Finestre senza cielo

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Questi tre principi (la partecipazione, la libertà di circolazione, la trasparenza) sono come sospesi, insidiati e avviliti nella fase attuale

di Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)

18 dicembre 2020

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I territori, come la società, vivono di relazioni. Ora, nell’era delle comunicazioni rapide e globali, stiamo perdendo la possibilità dell’incontro, del confronto, della partecipazione. Siamo spinti a guardare il mondo da finestre senza cielo. È un danno molto grave per la vita delle persone e per la democrazia, che si basa proprio sulla partecipazione, la libertà e la mobilità delle persone. Non è un caso che anche nella Costituzione italiana due articoli siano espressamente dedicati proprio a questi diritti, indicati come pratiche ordinarie di convivenza civile. Il diritto alla partecipazione, anzi alla “effettiva” partecipazione di tutti i lavoratori (cittadini) all’ organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3) e il diritto alla mobilità: ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale (art. 16). Potremmo aggiungere il diritto alla trasparenza, non espressamente indicato nella Costituzione, ma implicito in diversi suoi articoli, specialmente in quelli riguardanti le pubbliche amministrazioni.

Questi tre principi (la partecipazione, la libertà di circolazione, la trasparenza) sono come sospesi, insidiati e avviliti nella fase attuale. Per necessità, si dirà, cioè per difenderci dal contagio del nuovo virus che si è manifestato nel 2020. Ma il rischio che la necessità contingente si trasformi in abitudine permanente è alto, così come quello della trasformazione dell’emergenza in un pretesto per avallare scelte autoritarie, inadempienze, decisioni forzate nei vari campi della vita pubblica.

Già negli ultimi decenni la torsione oligarchica e sostanzialmente postdemocratica della politica ha indebolito la partecipazione, salvo recuperarla in forme populiste o di produzione di consenso, e reso più opachi i processi decisionali. Ora la situazione emergenziale, reale o gonfiata mediaticamente, ha inferto il colpo di grazia, sospendendo le pratiche partecipative, rinunciando alla trasparenza delle scelte e aggiungendovi il divieto di muoversi liberamente. Basterebbero queste semplici considerazioni per capire come la pandemia rappresenti, non solo in Italia, un serio pericolo anche per la democrazia. Non si tratta solo di un ostacolo alle forme di partecipazione riconducibili all’ambito della democrazia diretta (assemblee, forum, referendum, consulte, ecc.), cioè a quelle contemplate ad esempio dagli statuti regionali e/o comunali; ma anche di una sostanziale riduzione del funzionamento della democrazia rappresentativa, palese ad esempio nella impossibilità di riunire fisicamente gli organi collegiali delle diverse istituzioni, dei partiti, delle associazioni, convertiti in riunioni a distanza nelle quali si affrontano i problemi e si prendono decisioni in modo sbrigativo e senza un reale coinvolgimento di tutti i partecipanti. Ciò è vero negli enti, nelle scuole, nelle università e in tutte le istituzioni pubbliche fondate su governi formalmente democratici. Una democrazia già malata trova qui il suo punto di caduta. Si avverte un senso di allontanamento dai cittadini delle scelte che li riguardano, creando l’illusione di una supplenza virtuale che finirà per produrre un progressivo estraniamento. Le modalità virtuali di incontro e di riunione sono utili se le concepiamo come integrative, non come sostitutive delle ordinarie pratiche di lavoro, di governo e di funzionamento delle istituzioni.

Così, riducendo la partecipazione e la trasparenza, può passare di tutto, e l’opacità aumenta. Il decisionismo, le chiusure oligarchiche, il verticismo, il clientelismo, fino alla corruzione, possono trovare qui un privilegiato terreno di coltura. La limitazione della libertà di circolazione accentua la distanza fisica, costringe all’isolamento individuale o familiare, induce a uno sguardo ridotto di ciò che succede intorno noi. E anche qui, non ci si illuda di compensare il restringimento dell’orizzonte affacciandosi a queste finestre senza cielo che sono gli schermi dei computer o degli smartphone. C’è bisogno di recuperare e di salvaguardare la dimensione fisica dell’esistenza, compreso il rapporto con il paesaggio reale, la terra, il territorio. La terra diventa territorio quando è tramite di comunicazione – scrisse anni fa il geografo Giuseppe De Matteis – quando è mezzo e oggetto di lavoro, di produzioni, di scambi, di cooperazione. Senza questi aspetti, cruciali per la vita, si prepara il terreno al declino sociale e culturale, somigliante anch’esso alla morte, con o senza la pandemia. Pur con le dovute precauzioni del momento, abbiamo dunque la necessità impellente di ricostruire e tornare a percorrere le strade perdute: quelle materiali che si snodano sul territorio e che collegano paesi e città; quelle immateriali della rete e della cultura; ma soprattutto quelle mentali, obnubilate da una lunga deriva, gravemente accelerata dall’epidemia, pretesto pericoloso per le strategie di isolamento e di disciplinamento sociale.

di Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)

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