“La voce delle campane”

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Il tempo nel paese che fu

di Aurora Delmonaco

28 maggio 2020

 

 Nel fianco squarciato della Morgia la torre è alta sul vallone verde che degrada ondulato verso il Biferno. L’aria è limpida e pura, il silenzio profondo. L’orologio affetta il tempo con voce metallica in ore, mezz’ore, quarti d’ora, tempo vuoto da riempire in qualunque modo. Tacciono le campane della torre. 

Pomeriggio d’estate mentre il sole declina, è questo il momento. Cinquant’anni fa. I rintocchi annunciano ventun’ora.

Ventun’ora: il segno della croce nel ricordo della morte di Cristo, le donne svelte a terminare le faccende per cucinare in tempo la cena, l’uscita degli amici verso la passeggiata sulla via nuova nell’ora più tiepida, nei campi il lavoro affrettato per posare zappa e bidente. 

Tre ore dopo, il vespro. Ventiquattr’ora. L’Avemaria. Lieve il tocco della mano sul capo, sul petto, sulle spalle per ringraziare del giorno finito, zoccolare degli asini nella strada di casa, saluti sulle porte, richiami ai bambini intenti ai loro giochi, il verso per radunare le galline sparse, profumo di cibo nelle case.

Ventun’ora, ventiquattr’ora, il mattutino, mezzogiorno. Era quello il tempo della chiesa e del lavoro degli uomini, segnato per secoli dalla voce delle campane di una torre alta sul fianco squarciato della Morgia.

 

di Aurora Delmonaco

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