In memoria della Biblioteca Albino

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Intervento, pubblicato integralmente, riprendendolo dal numero de “IL Bene Comune” attualmente in edicola, di Vincenzo Lombardi, direttore della biblioteca fino alla sua chiusura. Il contributo che segue ricostruisce il percorso e le responsabilità di quanti hanno contribuito a sospendere fino a data da destinarsi una infrastruttura culturale d’eccellenza i cui servizi s’irradiavano sull’intero territorio regionale

di Vincenzo Lombardi (da Il Bene Comune)

30 ottobre 2020

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Il primo settembre 2020, ricorre “l’anniversario” della chiusura al pubblico della Biblioteca provinciale Pasquale Albino. A quattro anni di distanza la confusione e la disinformazione regnano sovrane.

Certo, tutta la vicenda si è sviluppata in una serie di scelte spesso non chiare e non motivate pubblicamente. Le responsabilità, se ve ne sono, non sono state accertate. L’unica certezza è che oggi la Biblioteca è chiusa. Un ottimo servizio al territorio (soprattutto rispetto alle risorse economiche disponibili) non esiste più, le risorse digitali che sono sopravvissute alla chiusura del luogo fisico sono oggi abbandonate a se stesse e, progressivamente, diventano inaccessibili e obsolete.

È ACCADUTO TUTTO NEL SILENZIO

Le tantissime richieste di fruizione del servizio restano ignorate ed inascoltate. Tutto questo è avvenuto nell’assordate silenzio, quasi totale, delle istituzioni locali, soprattutto di quelle titolate a farlo. È avvenuto nel silenzio del mondo dell’università, a cui la Biblioteca ha fatto da supporto nella ricerca molisana. Nel silenzio di quasi tutte le istituzioni e associazioni culturali, che pure per lunghi anni hanno trovato ospitalità presso la Biblioteca e in quello dei molti intellettuali campobassani e molisani, soprattutto di quelli giovani ed emergenti, che in parte non hanno voluto, in parte non hanno potuto farlo.

Isolata è restata la voce di tanti singoli utenti, locali e non, che non si sono mai rassegnati a quanto accaduto. Sembra incredibile, o forse no, ma è avvenuto.

A quattro anni di distanza dalla morte dichiarata della “Biblioteca provinciale”, ma a circa sei da quando la parabola di fine vita era chiara si può tentare una prima ricostruzione, se pur sommaria, di quanto avvenuto, per cercare di riflettere, sia sulle scelte di “politica culturale” effettuate, sia sul possibile futuro della Biblioteca Albino, intesa come servizio pubblico o, almeno, sul futuro del suo patrimonio (della Biblioteca e del Molise) cartaceo e digitale. (L’articolo completo sarà pubblicato sul prossimo numero de il Bene Comune).

CONSEGUENZA DELLA LEGGE DELRIO

È noto che tutta la vicenda nasce dalle previsioni della Legge Delrio (L.56/2014) che toglie le competenze di ambito culturale alle Province. I tavoli di decisione sul riordino delle funzioni di tali enti sono affidati alle Regioni. All’epoca in Molise governa la Giunta guidata da Paolo Frattura.

Tutte le Regioni meridionali, dove si trovavano biblioteche provinciali (tipiche delle regioni dell’ex Regno di Napoli) decidono di regionalizzare tali istituzioni che svolgono un servizio basilare per le comunità. La Regione Molise, dopo una prima apertura positiva, in linea con quanto stava succedendo in altre Regioni, bruscamente decide di “dire no” all’acquisizione della Albino. Non è ben chiaro cosa incide su tale scelta, ma alcuni elementi si possono certo individuare e alcune relazioni fra fatti e comportamenti si possono evidenziare.

LE RESPONSABILITÀ DELLA FONDAZIONE MOLISE CULTURA

Ad esempio, è quanto mai singolare che la legge regionale del Molise di riordino delle funzioni ex provinciali non contempli affatto l’ambito delle attività culturali. Questa scelta sembra poter essere messa in diretta connessione con il ruolo assegnato dalla Regione Molise e svolto dalla Fondazione Molise Cultura. Scelta che pone la Fondazione come soggetto centrale ed unico in capo al quale sono delegate le politiche culturali della Regione e che trova la relazione complementare nello svuotamento delle funzioni e del ruolo dell’Assessorato alla cultura.

In questo quadro (anni 2015/2016), pare evidente che la Fondazione e i suoi vertici abbiano avuto, legittimamente, un peso e un ruolo fondamentale nella decisione adottata poi dalla Giunta, sulle sorti della Biblioteca Albino e, quindi, nella scelta di non regionalizzare l’Istituto. Il Consiglio di amministrazione della Fondazione, all’epoca, è composto da Antonella Presutti, da Francesca Carnevale e da Angelo Fratangelo (anche dirigente della Provincia di Campobasso); direttore è Sandro Arco.

In quegli anni (2015) la Regione Molise bandisce un concorso per titoli per la scelta “non partitica” di un nuovo direttore della Fondazione; fra i nomi selezionati, oltre a quello di Arco, di Stefano Sabelli, di Adelchi Battista, di Ilaria Trivisonno, quelli di due bibliotecari: Giorgio Palmieri e Vincenzo Lombardi, quest’ultimo direttore della Biblioteca Albino. La scelta cade su Sandro Arco, poi assunto senza concorso nel ruolo di dirigente ed oggi preposto al coordinamento dell’Ente; mentre l’altra candidata, Ilaria Trivisonno, oggi svolge il ruolo di responsabile dell’amministrazione dello stesso.

MAI IL MINIMO DISAGIO DA PARTE DELLE AUTORITÀ

In questi lunghi ultimi quattro anni, ad esempio, il presidente Antonella Presutti, sostenendo naturalmente e legittimamente la scelta fatta dalla Regione, ossia quella di non acquisire la Biblioteca, non ha mai rilevato pubblicamente un qualche problema nella mancanza sul territorio di una istituzione come la biblioteca Albino e nella interruzione dei servizi da essa erogati ai molisani; non ha mai avvertito la cosa come una carenza sia per i cittadini, sia anche per le stesse attività culturali promosse dalla Fondazione; quindi, non ha mai sentito (forse in una sola occasione indotta a farlo dal giornalista che la intervistava) la necessità di evidenziare la questione. Come principale e massimo riferimento istituzionale delle azioni in ambito culturale della Regione Molise, non ha espresso mai il minimo disagio per la situazione in essere, o comunque una valutazione sulla questione.

L’altro componente del Consiglio di amministrazione, Francesca Carnevale, non ha mai fatto mistero, con prese di posizione pubbliche e private, della sua avversità al passaggio della Biblioteca Albino alla Regione Molise.

In definitiva, i responsabili delle strutture regionali preposte alla gestione delle politiche culturali decidono che, per il territorio regionale, non ha nessun interesse acquisire la Biblioteca Albino, segnando – a mio modesto parere – una cesura storica, la cui valutazione ognuno può effettuare, nella presenza e nel legame di una istituzione culturale come la Biblioteca Albino con il suo naturale tessuto culturale di riferimento.

Si può facilmente osservare, ad esempio, che la stessa ragione della nascita della Biblioteca Albino risiede in una scelta di natura identitaria: dimostrare l’esistenza del Molise (già allora si poneva il noto dilemma). La chiusura della sua parabola vitale legata alle istituzioni locali ne va a connotare in altro e contrario modo l’obiettivo iniziale.

LE RESPONSABILITÀ DELLA REGIONE

A gennaio 2016, Michele Petraroia, vice presidente della Giunta, si dimette. L’esecutivo regionale, composto ormai dal presidente Frattura e dall’assessore Pierpaolo Nagni, tenace sostenitore del direttore Arco, pur a fronte dell’adozione di chiari documenti politici, favorevoli alla regionalizzazione della Albino, da parte degli organi direttivi del PD, partito di riferimento del presidente, accoglie la linea sostenuta dai vertici della Fondazione.

Anche l’attuale governo regionale, sollecitato tramite alcuni componenti della Giunta in carica e tramite alcuni consiglieri di maggioranza, pur non avendo diretta relazione con le scelte pregresse che hanno determinato la storia della Biblioteca, sembra non dare peso alcuno alla situazione attuale della Albino e non la avverte come un problema per il territorio regionale; di conseguenza la ignora e ritiene di non dover intervenire in merito pur avendone titolo e, a mio avviso, l’onere.

La Regione Molise è, infatti, il soggetto individuato dalla legge per condurre il riordino delle funzioni previsto dalla legge Delrio ed è il principale cofirmatario dell’Accordo di Valorizzazione stipulato il 13 settembre 2016 col Mibact, quindi è il soggetto istituzionale tenuto a verificare il rispetto degli accordi ed eventualmente a stimolare il loro adempimento.

Tornando alla ricostruzione storica dell’iter previsto dalla riforma Delrio per la ricollocazione della Biblioteca Albino, alla metà del 2015, escluso l’impegno della Provincia per ovvie ragioni, escluso, per la non pertinenza del livello istituzionale, un possibile ruolo del Comune di Campobasso, deciso il “NO” della Regione Molise, si apre un vuoto istituzionale non facilmente risolvibile.

LA BIBLIOTECA ALBINO AL MIBACT. SEMBRA FATTA

La soluzione, con il supporto degli uffici periferici del Mibact, viene individuata nel passaggio della Biblioteca al Ministero dei Beni Culturali. Così prendono l’avvio le trattative col Ministero per concludere un possibile accordo e salvare almeno il patrimonio documentario cartaceo e digitale, oltre che le infrastrutture, come il Polo SBN (contenente circa 200.000 notizie e a cui afferiscono 18 biblioteche molisane) e le teche digitali contenenti circa 90.000 immagini fra periodici molisani e manoscritti musicali.

Ad ottobre e novembre 2015, il presidente della Provincia De Matteis invia due lettere a Franceschini, Ministro dei Beni e delle attività culturali; il 20 gennaio 2016 segue una lettera di Frattura con la medesima richiesta al Ministro di acquisire la Biblioteca Albino.

A metà 2016, al tavolo romano delle trattative per la transizione della Biblioteca Albino al Mibact, il clima è subito segnato dalle parole d’esordio dell’allora sottosegretario Antonio Cesaro che, rivolgendosi al presidente della Regione Molise dice: “ci avete costretti ad intervenire”. Le sue parole esternano la sostanziale freddezza della struttura amministrativa centrale del Ministero verso l’acquisizione di una Istituzione che per storia, connotazione, funzioni e patrimonio, è legata visceralmente al suo territorio.

Ciò nonostante, dopo lunghe trattative, viene messo a punto un testo condiviso che nel dettaglio individua, oltre al personale dipendente che deve transitare dalla Provincia al Mibact, beni da trasferire ed impegni da mantenere. Viene fissato il giorno di sottoscrizione dell’Accordo, il 3 agosto 2016 e il luogo: il salone di rappresentanza del Ministero a Roma, al Collegio romano. Tutto è pronto, anche il comunicato è diffuso dall’ufficio stampa del Ministro. Ma come nei film più avvincenti, arriva l’evento inatteso, il colpo di scena.

IL COLPO DI SCENA

Il 2 agosto, dopo mesi di esame del testo e di attività diplomatica di limatura delle condizioni dell’Accordo a cura degli uffici di Ministero, Regione Molise e Provincia di Campobasso, l’allora ragioniere capo della Provincia, Angelo Fratangelo, componente anche del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Molise Cultura e amico fraterno del direttore Arco, invia “tempestivamente” al presidente della Provincia, Rosario De Matteis, una nota che evidenzia una serie di dubbi di natura patrimoniale. Piegato dai dubbi sollevati nella nota ricevuta, il presidente disdice inopinatamente la firma dell’Accordo di Valorizzazione prevista per il giorno successivo.

Gli effetti della scelta sono devastanti. In ragione della mobilità del personale in servizio presso la Biblioteca già destinato al Mibact, la cui attuazione è prevista per il primo settembre 2016, il Mibact pensa di dare continuità al servizio predisponendo un apposito provvedimento. Con l’accordo sottoscritto il 3 agosto e con la Biblioteca ormai destinata al Mibact, il primo settembre il personale, passando al Ministero, sarebbe stato comandato in servizio direttamente presso la Biblioteca, non interrompendo così il servizio al pubblico. Invece, il primo settembre, ad accordo non sottoscritto, il personale deve prendere servizio presso gli uffici periferici del Ministero e la Biblioteca rimane chiusa.

Forse, l’idea di una parte dei soggetti coinvolti in tutta la vicenda era quella di acquisire la Biblioteca Albino senza il suo “fastidioso ed ingombrante” personale, determinando la necessità di procedere a nomine di responsabilità, magari senza concorso, come d’uso presso la Fondazione. Comunque, ad onor del vero, va detto che il presidente Frattura, forse anche contro la volontà dell’altra metà della Giunta, si impegna personalmente per ricostruire le relazioni e ritessere le fila del rapporto col Ministero, la cui struttura di vertice (il Capo di Gabinetto e i direttori generali coinvolti) avevano percepito come uno sgarbo istituzionale l’annullamento della firma dell’Accordo a poche ore di distanza dal momento stabilito. Una nuova data è fissata per il 13 settembre 2016, giorno in cui viene sottoscritto realmente l’Accordo, ma ormai la prevista continuità del servizio presso la Biblioteca è irrimediabilmente superata.

Firmato l’Accordo di Valorizzazione, senza più alcuna sollecitazione legata ai servizi al pubblico da tenere vivi, i beni vengono trasferiti dall’Agenzia del Demanio al Mibact solo il successivo 17 maggio 2017. Da tale data parte una nuova e diversa storia della Biblioteca Albino che, detto per inciso, al netto di tutti gli annunci fatti, ancora non viene formalmente istituita e quindi ancora non esiste istituzionalmente nell’ambito dell’organizzazione del Ministero dei Beni culturali.

È MORTA LA BIBLIOTECA ALBINO “PER COME LA CONOSCEVAMO”

Le attuali difficoltà sono sotto gli occhi di tutti e sono di dominio pubblico. Certo, quando la Biblioteca Albino riaprirà come istituto statale (spero vivamente che avvenga quanto prima), non potrà più essere la biblioteca di servizio che è stata, non potrà più interpretare pienamente il ruolo di pubblic library. La sua fisionomia è ormai cambiata. In questo mutamento, nell’abbandono della pelle di sportello di servizio pubblico di base, forse vanno cercate le ragioni vere delle spinte e degli interessi che hanno portato all’attuale situazione. Credo che fra i maggiori peccati “rimproverati” alla Biblioteca provinciale Albino vi siano i tratti salienti che hanno caratterizzato la sua attività negli ultimi venti anni di vita: la scelta di essere uno spazio democratico, aperto a tutti, senza preclusioni; la scelta di dare voce a tutti, senza filtri di sorta; la scelta di accogliere il ricercatore, l’intellettuale, lo studente, il lettore occasionale e quello seriale, senza differenze e senza privilegi; l’ambizione di creare una rete di relazioni culturali e di far crescere la propensione alla lettura dei grandi e dei piccoli, lavorando in collaborazione con pediatri e con Nati per leggere; il progetto di non fermarsi solo all’evento culturale, ma di voler costruire le infrastrutture (reti catalografiche, repository digitali, depositi di materiali digitalizzati, pubblicazioni digitali, ecc.) sulle quali si potesse costruire e sviluppare l’ambiente culturale regionale.

Quello che si è costruito negli ultimi vent’anni è, ormai, quasi tutto distrutto, e non sarà facile riaverlo di nuovo. Chi ha condotto la Biblioteca verso la situazione attuale, pur esercitando legittime scelte di politica culturale, ci pensi e rifletta.

Oggi, il futuro della prossima Biblioteca statale Albino è legato certamente alla capacità e volontà del Mibact di trovare soluzioni a molti problemi che incombono sull’Istituto (in primis la sede, il personale, le risorse economiche, ma non solo) e alla capacità di ridisegnare un ruolo ed una mission dell’Istituto nel contesto della vita culturale molisana.

Però, pur rimanendo in capo al Ministero la responsabilità operativa e tecnico-scientifica, è illusorio pensare che le istituzioni locali, in primo luogo la Regione Molise e il Comune di Campobasso, possano restare estranee ad una sua ripartenza. L’interesse alla ripresa della Biblioteca è soprattutto molisano; sono le istituzioni e i cittadini molisani a dover chiedere, se lo vogliono, la riapertura della Biblioteca. Ciò di cui ci si è voluti frettolosamente liberare, mettendolo fuori dalla porta, rientra dalla finestra; o, forse, nel nostro caso, sarebbe meglio dire al contrario.

di Vincenzo Lombardi (da Il Bene Comune)

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