Chiesa o grotta, castello o palazzo, un paese o due

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Non c’è niente di scontato nelle categorie dei beni culturali e qui cerchiamo di dimostrarlo attraverso 3 casi, significativi perché ricadenti nella medesima area, quella a cavallo tra medio e alto Molise

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)

15 gennaio 2021

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Cominciamo con il castello che diventa palazzo a Torella. Un castello, quello di Torella, ben distinguibile nel panorama delle strutture castellane molisane per la presenza di torri più alte delle mura, cosa presente in pochi altri manieri tra cui quello di Carpinone. Le torri, che sono tre, sono cilindriche e ciò è consueto, a cominciare dal castello Monforte di Campobasso, ma vi è nelle vicinanze una eccezione ed è la torretta quadrata del castello di Pescolanciano.

È da aggiungere, primo, che non è detto che le residenze feudali debbano necessariamente avere torri, si prenda il palazzo Di Sangro a Casacalenda e, secondo, che le torri si debbano trovare sempre affiancate ad un castello, poiché ve ne sono a corredo di murazioni urbiche, è il caso di Civita Superiore di Bojano, la prima località fortificata del Molise, e altre isolate come la Torre di S. Bartolomeo, vicino a Salcito e anch’essa come il castello di Torella prossima al tratturo.

Spessissimo le torri sono collocate negli angoli delle pareti del castello, tendenza che si trova confermata anche quando esse sono sostituite dalle garitte, cosa che succede nel Casino del Duca di Civitanova; mentre le torri hanno ambedue le funzioni di osservazione e di difesa, le garitte sono corpi di guardia destinati solo all’avvistamento. Il Casino del Duca è preceduto da due avancorpi, volumi ad unico livello, per controllarne l’accesso e, quindi, è scontato dirlo, alla quota del terreno, mentre la garitta, in quanto punto di scolta, è in alto, quasi, figurativamente, sospesa in aria.

Sia le torri sia le garitte sono anche elementi ornamentali del manufatto architettonico specie quando, ci stiamo riferendo al castello di Torella, esso si trasforma da opera militare ad abitazione signorile. Passiamo ora ad un’altra categoria di bene, quella delle chiese rupestri di cui una sta a Pietracupa. La caverna è stata assunta nella nostra società a emblema della povertà (De Gasperi negli anni 50 definì Matera, la Città dei Sassi, la “vergogna d’Italia”, stabilendo il trasferimento degli abitanti del Sasso Caveoso e di quello Barisano nei nuovi quartieri di edilizia popolare tra cui il celebrato La Martella) e così il luogo di culto ricavato all’interno di una cavità della Morgia di Pietracupa richiama il pauperismo del cristianesimo delle origini.

A consentire di farne una chiesa, essendo l’ecclesia l’insieme della comunità cristiana, è la profondità dell’antro il quale è capace di contenere un numero consistente di persone, mentre all’eremita basta per la sua cappellina uno spazio ben più ridotto, vedi quella che si ipotizza dedicata a S. Lorenzo ricavata in uno degli anfratti della Morgia dei Briganti, ma l’eremitaggio lo si pratica nel territorio extraurbano, appunto la Morgia di cui sopra, non in un abitato. È piuttosto inusuale trovare una cavità tanto ampia con il suolo piano lì dove la roccia è di tipo calcareo, più facile è ottenerla (non trovarla!) in presenza di una formazione arenacea che essendo costituita da sabbia compatta è possibile livellare, vedi le grotte di Montenero di Bisaccia.

In effetti, vi sono edifici, si sottolinea edifici, sacri, altrettanto se non più spaziosi, definibili anch’essi rupestri, in cui però la grotta rappresenta solo una parte dell’opera religiosa, l’altra parte risultando costruita ed è il caso del santuario di S. Angelo in Grotte. Per quanto riguarda quest’ultimo il significato dell’antro è differente in quanto viene ad essere un rimando alla cavità, però verticale, dentro cui l’Arcangelo Michele scaraventò il diavolo.

Una via di mezzo è la cappella di Busso per intero ricavata nell’ammasso roccioso su cui sorge il paese la quale ha di edificato unicamente il fronte esterno, in verità solo il portale. Infine vi è il tema dello sdoppiamento degli abitati con un breve cenno alle strutture insediative della zona. Qui ci troviamo in un’area che propriamente possiamo definire “Molise di mezzo”, almeno se prendiamo quella parte di regione che si sviluppa longitudinalmente; per intenderci meglio, il territorio molisano ha un andamento prevalente in senso est-ovest, dall’Appennino al mare, ma ne ha anche uno, perpendicolare a questo che, invece, si estende verso settentrione e all’incrocio tra tali due opposte direttrici vi è una fascia territoriale che comprende i Comuni di Pietrabbondante, Salcito, Pietracupa, Torella, Pescolanciano, Chiauci, Duronia, Civitanova, Carovilli, Bagnoli, Molise.

Questi centri sono equidistanti fra loro, anche quelli posti al di là del Trigno il quale subito dopo, cioè a partire da Trivento, diventerà un elemento di cesura fra territori, addirittura un limite regionale, ma che prima, prima della confluenza con il Verrino che avviene a Sprondasino, è un fiume con un fondovalle modesto. È una distribuzione dei centri abitati, come si è detto, piuttosto omogenea (è omogenea anche la dimensione demografica dei paesi), ma non lo sarebbe stata se fosse mancata Civitanova la cui presenza ha colmato un vuoto.

>Bisogna spiegarsi bene, originariamente doveva esistere solo Duronia la quale probabilmente assunse il nome di Civitavecchia in contrapposizione, appunto a Civitanova, un paese nato per gemmazione da questa. Non vi è stato, cioè, un trasferimento degli abitanti dalla civita originaria in quella di nuova fondazione, ma hanno cominciato, e non si è più interrotto, a coesistere.

(Foto: le morge della Civita con alle spalle Duronia)

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)

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