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La rivoluzione della cura

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Occorre una conversione ecologica, una rivoluzione culturale che ispiri e promuova un cambiamento economico e di stili di vita

di Antonio De Lellis (da lafonte.tv)

15 ottobre 2020

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A livello mondiale tre grandi crisi, attentato alle torri gemelle dell’11 settembre 2001, la crisi finanziaria del 2008 e la pandemia del 2020, hanno contraddistinto gli ultimi venti anni. All’inizio del secolo i movimenti altermondialisti si incontravano a Genova per “un altro mondo possibile”, accomunati dalla critica alla globalizzazione, soprattutto in ambito economico. L’attentato dell’11 settembre del 2001 getta il mondo in una III guerra mondiale a “pezzetti” che incendia il Medio Oriente e crea ulteriori squilibri in tutte le aree del pianeta ricche di risorse naturali. All’inizio del secondo decennio in Medio Oriente le “primavere arabe” preparavano un possibile percorso di democratizzazione. Dal 2014 al 2016 i movimenti popolari, soprattutto dell’America latina, si organizzano in vista di un manifesto mondiale per la terra, la casa e il lavoro.

Nello stesso periodo si rafforzano i movimenti delle donne che elaborano strategie e lotte globali. Sul finire del primo ventennio del secolo nuovi movimenti, soprattutto giovanili, diventano protagonisti di percorsi di giustizia climatica. In Asia alcuni esprimono il loro deciso dissenso contro i processi autoritari del colosso cinese e negli Stati Uniti rigurgiti razzisti danno luogo a proteste estese contro la disuguaglianza di razza, sociale ed economica. Nel 2020 il mondo si confronta con una pandemia che riempie cimiteri e ospedali, quelli rimasti aperti e laddove ci sono, ma svuota le piazze a dimostrazione di come il mondo fosse già malato da un estrattivismo pandemico e da processi di privatizzazione dei beni comuni, che hanno quasi reciso del tutto le già flebili difese dei presìdi sanitari, sociali e culturali.  Sullo sfondo nuovi poteri sembrano affermarsi: Il capitalismo della sorveglianza dei Big Data, soprattutto dopo la paventata minaccia terroristica globale; la debitocrazia e la finanza speculativa, causa della grande crisi del 2008 da ripercussioni mondiali; la società strumentalizzante e i Big Pharma che controllano le grandi organizzazioni sanitarie e le agenzie del farmaco, e impongono nuovi modelli di comportamento, per lo più di dipendenza, causando in parte la mancata prevenzione rispetto ad eventi pandemici, i cui vantaggi economici sono a loro appannaggio. Si verifica una accelerazione di processi sociali, già in atto, che sembrano coagularsi intorno ad una idea di società della cura del vivente. La pandemia impone di ripensare profondamente la relazione di potere fra esseri umani e tutte le altre forme di vita sul pianeta: non possiamo assistere allo sterminio di molte specie animali e al brutale sfruttamento di diverse altre, pensando di restare indenni da conseguenza epidemiologiche, climatiche, ecologiche ed etiche.

Occorre una conversione ecologica, una rivoluzione culturale che ispiri e promuova un cambiamento economico e di stili di vita.

In questo quadro è opportuno un confronto, a livello locale molisano, che possa delineare i limiti e le opportunità per la costruzione della società della cura. Il Manifesto, scaturito dal lavoro di tessitura sociale, è il primo risultato di un percorso di convergenza fra reti associative e di movimento, partito lo scorso giugno, anche attraverso l’impulso di Attac Italia. Questo documento vuole essere un quadro di riferimento valoriale, dentro il quale le diverse realtà, esperienze, lotte possano reciprocamente riconoscersi in un orizzonte comune. 

I punti salienti del Manifesto sono: 1. Conversione ecologica della società; 2. Lavoro, reddito e welfare nella società della cura; 3. Riappropriazione sociale dei beni comuni e dei servizi pubblici; 4. Centralità dei territori e della democrazia di prossimità; 5. Pace, cooperazione, accoglienza e solidarietà; 6. Scienza e tecnologia al servizio della vita e non della guerra; 7. Finanza al servizio della vita e dei diritti.

E il Molise? Tutte le lotte sociali sviluppatesi in Molise sono state fondamentali ed hanno saputo preservare, in parte, i beni comuni della regione: difesa dell’ambiente da insediamenti di centrali nucleari propria dei comitati degli anni ‘70; difesa del territorio contro le discariche e lo stoccaggio di rifiuti tossici e nocivi; difesa dell’acqua bene comune; contro allevamenti intensivi, come il Comitato No Stalla, Sì Molise Bene Comune, contro l’insediamento di una megastalla intensiva nell’area tra Ururi e San Martino in Pensilis; contro la proliferazione selvaggia dell’Eolico (comitati No Eolico dell’Alto e Basso Molise); contro grandi opere, come l’Autostrada che avrebbe sostituito il tracciato attuale della Bifernina trasformando una strada migliorabile in un percorso a pagamento e danno per l’ambiente; il No alle Trivelle in Adriatico dei comitati No Triv; il No Hub del gas del comitato Discoli del Sinarca; il contrasto alla privatizzazione della Sanità molisana per il rafforzamento di quella pubblica (comitati di Campobasso, Isernia, Venafro, Agnone, Larino e Termoli). Il Molise non è da meno per iniziative di contrapposizione ai poteri, ma sicuramente manca della socialità intercomunale e intergenerazionale, succube com’é di una elevata conflittualità territoriale, fomentata dalle classi politiche spartitorie e clientelari. Le realtà industriali presenti in Molise dovrebbero essere socializzate, si dovrebbero migliorare le relazioni lavorative e rendere più umani i ritmi di lavoro, dentro un quadro diverso che sposti l’asse valoriale dalla società del profitto alla società della cura delle persone che lavorano. Il Molise è stato però anche un laboratorio importante in cui la società si é alleata per superare la privatizzazione del bene comune e della risorsa più importante della nostra regione: l’acqua.

La nostra regione ha un’occasione irripetibile che guarda con particolare vicinanza a progetti di valorizzazione locale nel quadro di un’economia sostanziale in cui forme domestiche e comunitarie ci liberino dalla monetizzazione del nostro lavoro. L’accoglienza, tipica della nostra regione, può essere un esempio a patto che si mettano fuori soggetti non sociali e opportunisti che lacerano quel frammento della società della cura che le realtà associative stanno provando a costruire da almeno trent’anni. Senza una nuova finanza pubblica e partecipativa, però, nessuna trasformazione ecologica e sociale del modello economico e produttivo sarà possibile, e le decisioni di lungo termine sulla società rimarranno appannaggio delle lobby finanziarie e delle grandi multinazionali. In Molise questo potrebbe diventare possibile attraverso una risocializzazione della Cassa Depositi e Prestiti che raccoglie il diffuso risparmio postale.

Il prossimo appuntamento lancerà una grande mobilitazione nazionale “Uscire dall’economia del profitto, costruire la società della cura” da tenersi a novembre. L’idea – condizioni epidemiologiche del Paese permettendo – è quella di tenere una grande manifestazione nazionale a Roma (sabato 7 novembre) per aprire una vertenza dentro la società nel momento in cui tra Legge di Bilancio 2021 e piani per l’accesso ai fondi europei si deciderà se, come pensano i ceti dominanti, tutto sarà come e più di prima o se invece sapremo mettere in campo cuori, corpi e menti per avviare un’alternativa di società.

Vogliamo una società che metta al centro la vita e la sua dignità, che sappia di essere interdipendente con la natura, che costruisca sul valore d’uso le sue produzioni, sul mutualismo i suoi scambi, sull’uguaglianza le sue relazioni, sulla partecipazione le sue decisioni. Lotteremo tutte e tutti assieme per renderla realtà.

di Antonio De Lellis (da lafonte.tv)

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