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La regione immobile

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Il pensiero dei molisani non può che andare a quanto non è stato fatto per la sanità pubblica

di Antonio Celio (da lafonte.tv)

19 gennaio 2021

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Se dovessimo cercare una parola per riassumere l’opera del governo regionale nell’anno appena concluso, questa sarebbe certamente “immobilismo”. Non è solo un’opinione personale, ma è quanto si legge in documenti ufficiali, come il giudizio di parifica della Corte dei Conti. Ad onor del vero, la relazione dei giudici contabili riguarda il bilancio 2019 ed evidenzia “il persistere dell’incapacità dell’Ente (la Regione Molise) di superare l’immobilismo pregresso e di completare l’attuazione di misure e di processi che consentirebbero all’attività amministrativa di essere efficace ed economica”. In questo passaggio la Corte si riferisce alle tante società partecipate, molte in liquidazione da anni, che gravano sulle casse regionali. Che assicurano poltrone e lauti compensi agli amici della politica, più che assolvere ai compiti statutari. Pensiamo alle Comunità montane e alla miriade di società che (non) gestiscono gli impianti sciistici di Campitello Matese, tanto per fare degli esempi.

Ma, parlando di immobilismo, credo che il pensiero dei molisani non possa che andare a quanto non è stato fatto per la sanità pubblica, in tempi di pandemia. Il Molise non fa notizia, lo sappiamo. Diversamente, i titoli dei giornali nazionali sarebbero tutti per noi: una regione che non riesce a garantire i livelli minimi di assistenza sanitaria ai suoi 300.000 abitanti. Una piccola regione che spesso indossa la “maglia nera”, come nel caso dell’Rt più alto d’Italia. Intanto, tra mistificazioni varie e l’immancabile gioco dello “scaricabarile”, nulla è cambiato da marzo. Non abbiamo un Centro Covid degno di questo nome, con percorsi sicuri e separati tra positivi e non. Gli ospedali stentano a curare le altre patologie. Non riusciamo neanche a tracciare la rete dei contatti (il famoso contact tracing), con la popolazione di un quartiere di Roma e lo storico distanziamento che ci contraddistingue. Diciamocelo chiaramente: non abbiamo fatto abbastanza.

A rischio di suonare ripetitivi, denunciamo da mesi le incredibili lacune nella gestione dell’emergenza, le stesse che stanno pian piano emergendo, in ultimo con le ispezioni dei Nas. Mentre chiudiamo questo numero, la “manina” invisibile di Italia Viva, nota per i suoi ricatti più che per l’azione governativa, cerca di inserire in finanziaria l’ennesimo regalo ai privati. Già ci avevano provato l’anno scorso ed ora sono tornati alla carica: bisogna eliminare, secondo i grandi statisti, l’extra-budget per gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Ircss). Cosa vuol dire? Che il pubblico continua ad indebitarsi con le strutture sanitarie private, mentre una parte della politica insiste nella mission ultradecennale di smantellare la sanità pubblica. A nulla son servite le 60.000 bare riempite prematuramente dal virus. La tanto decantata sanità lombarda ha mostrato a tutti noi cosa voglia dire fare troppo affidamento sui privati. Lo sceriffo De Luca ha vinto le elezioni con gli squallidi giochetti linguistici (posti disponibili, poi attivati, poi attivabili) e le finte inaugurazioni di ospedali modulari, come denunciato da “Report”.

Il Molise subisce il braccio di ferro tra un governatore ossessionato dall’accentramento di potere e una struttura commissariale isolata e, di fatto, ininfluente. Altro grattacapo per Toma è sicuramente l’arduo compito di tenere le fila della maggioranza che, anche in questo contesto e nonostante i continui rimpasti, continua a minacciare più o meno velatamente il suo presidente. Non si contano più le sconfitte in Consiglio regionale, mentre tra i due principali partiti del centrodestra è ancora in corso un regolamento di conti sulle commissioni. Le nostre previsioni erano parzialmente errate: credevamo che la partita si sarebbe conclusa con il rinnovo dell’ufficio di presidenza, ma dovremo ancora attendere. Mentre i problemi interni alla squadra del governatore sono lontani dall’essere risolti, ci chiediamo se non sia il caso di sgravare i poveri amministratori del cruccio sanitario. Non sarebbe opportuno, a pandemia finita, andare oltre l’obbrobrio voluto con la revisione del Titolo V? Possiamo davvero permetterci una ventina di sanità diverse, in un Paese che già viaggia a differenti velocità da Nord a Sud? Questo sarà, a mio avviso, il più grande interrogativo del 2021. Perché è troppo facile gridare al “governo ladro” quando cadono le prime gocce di pioggia. Ben più difficile è dimostrare, ai cittadini e al mondo intero, di essere ancora una nazione unita nell’interesse collettivo.

Augurando a tutti un anno diverso da quello che ci lasciamo alle spalle, spero davvero che riusciremo a parlare, finalmente, di futuro e rilancio. Perché la sola denuncia di ciò che non va, ve lo assicuro, è sempre più svilente.

di Antonio Celio (da lafonte.tv)

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