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Borodol 1980. Laddove c'era il fiume ora c'è il riso!

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Racconti di Padre Antonio dalla sua Missione in Bangladesh (tratto da una pagina del diario 1978-1990)

di p. Antonio Germano Das, sx.

12 maggio 2020

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Quello appena trascorso è stato un periodo particolarmente intenso di attività, anche perché c’è stata di mezzo la Pasqua con la visita ai vari villaggi. Giovedì scorso, 24 aprile, mi è giunta la notizia della morte di P. Serafino. Di lui vi ho parlato diffusamente. Si tratta comunque di un padre ancora giovane (52 anni: alla stessa età è morta mia madre), che aveva speso metà della sua vita (25 anni) in Bangladesh e precisamente tra quella che è diventata adesso la mia gente. Lui, come già dicevo, può considerarsi il fondatore della missione di Borodol, perché vi rimase in maniera stabile, mentre gli altri, che lo avevano preceduto, venivano da Satkhira, stavano qualche giorno e poi ripartivano. La gente gli aveva voluto bene e gli vuole anche adesso tanto bene: “era diventato come uno di noi, mangiava quello che noi mangiamo”. Era riuscito ad adattarsi in maniera veramente singolare allo stile di vita della sua gente, che certamente non lo dimenticherà.

Forse per la fine di quest’anno un altro padre verrà a stare con me. Da alcuni mesi sto combattendo perché si dia più attenzione alla zona dove io sto lavorando, la zona dei fuori-casta, degli intoccabili. A forza di insistere, qualcosa si sta muovendo. Si tratta di un giovane padre cremonese Pierluigi Lupi, che ha appena finito il corso di bengalese a Borishal. Forse questo è il primo frutto della morte di padre Serafino, che per i Muci ha dato la vita. Per me sarà senz’altro una grazia, perché è quasi un anno che vivo da solo. Manca poco meno di un mese all’inizio della stagione delle piogge. Questo è il periodo forte del caldo e il sole arrostisce anche il cervello: bisogna prendersela con calma e rallentare il ritmo di lavoro. Due progetti finanziati dalla Caritas del Bangladesh,che mi hanno tenuto impegnato per quasi 4 mesi, stanno per concludersi.

Spendo due parole per illustrarvi un po’ questi due progetti, che, spero, apriranno un capitolo nuovo della storia di Borodol. Il primo progetto riguarda la costruzione di 75 casette per le famiglie più diseredate. Prima di iniziare i lavori, ci siamo seduti a più riprese con gli interessati per fissare le modalità della costruzione e stabilire la misura della loro collaborazione. La missione avrebbe fornito i bambù per l’inteleiatura del tetto, le tegole, porte e finestre e avrebbe pagato il carpentiere (in bengalese: mistri) con due aiutanti, che avrebbero assemblato il bel tutto. La gente dal canto suo doveva provvedere, a proprie spese, al basamento della casetta in terra battuta e alle mura parietali pure esse in terra battuta. Solo quando il bel tutto era pronto, essi avrebbero ricevuto il materiale pattuito. Sono così cominciati i lavori e i barconi, carichi di tegole e bambù incominciavano ad attraccare sulla sponda del fiume. E qui “incomincian le dolenti note”! Chi scarica le tegole? Chi scarica i bambù? Faccio un primo, un secondo, un terzo giro nel villaggio gridando: “Sono arrivate le tegole, sono arrivati i bambù e bisogna scaricarli!” Ma nessuno si muove. Che fare? Incomincio io. Salgo sul barcone, mi carico sulla testa 4/5 tegole e inizio l’operazione di sbarco. Vedo, con sorpresa, che i bambini mi seguono, vengono anche uomini e donne; arrivano anche i capi-villaggio (in bengalese: matubbor). Alla loro vista, io mi fermo a guardare questa stupenda processione: “E’ una comune evangelica?” Il lavoro delle case è ora completato. L’aspetto di Borodol appare trasformato per il rosso delle tegole, che hanno sostituito il tetto di paglia.

>Il secondo progetto, sempre finanziato dalla Caritas del Bangladesh, prevede la costruzione di un argine sulla riva del Kopotokko per proteggere il terreno demaniale, che, per una disposizione governativa, è stato concesso in proprietà ai nostri Muci, che sono bhumihin (=senza terra). Ancora prima che io arrivassi a Borodol, P. Luigi Paggi, allora responsabile della missione di Satkhira, da cui dipendeva anche Borodol, aveva inoltrato domanda al governo a nome di 7 bhumihin. Il governo aveva accolto la richiesta e aveva concesso il diritto di proprietà di tutta la fascia demaniale che costeggia la para Muci. Nella concessione c’è però una clausola molto intelligente: i proprietari non potranno alienare il terreno nei primi 15 anni. Si tratta di un pezzo di terreno favoloso: 7 acri! Io di misure non me ne intendo molto, ma dovrebbero essere l’equivalente di quasi 3 ettari, che, secondo le misure bengalesi, corrispondono a 21 bigha. I 7 proprietari, alla mia presenza e al cospetto della comunità cristiana, hanno firmato un documento in cui si dice che loro sono i proprietari nominali, ma il terreno deve servire al bene di tutta la comunità. Questo era l’intento iniziale, di cui tutti erano a conoscenza, ed anche la ragione per cui sono state affrontate tutte le spese burocratiche.

Rimane ora un lavoro un pochettino più difficile: occorre dar vita ad una cooperativa per la valorizzazione del terreno ricavato dalla costruzione dell’argine. Il problema è che nessuno dei miei Muci ha mai posseduto un pezzo di terra: sarà possibile coltivare il riso? Sembra un’impresa difficile ma non impossibile. Se ci riusciamo, incomincerà una pagina nuova della storia di Borodol. 

Intanto, come altre volte vi dicevo, il lavoro delle stuoie va a gonfie vele. Arrivato qui, non c’era giorno che le donne non litigassero. “Qui ci vuole una medicina” mi dissi. E la medicina fu quella giusta: il lavoro! Quasi tutte le donne intessono stuoie e così non trovano tempo per litigare. In più guadagnano qualcosa e questo conferisce loro un po’ di dignità. Anche la scuola procede abbastanza bene. Solo a Borodol ci sono 150 alunni dalla prima alla quinta elementare. Ci sono poi le scuolette degli altri villaggi, che ho riorganizzato durante quest’anno.

Adesso però dovrò limitarmi nei progetti, perché di aiuti da gran tempo non ne vedo e già le spese ordinarie sono un peso non indifferente. Niente paura comunque, perché ormai so che il Signore arriva sempre al momento giusto. 

(Borodol 1980)

di p. Antonio Germano Das, sx. (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)

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