“Fratelli Tutti”, un’enciclica poderosa

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“Fratelli tutti” è la terza lettera enciclica di papa Francesco, firmata sulla tomba di san Francesco ad Assisi ed inviata via mail ai pastori della chiesa universale, ma rivolta a tutti

di Umberto Berardo

12 ottobre 2020

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“Fratelli tutti” è la terza lettera enciclica di papa Francesco, firmata sulla tomba di san Francesco ad Assisi ed inviata via mail ai pastori della chiesa universale, ma rivolta a tutti perché, come si precisa nelle prime pagine, “Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà.”  

Più avanti si puntualizza “Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme».[6] Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli”. 

 Tutto il testo dell’enciclica costituisce un documento poderoso strutturato in otto capitoli che sviluppano altrettanti temi in 123 pagine di grande rilievo teologico, culturale, antropologico sociologico, economico, geopolitico e soprattutto intriso di un’umanità positivamente sconcertante.

La figura emblematica che lo ispira è quella del poverello di Assisi il cui stile di vita viene posto ad esempio per un amore capace di andare “al di là delle barriere della geografia e dello spazio”.

La stesura testuale è così profonda che ti costringe a fermarti in moltissimi passaggi dove le riflessioni sono davvero di grande spessore e dunque c’è la necessità di una lettura lenta, analitica e riflessiva. 

Centrali sicuramente i temi della libertà, dell’uguaglianza, della fraternità, della giustizia sociale e della dignità di ogni essere umano, concetti inalienabili che in ogni caso vengono trattati alla luce di una rappresentazione antropologica della persona innovativa ed assolutamente legata ad un progetto di organizzazione solidale dell’esistenza personale come di uno stile di vita aperto alla condivisione.

Nell’enciclica la fraternità non è il concetto formale, talora vuoto ed ipocrita di un mondo che la proclama senza viverla, ma un progetto umano e culturale da applicare alle relazioni interpersonali allargate ed ai rapporti economici e sociali a livello internazionale.

Nel primo capitolo c’è un’analisi delle ipocrisie, delle contraddizioni e delle ombre che attraversano un mondo chiuso, egoistico, dominato dalla cultura del profitto, dalle diverse forme di ingiustizia e dalla logica dello scarto e perciò incapace, nonostante le proclamazioni di una finta globalizzazione, di aprirsi ad una diversa concezione della persona, delle relazioni umane e di una società orientata al bene comune.

Si afferma con chiarezza che i diritti nella nostra società non sono uguali per tutti, vengono solo proclamati e mai realizzati mentre milioni di persone sono prive di libertà, spesso costrette a forme di schiavitù e sempre più spesso esposte alla morte per fame o per quella che il papa definisce la “terza guerra mondiale a pezzi”.

Sempre più prigionieri dell’ossessione del nostro benessere personale o familiare, ci chiudiamo agli altri (stranieri, donne ed anziani) che diventano solo scarti e strumenti di esigenze egoistiche e della nostra scandalosa opulenza.

Per Francesco un’economia finanziaria e speculativa ci ha reso prigionieri di un mondo virtuale illudendoci con un’apparenza di libertà e socievolezza mentre in realtà siamo chiusi in un egoismo che cerchiamo di giustificare con principi di un’etica deteriorata o con un’indifferenza di comodo, incapaci di “ripensare i nostri stili di vita, le nostre relazioni, l’organizzazione delle nostre società e soprattutto il senso della nostra esistenza”.

Nel secondo capitolo l’enciclica, partendo dalla parabola del buon samaritano, ci guida al concetto centrale che il papa intende sottolineare e che è quello della fraternità.

“Coi suoi gesti – si afferma - il buon samaritano ha mostrato che l’esistenza di ciascuno di noi è legata a quella degli altri: la vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro”.

Si sottolinea poi che di fronte alle persone cui viene negata la dignità, come per il viandante della parabola, possiamo avere l’atteggiamento di perfidia dei briganti, l’indifferenza di comodo dei sacerdoti e dei leviti o il farci prossimo agli altri con la fraternità e l’amore del samaritano.

“Pertanto, scrive testualmente il papa, questo incontro misericordioso tra un samaritano e un giudeo è una potente provocazione, che smentisce ogni manipolazione ideologica, affinché allarghiamo la nostra cerchia, dando alla nostra capacità di amare una dimensione universale, in grado di superare tutti i pregiudizi, tutte le barriere storiche o culturali, tutti gli interessi meschini”.

Fuori da un’economia e da una politica utilizzate per meschini interessi o giochi di potere si esprime la necessità dell’apertura agli altri in maniera universale per metterci al servizio del bene.

Segue poi la necessità di pensare ad un mondo aperto alla fratellanza universale perché l’individualismo non può renderci liberi, uguali e fratelli.

Abbiamo perciò, secondo il papa, il dovere e la responsabilità di maturare e promuovere educativamente la convinzione che “Ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente, e nessun Paese può negare tale diritto fondamentale”.

Di qui il suo invito a “lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi” per garantire che ogni essere umano viva con dignità raggiungendo uno sviluppo integrale.

C’è poi rimarcata l’esigenza di considerare la proprietà privata non un diritto assoluto, ma secondario e posto in relazione ad una funzione sociale che dev’essere quella della “destinazione comune dei beni creati”.

Nel capitolo quarto l’enciclica affronta il tema delle migrazioni che dovrebbero essere evitate riuscendo a creare per tutti le condizioni per vivere nei Paesi di appartenenza, ma che comunque sono una necessità per tanti che non trovano negli Stati di origine la possibilità di realizzarsi come persona.

Certo c’è bisogno di dare vita ad una legislazione globale che governi il fenomeno, ma emigrare è un diritto.

Poi nel testo si evidenzia con forza, contro le logiche dei nazionalismi indirizzati alla chiusura verso l’altro, il concetto di gratuità come “capacità di fare alcune cose per il solo fatto che di per sé sono buone, senza sperare di ricavarne alcun risultato, senza aspettarsi immediatamente qualcosa in cambio”.

Nel quinto capitolo si pone la necessità che fuori dai populismi, che stanno demagogicamente eliminando la sovranità popolare e rappresentano un pericolo per la stessa democrazia, si torni ad una politica capace di progettare a lungo termine il bene comune maturando la convinzione che il tema essenziale da affrontare è quello del lavoro da distribuire equamente a tutti superando le teorie neoliberiste dei sussidi che il papa chiama “traboccamento” o “gocciolamento”.

Poi si precisa ancora più chiaramente che “aiutare i poveri con denaro deve essere sempre una soluzione provvisoria, per risolvere le urgenze. Il grande obiettivo dovrebbe essere permettere loro una vita degna attraverso il lavoro”

Grande e forte è sicuramente il passaggio in cui il papa afferma “La fame è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile”.

Si pone poi per una reale democrazia la questione della distribuzione molto allargata del potere per renderlo sempre più limitato nella rappresentanza istituzionale e fortemente incarnato nel popolo.

Centrale nel documento la necessità che la politica proceda ad una riforma dell’ONU, per evitare che tale organizzazione sia cooptata solo da alcuni Paesi, e che si proceda ad una profonda trasformazione dell’architettura economica, finanziaria e tecnologica del cui efficientismo egoistico e tecnocratico l’arte del governo non può essere succube se vuole aprirsi a progetti di fraternità e giustizia sociale.

Per la ricerca dei fondamenti di solidità da porre alla base delle scelte e delle leggi si indica il confronto e il dialogo costruttivo e rispettoso delle diversità culturali in dibattiti allargati e non manipolati.

La costruzione della pace esige uguaglianza di opportunità, capacità di perdono che tuttavia non è rinuncia a rivendicazioni legittime per l’affermazione dei diritti.

 Le lotte non possono essere orientate in ogni caso ad alimentare ira o vendette pur nella necessità di mantenere la memoria del male perché questo non si ripeta come nei casi citati della Shoah o dei bombardamenti atomici a Hiroshima e Nagasaki.

Una società dialogante per Francesco deve saper rinunciare all’ingiustizia della guerra e della pena di morte, entrambe forme di violenza inaccettabili che dobbiamo impegnarci a cancellare dalla storia.

Nell’ultimo capitolo papa Francesco invita a “rendere presente Dio perché è un bene per le nostre società”; chiede poi, pur nella fedeltà alla propria identità che è quella del Vangelo di Gesù, un dialogo fraterno fra le confessioni religiose, la libertà di espressione, professione e culto per tutti i credenti e rivolge un forte appello per la pace, la giustizia e la fraternità.

L’enciclica si chiude con due preghiere stupende dove traspare con chiarezza la grande fede e la profonda umanità di questo papa.

Siamo davvero davanti ad una boccata d’aria pura con la quale, come nel suo stile, papa Francesco elude i veleni della curia romana e delle lobbies per indicare le vie dell’autenticità della fede e del senso della vita.

di Umberto Berardo

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