeroporto di Buenos Aires, di ritorno in Italia. Ad un certo punto, un signore, dopo avermi sentito parlare in italiano, si avvicina. In uno stentato italiano e senza nascondere l’emozione che traspariva dal suo volto, mi dice che quella sera stessa avrebbe preso un volo per l’Italia. Tornava in Italia dopo sessant’anni. Aveva lasciato il suo paese che ne aveva cinque. Da quel momento aveva vissuto dei ricordi suoi e di quelli trasmessi dalla famiglia. Non tornava solo in Italia, ma soprattutto nel suo piccolo borgo che aveva lasciato in provincia di Treviso. Non lo emozionava, almeno nelle poche parole scambiate, solo il fatto di tornare in Italia e visitare i luoghi celebri della penisola, ma soprattutto di tornare in quelli delle sue radici culturali. Ciò che mi colpì, e non è difficile immaginarlo, fu la sua grande emozione. Il desiderio di una vita che finalmente si realizzava.

Il turismo delle radici è, quindi, un ponte tra l’Italia e quel mondo di italiani, italici che non stanno più lì. Potrebbe, un domani, dare vita a tanti altri progetti conseguenti. Abbiamo di fronte praterie e strade da percorrere.

di Riccardo Giumelli (da lavocedinewyork.com)

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