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L’asino di Matteo

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I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise 

16 novembre 2020

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Alla fiera di san Nicola i toresi compravano un po' di tutto: castagne, portogalli, funi, l’immancabile scapece, maiali e qualche asino a buon mercato.

Avendo venduto il vignale, zio Matteo pensò che almeno da vecchio poteva farsi aiutare da un asino. Anche per goderne la compagnia, visto che viveva solo.

Vicino alla croce viaria, alcuni zingari ne vendevano uno zoppo, ma veramente a buon mercato: solo seimila lire. Zio Matteo non se lo fece scappare. Lo battezzò Gelsomino, e già al sentirlo chiamare si indovinava l’affetto che provava per l'animale.

L'uomo era molto generoso e i vicini spesso ne approfittavano. Un giorno, Benito gli chiese in prestito l'asino per andare a caricare la legna in campagna. In cambio, si sarebbe sdebitato con una giornata di lavoro. Ma invece di prendere la via del bosco, prese quella per Campobasso. In città c'era la fiera di santa Lucia e Benito pensò bene di vendersi l’asino e divertirsi a modo suo, con le donnine a Sant'Antonio Abate.

Solo all’indomani, sul tardi, il giovane si ripresentò da zio Matteo, che non aveva chiuso occhio. Raccontò che i briganti gli avevano rubato l’asino lungo il tratturo. L'altro gli replicò a brutto muso che l’ultimo brigante l’aveva incontrato suo nonno nel lontano 1865, dopodiché li avevano fucilati tutti.

Insomma, vista la reazione esagerata del vecchio che era scoppiato in pianto, Benito confessò la verità. Poi, insieme ai carabinieri di Toro, lo accompagnò a Campobasso alla ricerca dell’asino, che, difficile a credersi, era finito di nuovo in mano agli stessi zingari venditori.

E fu così che mentre zio Matteo tornava in paese in groppa a Gelsomino, Benito restava in città per passare qualche giorno nella solita cella del carcere di Via Cavour.

di Vincenzo Colledanchise 

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