Cittadine, non solo città e villaggi

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Le entità urbane è possibile distinguerle in due gruppi: le città vere e proprie, che nel Molise sono 3, e le cittadine, in genere capoluoghi storici di comprensori, che sono una decina

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)

25 gennaio 2020

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Le entità urbane è possibile distinguerle in due gruppi: le città vere e proprie che nel Molise sono 3, Campobasso, Termoli e Isernia, e le cittadine, in genere capoluoghi storici di comprensori, che sono una decina, Bojano, Trivento, Riccia, ecc. In tutto vi abita la metà della popolazione della regione la quale, pertanto, non si può definire “ruralissima”.

Nel Molise non è tanto che le città sono minime, quanto il fatto che si tratta di un territorio complessivamente poco popolato. Il rapporto che c’è tra popolazione insediata in centri con dimensioni rapportabili a quelle di una città, seppur piccola, e quella che, invece, vive in paese è di uno a tre: Termoli, Isernia e Campobasso hanno nel loro insieme 100.000 abitanti i quali, dunque, sono circa un terzo del totale dei cittadini molisani.

È una percentuale che non si discosta molto dalla media nazionale e, pertanto, il problema che l’area molisana risulti poco abitata non sta nella grandezza delle città, ma nella densità abitativa nella sua interezza, cioè della regione nella sua totalità, ad essere estremamente ridotta. Non è colpa, in definitiva, delle città se siamo così pochi. Il contributo che esse danno alla demografia regionale è in linea, lo abbiamo detto, con quanto succede altrove, un contributo, per inciso, destinato a crescere se si avvereranno le previsioni dell’ONU che in futuro coloro che risiederanno in città saranno due terzi dell’umanità.

Non è che si è tutti convinti della stessa cosa a proposito dell’urbanizzazione. Secondo la classificazione adottata nella statistica ufficiale tedesca gli insediamenti residenziali si distinguono in tre categorie, da quelli più popolosi, superiori a 20.000 persone, a quelli meno, maggiori di 5.000, fino agli agglomerati con almeno 2.000 individui; il resto non li si considera entità urbana, ritenendoli parte del mondo rurale. Si è preso il caso della Germania per far emergere, rimanendo nel nostro medesimo continente, la profonda distanza che c’è tra i vari Paesi a proposito di cosa si intende per urbanità poiché qui da noi si considerano nuclei anche aggregati minuscoli (nel Molise, ad esempio, Castelpizzuto, Castelverrino e Provvidenti, seppure di poco più di un centinaio di anime sono Comuni).

È una questione di storia essendo essi, tutti, di origine medioevale quando si diffuse l’incastellamento; al presente proposito è da notare che vi sono raggruppamenti di case, pure consistenti, che sono frazioni e non sedi municipali, prendi Codacchi di Trivento, Montalto di Rionero S., S. Stefano di Campobasso, i quali hanno origine recente, quelli citati successiva all’abolizione della transumanza, altri all’eliminazione del pericolo allagamenti, la località Altilia (e dintorni) di Sepino è un esempio, e così via. In terra germanica non deve essere stato così.

Ciò che distingue, parlando di villaggi, l’urbano dal rurale è, inoltre, la composizione sociale, la cui omogeneità per quanto riguarda i nuclei insediativi rurali deriva dalla medesima occupazione per ogni appartenente alla comunità, l’agricola, mentre nelle società urbane vi è una diversificazione delle attività lavorative. In queste ultime troviamo accanto agli addetti al settore primario i commercianti, i professionisti, i muratori, gli artigiani, ecc. e qui la gente, peraltro, viene progressivamente a suddividersi in classi. Man mano che sale la taglia demografica sale il peso del settore terziario oltre che dell’artigianato.

Le realtà comunali che superano le 5.000 unità sono anche sede di mercato, il quale si svolge settimanalmente, quasi a turno, la domenica a Trivento, il sabato a Bojano, il giovedì a Isernia. Una certa consistenza abitativa, la varietà dei servizi che vengono offerti, una qualche vivacità economica, non fosse altro che l’edilizia per la costruzione e manutenzione degli alloggi portano ad attribuire statisticamente e anche elettoralmente, in occasione del rinnovo dei consigli comunali, un rango superiore a tali Comuni.

Venafro, Bojano, Trivento, Larino, Montenero di B., Campomarino, Riccia e via dicendo non sono, di certo, città, ma neanche semplici borghi; il termine appropriato per definirli è quello di cittadine. Sono circa una decina per cui sommando la popolazione di ciascuno di essi si arriva alla cifra di 50.000 persone le quali aggiunte alle 100.000 delle città fanno sì che all’incirca la metà dei molisani si trova a vivere in zone con connotati, utilizzando un vocabolo non preso a caso, cittadini, cioè sia in città sia in cittadine. L’aggettivo di ruralissima dato da Mussolini alla regione si rivela, pertanto, non del tutto appropriato.

Se si tiene conto che i centri che hanno da 5.000 residenti in su sono pressoché equamente distribuiti sulla superficie regionale e cioè che sono con passo uguale, disseminati nei diversi comprensori sub-regionali e, infine, che le attrezzature presenti nei centri più grandi, proprio per contiguità tra i nuclei abitati maggiori e minori, sono raggiungibili con facilità da chiunque, per la loro importanza si nominano le scuole, una certa presenza dell’urbano è ovunque.

Il riverbero dei servizi collocati nelle cittadine, per quelli a breve raggio, e nelle città a lungo raggio, sì che in qualsiasi angolo del territorio si possa essere partecipi delle opportunità concesse dai centri principali, anche se, in verità, oggi la vicinanza fisica non è più richiesta in una molteplicità di campi, dal lavoro con lo smartworking, all’acquisto di beni con le vendite on-line, all’informazione con la rete Internet con conseguenze sullo stile di vita che è da un po’ che tende a omologarsi fra città e campagna, almeno da quando sono comparse la TV e l’auto.

Rientra nelle abitudini essenziali, se non è, addirittura, una faccenda di mode, pure la modalità alloggiativa e allorché in un dato circondario, nonostante quanto si è detto può capitare ed è capitato al comprensorio dell’alta valle del Volturno, non vi è un consolidato polo urbano di riferimento allora si individua un centro il quale possa assurgere a tale “dignità”, che è Colli al V. dove si edificano palazzine per accogliere le famiglie di Scapoli, Rocchetta al V. e Cerro al V. amanti dell’appartamento il quale ha tanto un’aura cittadina e non della casa individuale che è rurale; tale tendenza, vale la pena evidenziare, sarebbe stata inconcepibile un tempo, all’epoca in cui l’agricoltura imperava, tanto che suscitò perplessità la comparsa di fabbricati di edilizia popolare plurifamiliari nella ricostruzione di Monacilioni, la Pompei molisana, perché privi di annessi agricoli.

In ultimo, per specificare e concludere l’argomento Colli, tale paese doveva avere già qualcosa di più degli altri prossimi se è stato assegnato ad esso tale ruolo in quanto non è credibile che qualcuno si trasferisca, mettiamo, da S. Massimo al confinante Cantalupo solo per la disponibilità di un “quartino”. Così come è in corso la formazione di nuovi poli di aggregazione comprensoriali che, poi, evolveranno in cittadine, nel senso di cui sopra, è in corso pure il cambiamento di rilevanza di alcuni di quelli esistenti specie se non collocati lungo l’asse Venafro-Isernia-Bojano-Campobasso dove si concentra una grossa fetta della popolazione della regione.

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)

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