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Intervista alla scrittrice Aurora Delmonaco

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Abbiamo rivolto alcune domande alla scrittrice pietracupese, dopo aver letto il suo romanzo, recentemente pubblicato: “I lati del cerchio. Una famiglia napoletana “(Edizioni End, 2019)

di Davide Marroni

27 novembre 2020

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Ricordiamo che Aurora Delmonaco, nata a Napoli e, dunque, partenopea, da parte di madre è altresì oriunda molisana, da parte di padre (originario di Pietracupa), ed è stata ricercatrice storica e Presidente del Laboratorio Nazionale della Storia, durante la sua carriera professionale di insegnante e preside di Licei. Aurora Delmonaco ha scritto numerosi saggi, come “Insegnare storia. Guida alla didattica del laboratorio storico. Seconda edizione” (UTET Università Torino,2006), oltre ai romanzi “Centonovantuno cappotti. Inediti garibaldini della terra del lavoro” (Edizioni Zona Collana,2011) e “Le querce del cantone. Memorie della pietra cupa”, pubblicato nel 2015.

1) Il tuo romanzo “I lati del cerchio” (End edizioni) è la storia di una famiglia della borghesia illuminata napoletana vissuta nel secolo scorso, nel periodo della Belle Epoque, prima dell’avvento del fascismo. Anche se è anacronistico un confronto, possiamo prendere spunto dalla storia di Amelia e Stanislao per capire in che modo sia cambiata la famiglia di oggi rispetto a quella del secolo scorso. Credi che la famiglia di oggi sia in crisi? E quali nuovi valori esprime?

- Non direi “prima dell’avvento del fascismo”. La famiglia vive questo evento, di cui ha conoscenza diretta, come un gorgo che può inghiottire tutto ciò che ha reso speciale la sua vita. Amelia, Stanislao e i loro figli non sono “personaggi”, sono persone realmente vissute che ho ricostruito nella memoria e attraverso una minuziosa ricerca, per come hanno agito realmente e per come avrebbero potuto naturalmente agire. In questo senso il libro è biografia ma è soprattutto romanzo, è vita e immaginazione storica.

Le esistenze di Amelia, Stanislao e dei loro figli sono nel quadro epocale di grandi splendori e novità, in una Napoli difficilmente rappresentata nel suo nitore di “salotto bene”, in cui vigono regole ferree sui rapporti fra i sessi, fra le generazioni e le classi sociali. Stanislao, in più, è un ufficiale tenuto a osservare il severo regolamento militare. E, tuttavia, le loro vicende ci mostrano la loro “trasgressività” profonda e quotidiana, salda e tranquilla, che colloca la loro famiglia fuori delle righe prescritte, attingendo alla sorgente di una napoletanità “da cui nascono slanci appassionati, gesti di sorprendente generosità, ma anche furori e asprezze, soprattutto se il suo mondo è in pericolo”. Per questo la loro storia non è sociologicamente rappresentativa di un’epoca.

Oggi, in un paradigma temporale criticamente mutato, il modello familiare è esploso in forme e dimensioni diverse. Nella perdita di riferimenti solidi, interni ed esterni alla famiglia, le individualità rannicchiate in se stesse trovano un punto di riferimento nella propagandata diffusione di beni di consumo, e così abbiamo famiglie che sono nidi di nevrosi e solitudini oppure banale, spesso temporaneo spazio di sostegno economico. Ci sono però anche famiglie in cui sopravvive l’anima profonda, non perduta, di un “noi” che nell’amore salva a ognuno la sua libertà. In questo senso la famiglia di Amelia e Stanislao credo che sia ancora attuale, al di là del suo tempo -.

2) Come è cambiato, nel tempo, il tessuto sociale e culturale della Napoli di oggi (ci riferiamo a quella governata da De Magistris e De Luca), rispetto a quella del secolo scorso, dal dopoguerra in poi? Ed in che modo è cambiata la politica di questa città, nella capacità di fornire risposte ai fabbisogni ed alle istanze della gente?

- Premetto una frase del grande storico francese Fernand Braudel: “Nessuno è mai riuscito a governare Napoli” perché è sempre stata più di una città, è stata l'unica dell'Occidente a dare il proprio nome a un regno, che però non ha mai avuto sovrani indigeni, ma normanni, tedeschi, angioini, aragonesi e castigliani, ispanici e francesi che attraverso la capitale hanno messo le mani su tutto il resto del sud peninsulare. Questo anche con i Borbone, che pure si erano “naturalizzati” napoletani. Una città parassita allora? No, se ha preso molto dal regno (e il Molise ne sa qualcosa) ha restituito tanto nella grandezza della sua cultura e della sua civiltà. Non è mai stato facile governare questa città spaccata fra una luce raggiante e il buio di tanta miseria. Una città eccessiva in ogni sua mossa, la prima europea a liberarsi da sola dei tedeschi e quella che ha votato al 79% per la monarchia che l’aveva messa nelle loro mani.

In questa città enorme, con una continuità urbana molto più grande dei suoi confini municipali, ridotta con l’unità alla dimensione di capoluogo regionale, di provincia, di città sia pure metropolitana, privata di risorse da una politica che dall’unità a oggi non ha saputo comprendere le sue grandissime potenzialità, inquinata da un sistema illegale organizzato, la gente di Napoli ha imparato a non contare tanto sulla legge e sull’ordine, sulla politica “politicante”, quanto su se stessa, sia nella solidarietà infinita che sorregge il suo tessuto umano sia nell’ anomia e nell’illegalità. Si innamora di chi, in alcuni momenti, sembra proteggerla e altrettanto prontamente se ne disamora. Chi governa Napoli, abbia un grande sogno del “miracolo napoletano” o l’abilità manovriera delle leve del potere, alla fine si riduce ad appiattirsi nella rassegnazione della sua insufficienza. Resta la forza della cultura che sa esprimere e che appassiona il mondo, ma che non riesce a penetrare nelle fibre più profonde del suo malessere.

Napoli è però anche una forza della natura. «Mi sento male. Portatemi a Napoli», disse Toto’ in fin di vita -.

3) Esiste ancora la questione meridionale? Quali ritieni che siano i ritardi che viviamo, ancora, nel Meridione d’Italia?

- Per il suo passato, e in un certo senso per la sua unicità storica, per il Mezzogiorno d’Italia credo che non si possa parlare di “ritardo”, come se ci fosse una sola strada da percorrere in cui qualcuno è più avanti e qualche altro indietro. Per la “questione meridionale” io parlerei di eccentricità, di esclusione. Quando il taglio del canale di Suez stava per creare un’enorme opportunità per il Mezzogiorno, molo centrale delle rotte mediterranee, e la Francia e l’Inghilterra si davano da fare per mettere in qualche modo sotto controllo questo punto strategico pensando alle fortune che ne avrebbero ricavato, né il Borbone prima né il Savoia dopo colsero l’opportunità, uno chiudendosi in una diplomazia asfittica, l’altro risucchiando al Nord le risorse. Non è mai stata in corsa questa terra, ma è stata un continuo sperpero di opportunità. Anche adesso, in questi giorni, abbiamo risorse enormi che vanno perdute -.

4) Che ne pensi della gestione della Sanità in Molise e della scollatura che si percepisce tra politica e società civile, nella nostra regione? Quale potrebbe essere la ricetta futura per arginare lo spopolamento dei paesi molisani come la “tua” Pietracupa? Se dovessi attribuire una strategia di sviluppo per il Molise negli anni futuri, quale modello di sviluppo perseguiresti: quello turistico e culturale, o più industriale?

- La gestione della sanità in Molise mi sembra un monumento fatto e compiuto al disinteresse profondo per il bene comune.

Quanto al rapporto fra politica e società, in cui si inquadra la sanità e altro, anche qui mi faccio guidare dalla storia. Penso alla formazione in Molise del notabilato, il ceto che traeva il suo potere per un verso dal rapporto verticale con i ceti popolari affannati ad uscire dalla miseria, per l’altro dalla rete orizzontale dei contatti economici e culturali, quando non parentali, delle famiglie che avevano sostituito la nobiltà feudale nella ricchezza, nel potere, nell’autorità locale (ricordo che il feudalesimo nel regno di Napoli fu eliminato, con lunghi - troppo lunghi - strascichi, solo duecentodieci anni fa).

L’affidamento politico per soggezione di status, o professionale, da allora in poi è stato più forte delle pur esistenti domande di una politica di più ampio respiro, e questa soggezione, a me sembra, a livello regionale non ha ancora sciolto del tutto la logica dei legami nell’elezione dei suoi rappresentanti. Per i sindaci, credo, la situazione può anche avere connotazioni diverse.

Quanto al futuro, mi guardo intorno e osservo che l’Italia è caratterizzata da una serie di conurbazioni di pianura o costiere in cui è concentrata l’attività del paese. Sono città dall’altissima densità abitativa, asfittiche, malate, in cui è in crisi il respiro anche economico. Poi ci sono sui rilievi vaste aree interne che perdono popolazione, e sono risorse enormi per la qualità di ogni aspetto della vita. Questo è documentato in tutta l’Italia ma in particolare nel Mezzogiorno.

Contro i rischi e le sfide del futuro, da dove mai si dovrebbe partire per ripensare a fondo il nostro modello di sviluppo, scegliendo quello che molti chiamano economia verde, qualunque cosa si voglia intendere? E’ una scelta che si impone, al più presto, e occorrerebbe potenziarne le premesse pubbliche, comunitarie o private se ciò fosse consapevolezza diffusa a tutti i livelli.

Nella “mia” Pietracupa mi sembra che questa ci sia, come in tanti altri luoghi del Molise verde e spopolato -. 

di Davide Marroni - fb 

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